«La mia forza è sapere quello che voglio e quello che non voglio. E andare avanti nel mio cammino». Può suonare come la frase di chi, ignaro delle giravolte violente della vita, esonda in sicurezza o in ingenuità. A pronunciarla è invece una donna che sa quanto si possa, da un giorno all’altro, essere disarcionati dalle proprie certezze. Lei è Zakia Seddiki Attanasio moglie di Luca, l’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo assassinato in un agguato in Nord Kivu il 22 febbraio 2021 mentre viaggiava su un convoglio del Programma alimentare mondiale.
L’assassinio del marito 2 anni fa
Insieme a lui morirono l’autista e il carabiniere della scorta. A sentire parlare Zakia si resta colpiti dal timbro emotivo della sua voce: pronuncia le parole con fermezza e dolcezza. Nomina continuamente Luca, come a dar voce al calore della sua presenza, decisa a portare avanti l’impegno di suo marito, i progetti per i bambini congolesi che avevano imbastito insieme. Insieme, una manciata di mesi prima di quel 22 febbraio, avevano anche ricevuto il Premio internazionale Nassiriya per la pace.
Luca Attanasio è stato definito “uomo di pace”.
«Lo era davvero. Era una persona di una semplicità incredibile e questa era la sua bellezza. Era un sognatore che si è impegnato per realizzare il sogno e può essere un esempio per tanti giovani. Ma era anche concreto. Non era un missionario, un volontario, era un diplomatico, e per questo voglio che sia ricordato».
Luca promuoveva la pace
«Molte persone pensano che fare l’ambasciatore significhi vivere nel lusso di una vacanza. Invece servono tanto lavoro e altrettanta dedizione e Luca lo faceva con molta umanità. Promuovo le cose positive a cui teneva, i suoi valori. Per forza vado avanti: ho 3 bimbe che devono crescere nella memoria del padre (la più grande di 6 anni e due gemelle di 4 anni e mezzo, con loro ora vive a Roma, ndr). Questa è per me la cosa più importante».
Cosa la sostiene in questo percorso?
«La fede mi ha aiutato molto. Quel giorno sarei dovuta andare anche io con Luca, all’ultimo non sono partita. Era destino che dovessi restare a occuparmi delle nostre figlie».
Come vi siete conosciuti lei e suo marito?
«Lui era console a Casablanca, la mia città, dove lavoravo nel settore alberghiero. Come succede a molti giovani, ci siamo innamorati e sposati, a Marrakech e in Italia nel 2015. Il nostro è stato un grande amore che ha superato tutto, la differenza di cultura, di religione. Abbiamo sempre fatto squadra: io l’ho seguito e supportato nella sua carriera in diplomazia, lui mi ha sostenuta nei progetti di volontariato che costruivo».
Si riferisce all’associazione Mama Sofia?
«Sì. Anche in Marocco, il mio Paese d’origine, esiste il problema dei bambini di strada, ma la situazione in Congo è molto più complessa. Quando siamo arrivati a Kinshasa nel 2017 mi sono resa conto della gravità del problema, non puoi vedere e passare oltre. Ho parlato con mio marito e gli ho detto: “Ho del tempo libero, voglio fare qualcosa per questi bambini, per le ragazze madri”. Lui è stato il primo sostenitore di Mama Sofia, nata in Congo come associazione e diventata Fondazione un anno fa in Italia, con l’intento di estendere il supporto anche ad altri Paesi».
Perché questo nome?
«Mama richiama la mamma, la cura che si vuole donare. Sofia riprende il termine greco che sta per saggezza: si mira a dare loro un’istruzione, a investire sul futuro. Per riuscirci, là occorre agire in 3 ambiti: l’educazione, la sanità e l’accesso all’acqua potabile. Sono elementi collegati: se il bambino sta male o deve andare a cercare l’acqua, non può andare a scuola. Il progetto della Fondazione, che è supportato anche dalla Farnesina e da colleghi di Luca, rispecchia e dà continuità al suo impegno come uomo e come diplomatico».
Poi ci sono “I bambini dell’Ambasciatore”.
«È un altro progetto che viaggia in parallelo. Luca voleva riunire le associazioni italiane che lottano per i diritti dei bambini del Congo. Nel rispetto del lavoro da lui iniziato, 14 associazioni umanitarie della rete Congo di ForumSaD (sostegno a distanza) si sono costituite in un gruppo di lavoro autonomo che ha preso il nome di “I bambini dell’Ambasciatore”. Abbiamo la disponibilità della Nazionale italiana cantanti per una partita per la raccolta fondi».
È tornata in Congo?
«Sì. A liberare la residenza dove abbiamo vissuto per 4 anni e a chiudere ciò che andava chiuso. Intendo tornarci presto. Continuerò ad aiutare quel popolo. Sono stata fortunata perché sono stata tanto amata, l’amore non manca neanche ora a casa e cerchiamo di condividerlo con chi ne ha bisogno. Ho sentito subito che Mama Sofia doveva andare avanti: non sono quelle ragazze madri, non sono quei bambini di strada che ci hanno tolto la luce. Uno non può girare loro la schiena perché un altro ha fatto un errore».
Presto sarà febbraio, un mese che per lei, Zakia Seddiki Attanasio, ha segnato svolte cruciali. Tra l’amore e la morte.
«Vero. Io e Luca ci siamo conosciuti il 14 febbraio, giorno di San Valentino. Non voglio che il 22 resti come un ricordo di morte che ti strappa dalle mani il futuro. Mama Sofia è rinata come Fondazione proprio quel giorno, un anno fa: è una data simbolica scelta come messaggio di vita».
mama sofia si chiama così perché a questi piccoli servono cure materne e istruzione. Per costruire il loro futuro
Tutte le iniziative di Zakia Seddiki Attanasio
«Essere ambasciatore è una missione e significa non lasciare indietro nessuno. In qualsiasi parte del mondo». È la sintesi del patrimonio di valori di Luca Attanasio che Zakia Seddiki Attanasio vuole tramandare con la Fondazione Mama Sofia (mamasofia.org).
La promozione della pace
Lo scopo è diffondere valori di pace, giustizia e solidarietà tra i popoli mediante attività culturali di interesse sociale e opere di informazione, istruzione e formazione per una cultura della integrazione, della legalità e della non violenza.
Le borse di studio
Il progetto “Mama Sofia – Borse di Studio Ambasciatore Luca Attanasio” si rivolge a cittadini stranieri di 12 Paesi (Albania, Algeria, Etiopia, Libia, Marocco, Niger, Nigeria, Repubblica del Congo, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Tunisia) e offrirà 32 corsi certificati in lingua italiana e di 32 borse di studio per la partecipazione a corsi universitari in modalità telematica grazie al supporto di eCampus, Vexavit e Anpit.