Per le donne vittime di violenza, che intraprendono un percorso di protezione presso case rifugio o centri antiviolenza, ci potrà essere un percorso “agevolato” per consentire loro di costituire nucleo familiare indipendente da quello del marito autore d violenza. Ma anche una “deroga” per quanto riguarda i requisiti previsti per l’erogazione del sussidio. Nello specifico, le donne inserite in percorsi di fuoriuscita dalla violenza, saranno esentate dall’obbligo di accettare un’occupazione ovunque sul territorio italiano, pena la perdita del contributo. Si tratta di due novità importanti previste da alcuni emendamenti al DL Lavoro, appena approvato in Senato. Ecco cosa cambia in concreto con il primo via libera al testo.

Le novità del Decreto Lavoro

Tra le novità principali al decreto lavoro, appena approvato a Palazzo Madama e che ora passa a Montecitorio, ci sono alcune modifiche ai contratti a termine, la proroga dello smart working per i lavoratori con figli under 14 (fino al 30 settembre per i dipendenti della PA e fino a dicembre per i privati) e in tema di fringe benefits. Ma soprattutto è stato modificato il reddito di cittadinanza, che sarà sostituito con l’assegno di inclusione. Si tratta della misura destinata a tutti quei nuclei familiari con Isee non superiore a 9.360 euro, nei quali siano presenti disabili, minori o over 60.

È qui che sono arrivati interventi specifici per le donne, in particolare per quelle vittime di violenza.

Cosa cambia per le donne vittime di violenza

Nel testo, che andrà alla Camera per poi essere convertito definitivamente in legge entro il 3 luglio, è previsto che le donne inserite in percorsi di fuoriuscita dalla violenza siano esentate dagli obblighi di attivazione sociale e lavorativa previsti per accedere all’Assegno di Inclusione, come quello di accettare un lavoro entro gli 80 km, in caso di contratto a tempo determinato, o su tutto il territorio italiano nel caso di contratto a tempo indeterminato, pena la perdita del contributo. Ma non solo: «Finalmente è riconosciuta la possibilità di costituire nucleo familiare a sé stante, anche ai fini del calcolo dell’ISEE. In altre parole, alle donne supportate dai Centri antiviolenza e dalle Case rifugio viene riconosciuta la loro effettiva situazione economico-patrimoniale, scollegandola a quella dell’autore di violenza, anche in assenza di un provvedimento giudiziario o del decreto di separazione dall’autore di violenza», spiega Rossella Silvestre, Policy Expert di ActionAid.

Cosa significa per le donne avere un nucleo a sé

Per chi assiste e segue le donne che decidono di intraprendere una percorso di uscita dalla violenza si tratta di una svolta importante, attesa da tempo: «La difficoltà maggiore per queste donne sta proprio nell’accesso alle misure di contrasto alla povertà, nella possibilità di ricevere un sostegno economico per intraprendere un percorso nuovo e di autonomia dall’autore della violenza, che spesso è il marito o compagno, che però spesso risulta nello stesso nucleo familiare e nell’ISEE, dunque contribuisce al reddito e limita l’accesso alle misure stesse – spiega Silvestre – Con questo decreto lavoro, invece, si prevede la possibilità di costituire nucleo a se stante, anche quando magari non si è ancora presentata la denuncia o non si è comparsi davanti al giudice per il processo».

Cosa cambia per le offerte di lavoro

Un altro aspetto importante riguarda le condizioni che possono portare a perdere il diritto all’assegno di inclusione, come l’obbligo di accettare un lavoro ovunque sul territorio nazionale, in caso di contratto a tempo indeterminato. Ma questo è impossibile per una donna che ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza, che ha trovato protezione in una casa rifugio o in un centro anti-violenza: non è pensabile che possa trasferirsi lontano. Lo stesso vale per un contratto a tempo determinato, per cui l’obbligo di accettazione riguarda il raggio di 80 km: spesso non esiste una rete di trasporto pubblico sicuro per queste donne», spiega ancora Silvestre.

Decreto lavoro: cosa manca ancora per aiutare le donne

Con il DL Lavoro l’assegno di inclusione avrà un importo di 500 euro al mese, a cui si aggiungono 280 euro mensili di contributo per l’affitto. Si tratta di cifre che possono aumentare nel caso in cui tutti i componenti della famiglia abbiano più di 67 anni o se siano presenti persone con grave disabilità. Si tratta, però, si criteri che limitano ancora in parte l’accesso a tutte le donne: «La misura è prevista solo per le donne con figli minori, quindi in caso non ne abbiano non hanno comunque accesso al sussidio, mentre secondo noi la platea dovrebbe essere estesa. Inoltre si parla di cifre ancora molto basse, per un massimo 6.000 euro all’anno, perché la misura va da 40 euro a 500 euro al mese. Se pensiamo all’ inflazione o ai costi di affitto delle case, sono ancora troppo pochi – osserva la Policy Expert di ActionAid – Infine, non va dimenticato che servirebbe estendere l’inclusione delle donne vittime di violenza anche per altri servizi di welfare».

Servono interventi locali: dagli asili nido ai sussidi comunali

«La possibilità di avere un ISEE a se stante rispetto all’autore della violenza è una novità che secondo noi dovrebbe essere estesa anche ad altri servizi di welfare, come per esempio i criteri di accesso alle graduatorie per gli asili nido, per le donne che hanno subito violenze e hanno figli. Lo stesso vale per altre misure locali», osserva Silvestri, secondo cui all’assegno di inclusione occorrerebbe affiancare «una misura complementare che garantisca l’accesso a un sussidio economico anche alle donne che non sono madri o non hanno figli a carico. Il reddito di libertà, istituito nel 2020, se reso strutturale e finanziato adeguatamente, può colmare tale lacuna. Al momento, però, non è sufficiente: «Prevede 400 euro al mese, ma finora le risorse sono servite per aiutare 2.700 donne in 4 anni, mentre i dati Istat indicano che le donne che avrebbero bisogno, perché in condizioni di vulnerabilità socioeconomica, sono 21mila all’anno».