Quando, nel 2019, lo stato dell’Alabama rese di fatto illegale l’aborto, il Guardian mostrò le foto di chi sedeva nella sede decisionale. E titolò la notizia con un umorismo amaro: «Ecco i 25 uomini bianchi che hanno votato per abolire l’aborto». Era già ovvio quanto fosse paradossale che a discutere di una questione di sanità femminile non ci fossero donne, ma solo uomini. Il problema della rappresentanza femminile non solo nelle sedi politiche, ma anche in quelle divulgative, nella ricerca e nell’innovazione è rimasta da allora una delle più importanti rivendicazioni del movimento per la parità di genere.

È in particolare nell’ambito della sanità che l’assenza delle donne in cariche importanti e di una giusta attenzione sulla questione di genere porta le conseguenze più gravi. Non si tratta solo di disparità, di dover fare il doppio della fatica e di essere costantemente “l’unica donna nella stanza”. Quello che ci si pone davanti è un quadro desolante: le donne non sono prese come esempio quando si testano medicine, cure, protesi. Non si parte dalle donne quando si studiano i principali sintomi delle malattie, non ci si chiede che effetti le terapie abbiano su di loro.

Donne e sanità: il settore FemTech

Per uscire da questa situazione, donne come Kate Ryder (CEO di Maven Clinic), Gina Bartasi (CEO di Kindbody) e Ida Tin (CEO di Clue), hanno dato inizio ad una rivoluzione sia nel campo della tecnologia che della sanità. Da idee nate da donne (per risolvere problemi da donne) sono nate le loro startup, che oggi hanno un successo difficile da quantificare. Hanno unito le loro idee a quelle di altre professioniste, cercando di sopperire alle lacune di un mercato che non vedeva (o non voleva vedere) le donne. Insieme ad altre realtà nate con obiettivi simili, queste imprenditrici hanno dato vita ad un vero e proprio nuovo mercato: il FemTech.

Il termine è stato coniato proprio da Tin e con esso si fa riferimento ad un settore in continua espansione, che già nel 2022 valeva oltre 500 milioni di dollari e si pensa possa raggiungere i 12 miliardi entro il 2028 (dati di Mordor Intelligence). Le aziende FemTech si applicano ad ambiti variegati, dalla salute delle donne in età fertile alla salute della pelle nel periodo mestruale (proprio quest’ultimo tema ha suscitato l’interesse di L’Orèal, che ha dichiarato una collaborazione con l’app Clue).

MedTech e FemTech: l’unione fa la forza

Il successo dell’industria FemTech dev’essere la miccia pronta a far bruciare il fuoco della passione per tutte le donne interessate a lavorare nell’ambito, ma anche un importante monito per le aziende leader del settore che per troppo tempo hanno relegato le donne a ruoli secondari e ignorato i loro problemi. Fortunatamente, in molti si stanno impegnando per mettere le donne al centro anche all’interno del settore più “tradizionale”.

Una fra tutto, l’azienda Johnson & Johnson MedTech Italia, azienda operante nel settore delle tecnologie MedTech, che oggi conferma il proprio impegno per la diversità, l’equità e l’inclusione superando l’audit gestito da Bureau Veritas Italia e certificandosi per la parità di genere (UNI/PdR 125:2022).

Johnson & Johnson MedTech Italia: le donne alla guida

Il risultato conferma l’approccio dell’azienda, che è sempre stato controcorrente: già nel 1886, anno della fondazione del gruppo, su 14 dipendenti 8 erano donne: oggi su circa 700 persone che lavorano in Johnson & Johnson MedTech Italia il 60% è donna. E non solo: il 59% ricopre ruoli manageriali e sono donne la metà del personale dirigente.

La certificazione per la parità di genere è stata rilasciata in seguito ad un’analisi effettuata su sei aree di interesse: cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita ed inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

L’impegno sui temi di diversità ed inclusione è sancito già nella carta dei valori che guida l’operato dell’azienda verso le proprie persone, i clienti e le comunità di riferimento. E i risultati si vedono: i dipendenti si impegnano da anni con gruppi auto organizzati che hanno l’obiettivo di sensibilizzare e impegnare su alcuni temi sociali, i cosiddetti Employee Resource Groups (ERGs) – tra cui spicca “Women Leadership & Inclusion” (WLI), gruppo dedicato allo sviluppo professione e networking per le donne in azienda.

Johnson & Johnson MedTech Italia per la sanità del futuro

I numerosi traguardi e riconoscimenti esterni sono conseguenza naturali di un impegno autentico e costante. Lo conferma il il Presidente e Amministratore delegato di Johnson & Johnson MedTech Italia Gabriele Fischetto: «L’ottenimento della certificazione per la parità di genere è un attestato del lavoro che da sempre la nostra azienda ha fatto per garantire che i principi dell’equità e dell’inclusione siano parte integrante di ogni ambito della nostra organizzazione e della nostra cultura.»

Jonhson & Johnson MedTech è una delle prime azienda ad aver compreso che gli schemi e i modelli tradizionali, che troppo spesso vedono categorie sottorappresentate o escluse tout court – non funzionano più. «Per costruire un futuro resiliente e sostenibile per tutti, le aziende e i leader di oggi hanno il compito di trasformare le sfide in opportunità, abbracciando il progresso culturale offerto dalla valorizzazione della diversità e dalla promozione di una cultura inclusiva all’interno delle proprie organizzazioni.» Quello dell’azienda è un esempio perfetto dell’impatto positivo che l’inclusione della diversità è in grado di generare, ma non dobbiamo vederlo come un traguardo raggiunto. Dev’essere l’inizio di un movimento.