«Noi donne siamo la metà dell’universo: se ci avessero dato la possibilità di esprimerci, avremmo il doppio della poesia, della musica e della letteratura che abbiamo oggi. Invece sa quante sono tuttora le compositrici in Italia? Il 12% del totale». Roberta Di Mario, 52 anni, pianista e compositrice, fa parte di questa sparuta minoranza. Ma il suo impegno culturale non si esaurisce nel proporre i brani che ha scritto: come performer nei teatri racconta e fa risuonare la musica di tante autrici del passato, la cui voce è stata ridotta al silenzio.
Roberta Di Mario ci fa riscoprire tante compositrici e musiciste del passato
Perché sono state, e sono, così poche le compositrici, non solo in Italia?
«Perché nei secoli è stato ripetuto che la donna è in grado di generare, ma non di creare, e dunque la sua parte artistica non aveva rilevanza. Non a caso, non sono passati alla storia neppure i nomi di alcune talentuosissime musiciste, a cominciare dalla sorella di Wolfgang Amadeus Mozart, Maria Anna, detta Nannerl. Valente pianista e compositrice, per anni fu portata in tour nelle corti europee dal padre padrone insieme ad Amadeus. Finché, una volta in età da marito, le fu vietata l’attività concertistica: doveva restare a casa e dare lezioni di musica, grazie a cui finanziare le esibizioni del fratello. Anche Clara Wieck, moglie di Robert Schumann, era una grande pianista e compositrice romantica. Eppure mise da parte la carriera per fare spazio a quella del marito».
E oggi com’è la situazione?
«Il cambiamento è in atto ed è inarrestabile. La riscoperta dei talenti femminili che conduce, oltre a me, a interpreti come la pianista Beatrice Rana serve a disseminare di modelli la vita delle giovani musiciste, a spronarle ad andare avanti. Tuttavia, di compositrici contemporanee ne vediamo poche e la misoginia si ritrova anche in altri ambienti. In ambito jazz, per esempio, ci sono tantissime strumentiste, ma non sono considerate. E nelle orchestre le donne non trovano sempre un ambiente amichevole né guadagnano quanto gli uomini».
Oggi la compositrice tiene masterclass per giovani musiciste
Lei che ambizioni aveva quando ha iniziato a studiare musica?
«Suonare il pianoforte mi è venuto naturale fin dall’età di 5 anni. Forse c’è una componente ereditaria: il mio bisnonno nel 1800 è stato il maestro di pianoforte di Maria Luigia d’Austria, duchessa di Parma. Ho imparato le note prima dell’alfabeto e dopo alcuni anni di lezioni private sono entrata al Conservatorio Arrigo Boito di Parma, dove ho frequentato anche le scuole superiori. Quando mi sono diplomata, sapevo solamente che volevo vivere di musica e sperimentare generi diversi, sconfinando al di là della classica e delle competizioni pianistiche. Più che essere interprete, mi interessava creare e raccontare il mio mondo interiore. Oggi, quando tengo masterclass per giovani musiciste, il mio consiglio è appunto questo: studiate tanto ed esprimete voi stesse attraverso la musica».
A proposito di giovani, lei ha un figlio di 24 anni: come ha potuto conciliare la maternità con il lavoro?
«Ci sono riuscita grazie a una rete di nonni e a un ex marito che mi ha sempre sostenuto. Non escludo che mio figlio Massimo si sia sentito un po’ messo da parte. Infatti, come sostiene la pianista Marta Argerich, il rapporto con il piano è un rapporto amoroso: in certi momenti non esiste nient’altro. Posso affermare, in compenso, che per me avere un figlio è stata una vera salvezza, perché mi ha riportato alla realtà e alla vita. Altrimenti sarei rimasta per sempre in una bolla».
Con il suo lavoro Roberta Di Mario porta avanti il femminismo nella musica
Negli anni scorsi ha portato in tour un concerto reading ispirato al libro Leggere Lolita a Teheran della scrittrice iraniana Azar Nafisi. Una sorta di manifesto femminista.
«Sì. Lavorare con l’attrice, regista e attivista Cinzia Spanò, che ha fondato l’associazione Amleta, mi ha insegnato molto sulla violenza maschile. Lo scopo dello spettacolo era parlare della condizione delle donne in Iran e, più in generale, del tema della parità. Ma per noi era importante sottolineare come la violenza non sia solo verbale o fisica: zittire una donna o denigrare i suoi talenti è un’aggressione altrettanto feroce. Per questo ho amato molto le immagini che hanno accompagnato lo show: sono di Marinka Masséus, una fotografa olandese che ha ritratto le donne con il velo imposto dal regime scomposto dal vento, come un’ala che metaforicamente si solleva e le rende libere».
Quando decide gli abiti per i suoi concerti sceglie capi che mettono in evidenza la sua femminilità?
«Indosso quello che mi fa sentire me stessa: spesso preferisco i pantaloni, ma non penso di dover essere meno femminile per acquisire autorevolezza. Anche con i titoli professionali non scelgo il maschile per “rafforzare” chi sono. Mi faccio chiamare direttrice artistica e compositrice. E se scelgo Maestro anziché Maestra è solo perché quest’ultimo termine mi riporta alla scuola elementare».
Come compositrice e direttrice artistica continua nel sio impegno a far conoscere musiciste a lungo ignorate

La sua musica è sulle piattaforme, eppure si esibisce moltissimo a teatro. Lo fa come atto di resistenza contro il digitale e il relativo ascolto distratto?
«Un’artista ha bisogno di un pubblico. Senza le persone io mi sento dimezzata. Se tanti scelgono di stare con me, mi sento obbligata a fornire un racconto significativo, a farli riflettere ed emozionare, alternando musica e parole, il cui effetto si potenzia a vicenda. Il digitale dà accesso a tutto, ma non permette di approfondire. E a me piacerebbe che, scoprendo le storie delle musiciste a lungo ignorate, da un pubblico nascesse una comunità, ovvero un gruppo di persone che condivide dei valori e che porta fuori dalla sala un pensiero femminista».
I concerti stimolano a ritrovarsi insieme ad altri anziché ascoltare un disco da soli. Per lei conta il modo in cui si fruisce la musica?
«Certo, è importante. Ma credo che la musica serva sempre a sentirsi meno soli. Non a caso nell’anno del Covid ogni due giorni mi sforzavo di tenere un concerto online: so che tanti aspettavano quel momento per trovare sollievo dalla paura e dalla solitudine. Una volta mi ha contattato una mamma che durante il lockdown aveva partorito: faceva ascoltare la mia musica alla sua bambina nell’incubatrice, per farla sentire protetta».
La musica può educare ad ascoltare invece che a parlarsi addosso? Può essere una scuola di rispetto?
«Quella dell’ascolto è un’arte fondamentale e poco diffusa. I social consentono ai tuttologi di esprimersi su qualsiasi tema senza avere alcuna competenza. Stare in silenzio ad ascoltare ci regala invece momenti di profondità e di scoperta. Perciò, sì, credo che la musica possa insegnarci il rispetto e l’attenzione. Per dirla con una battuta, dovremmo passare dal bla-bla-bla al la-la-la».
I prossimi spettacoli con Roberta Di Mario
Roberta Di Mario ha appena portato in tour in Argentina Ala. Elegia in 3 atti, un omaggio al pianoforte e ai suoi grandi autori. Dal 29 al 31 maggio parteciperà alla XIII edizione del Festival dell’Energia di Lecce con Energia: una storia umana, reading concert con l’attore Alessio Boni. Il suo ultimo singolo Pour le piano è su tutte le principali piattaforme (www.robertadimario.com).