Le vacanze di Natale in un campo profughi a Jerash, in Giordania. I primi semi di Sep (www.sepjordan.com) sono germogliati così, tra baracche con tetti in zinco e terra brulla, mentre il resto del mondo occidentale brindava e scartava i regali davanti all’albero. Gli occhi di Roberta Ventura ancora si illuminano quando racconta questo episodio.
Roberta Ventura e la nascita di Sep
Cuneese di origine, 49 anni, ha lavorato una vita nel mondo della finanza poi, nel 2013, ha detto addio ai fondi d’investimento per creare un’impresa sociale di moda. «Ho sempre avuto una passione per il Medio Oriente e ho trascorso l’adolescenza a studiare la storia di questi popoli. Mi accendevo per le questioni sociali e per i diritti, ma sono cresciuta in una città e in un’epoca in cui bisognava fatturare (e scoppia a ridere, ndr) così ho studiato all’Università Bocconi e sono stata a lungo a Londra, insieme a mio marito Stefano». Ma i vecchi amori sono rimasti nel cuore e pian piano, hanno conquistato sempre più spazio. «All’inizio ho pensato al progetto di un doposcuola, ma non mi bastava e sono venuta a conoscere queste realtà con i miei occhi. Il campo di Jerash è stato costruito nel 1967, ormai ci sono gruppi di donne palestinesi che vivono lì con i loro mariti e figli da 4 generazioni e che si sentono dimenticate e umiliate. Sopravvivono spesso rinchiuse in un mondo di stenti e apatia, tanto che la prima malattia diagnosticata è la depressione. Un giorno, finalmente, ho visto una signora sorridere: stava ricamando uno scialle».
Roberta Ventura lavora a Sep per 10 anni prima di lasciare la finanza
Quel volto radioso fa scattare una scintilla in Roberta che insieme a suo marito, anche lui bocconiano, si rimbocca le maniche e studia: analizza dati e modelli di business, fa previsioni e ipotizza bilanci. «La maggior parte delle iniziative che coinvolgono popolazioni svantaggiate ha vita breve proprio perché non è ben strutturata a livello economico. Invece noi abbiamo valutato ogni singolo dettaglio con una precisione ossessiva. E quel Natale di 10 anni fa siamo venuti qua con i nostri figli Giulia e Andrea e con mia mamma per raccontare a tutti loro questo sogno. Già, sembrava proprio un sogno tanto che per tre anni ho continuato a lavorare anche nel settore della finanza. Poi, quando ho visto che Sep camminava sulle sue gambe, ho detto addio alla vecchia me. Il nome? Significa Social enterprise project; volevo una sigla semplice, ma d’impatto, con un suono che ti resta in mente».
Roberta Ventura sta cambiando la vita a molte donne palestinesi
All’inizio il progetto è partito con 20 ricamatrici e oggi ne coinvolge 500. La sede della società è a Ginevra e i negozi sono arrivati a 6 (2 a Ginevra, 2 ad Amman, uno a Milano e uno a Berlino). «Centinaia di donne palestinesi hanno cambiato la loro quotidianità in modo tangibile: c’è chi ha comprato finalmente il frigorifero per poter conservare il cibo nel campo, chi sta mandando i figli all’università» spiega Roberta. «Tutte si sentono indipendenti e orgogliose, perché non si tratta di carità o beneficenza: il ricamo è un’arte che qui si tramandano da secoli . Prima di cominciare con noi frequentano un corso di due mesi in cui fanno anche una full immersion sugli aspetti organizzativi del lavoro. A capo del team abbiamo otto persone che sono diventate business manager e monitorano ordini e tempistiche, mentre le ricamatrici ricevono una paga settimanale e sanno sempre quanto guadagneranno per ogni capo. È tutto trasparente e rodato, quindi loro hanno ritrovato dignità e serenità».
La moda di Sep
Mentre presenta il progetto, Roberta Ventura mostra un capo dopo l’altro. L’essenza sono due mondi che si abbracciano, Oriente e Occidente che mescolano differenze e unicità. I tessuti, per esempio, vengono dall’Italia, le idee creative sono di Roberta e Stefano e i ricami, ovviamente, delle donne di Jerash. «La nuova collezione si chiama “Connect & Embrace” perché vuole creare connessione tra gli esseri umani. I capi sono tutti unici, nessuno è uguale all’altro, portano tutti la firma di chi li ha ricamati. Ma, soprattutto, sono unisex, senza genere e stagione: camicie e pantaloni sono pensati per donne e uomini, giovani e senior, si portano in ogni periodo dell’anno e si trasformano. La kefiah per lui, per esempio, diventa un pareo per lei. E ogni pezzo, grazie alla qualità altissima, è destinato a durare per sempre. Poi ci sono prodotti per la casa, dai cuscini alle coperte, le nuove espadrilles e il profumo, 100% naturale, che riporta all’olfatto le sensazioni delle terre mediorientali».
Abito “Esmeralda” in cotone bianco, un kimono in lino e borsa di juta (Sep, www.sepjordan.com).
I ricami sono arte pura
A stupire sono i ricami, che sembrano pennellate precise di un artista geniale. C’è “waves”, ispirato alle onde del mare e ideato dal team al campo di Jerash, poi “beehive”, tipico della tradizione palestinese, con le forme esagonali che ricordano gli alveari delle api, e ancora i “gigliucci”, i punti italiani dei preziosi corredi di un tempo, o le forme geometriche legate alla tradizione araba e alle architetture delle moschee. «È arte pura, tutto creato senza nodi e con un unico filo. Pensate che qualche anno fa ci hanno contattato dalla produzione di Maria Maddalena, il film con Rooney Mara e Joaquin Phoenix: erano bloccati perché non sapevano a chi far realizzare i costumi. Ci abbiamo pensato noi e per le nostre donne è stata una soddisfazione unica».
Kefiah multicolor
Le emozioni, però non si scindono mai dalle responsabilità. «Siamo un’impresa sociale B Corporation: abbiamo ottenuto la certificazione Bcorp, che non misura solo i risultati economici, ma anche quelli sociali e ambientali, ovvero l’impatto che abbiamo sul benessere dei nostri dipendenti e sulla sostenibilità. La certificazione viene rivalutata ogni 3 anni a testimonianza della serietà e trasparenza dell’iniziativa. Certo, affrontiamo momenti difficili perché sentiamo addosso la responsabilità di tantissime donne che lavorano con noi. Infatti, fatico di più di quando mi muovevo nel mondo della finanza, ma non tornerei mai indietro perché qui ho davvero la certezza di cambiare le cose. Qualche giorno fa, la figlia di una delle ricamatrici mi ha scritto un messaggio per ringraziarmi: mi ha detto che prima sua madre era sempre spenta, piangeva ogni giorno, ora è viva». Roberta torna spesso nel campo, insieme alla famiglia. I figli, che adesso hanno 19 e 14 anni, sono cresciuti tra queste stradine, hanno organizzato lezioni di inglese per i bimbi del posto e stretto legami speciali, che oggi li fanno sentire a casa. «Il futuro? Vogliamo aprire nuovi negozi e ci piacerebbe lanciare qualche collaborazione con i brand del lusso italiani. Ecco, vorremmo che un domani i nostri capi fossero conosciuti ovunque: lo dobbiamo alle nostre donne».