Quando ci sentiamo, è appena tornata dal Cile dove si è allenata per 2 settimane tra dune e sterrati. Mentre chiacchieriamo Rebecca Busi, 27 anni, bolognese, ogni tanto si ammutolisce: «Scusi, sto chattando con il mio mental coach per gli ultimi consigli prima della partenza». Quali? «Come gestire l’ansia, lo stress, tutte le aspettative che mi carico sulle spalle e che a volte mi pesano troppo». Per stemperare la tensione prepara con estrema precisione i 4 beauty case che porta sempre con sé. «A parte le tute e il casco, non serve un grande guardaroba, ma la pelle e i capelli vanno curati nel deserto durante la gara».
La passione di Rebecca Busi per le auto è “colpa” del papà e dello zio
Sta parlando della gara con la G maiuscola: la leggendaria Dakar, ex Parigi-Dakar, il rally più impegnativo al mondo, la cui 46esima edizione si è svolta in Arabia Saudita dal 5 al 19 gennaio. Rebecca ha partecipato per la terza volta, unica pilota donna italiana, piazzandosi 22esima per colpa di un incidente che le è costato 51 ore di penalità. «Non m’importa se sono l’unica. Una donna, se lo vuole davvero, può tutto» spiega, mentre mi fa vedere una foto sbiadita: c’è lei, a 6 anni, a bordo della sua prima macchina, targata Reby01. Ok, è una macchina giocattolo, ma per Rebecca significa molto: l’inizio di quel sogno che ha sempre avuto, di quella possibilità di futuro che aveva già immaginato da bambina. Farla parlare di sé è una fatica – «Sono introversa, non mi piace raccontarmi, figuriamoci fare le interviste…» – ma è determinata e se vuole una cosa sa prendersela. La sua passione per le auto è «tutta colpa di mio papà e di mio zio». Il primo è rallista di moto, con 3 partecipazioni al leggendario Pharaons Rally, il secondo di auto. «All’inizio ho gareggiato come navigatrice con papà alla guida, ma la mia testardaggine mi ha portato a convincerlo, con l’aiuto di mamma, a mettermi al volante».
La sua prima gara si è svolta in Arabia Saudita
Dopo aver venduto la sua utilitaria, chiede come regalo di laurea, in Economia, i soldi per poter partecipare alla sua prima gara: la Dakar, appunto. «Volevo giocarmi il tutto per tutto, subito». Era il 2022, le donne in gara solo 20 su 700. Anche allora si correva in Arabia Saudita e lei, più giovane partecipante italiana di sempre, guidò fino al traguardo con un casco arcobaleno per ricordare l’importanza dei diritti in un Paese che solo nel 2018 ha concesso alle donne di prendere la patente. A sostenere e finanziare la carriera di Rebecca, che oggi è professionista dopo aver conquistato il quarto posto al Mondiale di Rally Raid nel 2023, è OnlyFans, la piattaforma di monetizzazione che da qualche tempo ha aperto alle community di atleti e atlete, diventando luogo di condivisione di allenamenti, gare, preparazioni. A chi la guarda con sospetto per lo sponsor che la segue, Rebecca non vuole rispondere. Non è nel suo stile. Dice solo: «Ho scritto centinaia di mail alle aziende per farmi finanziare, avere una macchina da rally costa tantissimo, ma non ho ricevuto nessuna risposta. Che problema c’è?».
Per Rebecca Busi gareggiare è libertà e adrenalina
Rebecca è troppo concentrata su ciò che fa per stare dietro alle malizie altrui. «La Dakar è una gara estenuante. È ambizione. Significa: “Non ho mollato”. Sono circa 7.400 chilometri nel deserto, in 13 tappe. Stiamo in macchina dalle 8 alle 10 ore al giorno. Si arriva alla fine grazie alla testa, la preparazione fisica non basta (lei si allena 6 volte alla settimana, ndr). Devi saper gestire le emozioni, è come essere su una giostra: un giorno sei su, alle stelle, l’altro sei giù, a terra. Ma devi sempre saperti rimettere in sesto, guardando avanti, alla prossima tappa che ti aspetta». Accanto a Rebecca quest’anno c’era il copilota Sergio Lafuente, un Dakar Legend, come si usa dire dei veterani della gara, mentre suo padre era sulla macchina dell’assistenza, come sempre. E la mamma? «Per la prima volta è venuta anche lei. Avevo bisogno di una brava cuoca!». Dopo 10 ore di guida nel deserto la cosa più importante è il riposo. «E per me riposo significa dormire – quest’anno niente tenda, per fortuna avevamo un camper – e mangiare un buon piatto di pasta». Mentre è al volante, infatti, mangia solo barrette proteiche e beve 3-4 litri di acqua. Ma, vista la fatica, fisica e psicologica, che questa competizione comporta, che cosa spinge Rebecca? «È un mix di emozioni che non so descrivere bene: è un’avventura, è libertà, felicità, adrenalina. Quando mi trovo in mezzo a quell’oceano di sabbia mi sento viva, in pace con me stessa» spiega. «E poi mi diverto. Soprattutto a “leggere” il deserto». Che è la qualità principale dei bravi rallisti. «In base a cosa vedi intorno a te devi capire quello che ti aspetta, se una duna diritta o una duna tagliata».
La sua prossima gara sarà ad Abu Dhabi
A lei cosa dà più fastidio? «Oltre alle domande?» ride. «Non sopporto le pietre degli sterrati. Devi andare più piano per non distruggere la macchina, quindi sballonzoli tutta per ore». Rebecca vuole essere non solo un simbolo o un record, ma soprattutto un esempio, la dimostrazione genuina che, se ti impegni, ce la puoi fare. Anche nella cosa che ti sembra più difficile al mondo. «Il mio unico desiderio adesso è correre. Ma sono certa che, se la mia storia fosse più conosciuta, magari qualche ragazzina che vuole iniziare a guidare e pensa di non potercela fare si sentirebbe spronata. Ecco, se riuscissi a dare motivazione anche a una sola, ne sarei felice» confida. E, prima di salutarci, mi fa vedere il suo portafortuna: una Madonnina nel portafoglio. L’avrà con sé anche alla prossima tappa del Mondiale di Rally Raid: Abu Dhabi, dal 25 febbraio al 2 marzo.