Ines Draoui, 31 anni, tunisina, laureata in Ingegneria civile, da 2 anni lavora come assistente al direttore di cantiere per le Infrastrutture di Aeroporti di Roma. L’abbiamo intervistata per capire da dove arriva il suo coraggio e come ha fatto a superare tutte le sfide
Al nostro appuntamento su Zoom, l’ingegnera Ines Draoui indossa una maglietta con una scritta in arabo. Dice che è una frase che la rappresenta e vuol dire: “Nulla è impossibile”. In effetti, per questa professionista di 31 anni, arrivata in Italia dalla Tunisia nel 2014 senza conoscere una parola d’italiano e laureatasi in Ingegneria civile al Politecnico di Torino, le sfide sembrano essere pane quotidiano. Ancora oggi.
Da 2 anni, infatti, lavora come assistente al direttore di cantiere per le Infrastrutture di Aeroporti di Roma (ADR), società controllata al 99,39% dal gruppo Mundys. Un settore che notoriamente non spicca per presenza femminile. «Spesso mi sono trovata a essere l’unica donna in mezzo a tanti uomini e questo certamente richiede molte energie e forza di carattere. Ma quello che conta, alla fine, sono le competenze, e queste non hanno genere» racconta.
Intervista a Ines Draoui
Giovane, donna e “persino” straniera: qual è stato l’ostacolo più grande, nel suo caso?
«Direi la lingua, perché in Italia vige questo grande orgoglio per cui o parli l’italiano o non ci sono alternative. E io partivo veramente da zero: sapevo dire solo “Buongiorno Italia, buongiorno Maria” (ride, ndr)».
Come ha imparato?
«In università ho trovato un ambiente molto umano: c’erano tanti ragazzi che, come me, arrivavano da altre città ed erano spaesati, quindi avevamo tutti bisogno di fare amicizia in un contesto nuovo e ci siamo aiutati. Io, poi, sono una che si lancia, quindi parlavo italiano anche se facevo errori e i miei compagni ridevano. A un certo punto ho detto loro: “Potete ridere, ma mi dovete anche correggere”. Nell’arco di 6 mesi ho imparato a parlare bene».
Perché ha scelto proprio l’Italia per i suoi studi?
«L’idea iniziale era di andare in Francia, perché, parlando sia arabo sia francese, sarebbe stato per me più facile. Però forse sarebbe stato troppo facile, e invece io volevo uscire dalla mia comfort zone e complicarmi la vita. L’unico vincolo che i miei genitori hanno messo è stato quello di andare in un Paese raggiungibile con un volo di massimo 2 ore».
Oggi con i voli lei ci lavora. Che cosa le piace di più della vita in aeroporto?
«Sono luoghi di passaggio pieni di storie e persone “misteriose”, che mi piacerebbe conoscere. Io sono solo un piccolo pezzo di un grande puzzle, ma cerco di fare del mio meglio per rendere memorabile l’esperienza di viaggio dei nostri passeggeri. Sapere che qualcuno ricorderà il suo passaggio nell’aeroporto di Fiumicino perché è stato bene mi rende felice».
Per il sesto anno consecutivo l’associazione di categoria Airport Council International Europe ha eletto l’aeroporto di Roma Fiumicino il migliore d’Europa oltre i 40 milioni di passeggeri. Che cos’ha di speciale?
«C’è un’attenzione per i dettagli maniacale: pur essendo un aeroporto gigantesco è facile muoversi e sapere esattamente dove andare. E credo che questa, per i passeggeri, sia alla fine la cosa più importante».