Più ricchezza in generale, ma meno posti di lavoro. Potrebbero essere le conseguenze dell’impatto dell’intelligenza artificiale nel mondo professionale e produttivo. Secondo Censis Confcooperative, infatti, il Prodotto interno lordo (PIL) italiano potrebbe crescere dell’1,8% nei prossimi 10 anni proprio grazie all’AI. In compenso, però, sarebbero a rischio fino a 6 milioni di posti di lavoro, quantomeno “tradizionali”, soprattutto femminili.

L’AI cresce nel mondo del lavoro

Che la presenza dell’AI sia destinata a crescere è un dato di fatto, non solo nella vita quotidiana di tutti noi, ma anche nel settore produttivo e professionale. In particolare, secondo le previsioni del Focus Censis Confcooperative “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?”, a vivere le conseguenze dell’intelligenza artificiale nel lavoro saranno in 15 milioni di italiani, dei quali 6 potrebbero perdere il loro attuale lavoro, mentre 9 dovranno in qualche modo adattarsi a collaborare con questa tecnologia, come fosse un nuovo collega. Ma quali sono i settori e le mansioni più a rischio? Purtroppo, ancora una volta, non ci sono buone notizie per le donne.

AI: i lavori più a rischio

Dal report emerge che le professioni per le quali l’AI potrebbe “sostituire” i lavoratori sono intellettuali facilmente automatizzabili, come i contabili e i tecnici bancari, insieme a tecnici della gestione finanziaria, statistici, economi e tesorieri. Il motivo è soprattutto legato alla potenza di calcolo, elaborazione dei dati e velocità, che l’intelligenza artificiale offre. Ma non va meglio per avvocati, magistrati e dirigenti, insieme – curiosamente – agli esperti in calligrafia che figurano nella top 10. Seguono periti, valutatori di rischio e liquidatori, tecnici del lavoro bancario, specialisti della gestione e del controllo delle imprese private e pubbliche.

Chi lavorerà con l’AI

Non sono destinate a scomparire, invece, professioni nelle quali si dovrà lavorare insieme all’AI, come nel caso di direttori e dirigenti della finanza e amministrazione; direttori e dirigenti dell’organizzazione, gestione delle risorse umane e delle relazioni industriali; notai, esperti legali in enti pubblici, magistrati, specialisti in sistemi economici, psicologi clinici e psicoterapeuti, archeologi e infine specialisti in discipline religiose.

L’AI non risparmia i lavori umanistici

«L’AI credo abbia una serie di indiscutibili vantaggi, ma comporta anche alcuni rischi, come nel caso delle professioni in cui c’è una maggior quota femminile. In generale è chiaro che, offrendo la possibilità di elaborare un gran numero di dati in poco tempo, può essere di grande aiuto. È il caso della medicina, per esempio, dove affiancherà sempre di più i medici o i ricercatori. Ma anche in campi non scientifici, come quello delle traduzioni, sta già erodendo spazi», osserva Carmen Leccardi, professoressa emerita di Sociologia della Cultura presso l’Università di Milano Bicocca.

I lavori delle donne i più minacciati dall’AI?

Secondo l’analisi di Censis-Confcommercio, in media i più esposti sono i lavoratori con un grado di istruzione superiore: il 54% di chi ha più da temere ha un diploma di maturità, mentre il 33% è laureato. Al contrario, tra chi svolge lavori più “sicuri” rispetto all’AI, il 64% non raggiunge il grado superiore di istruzione e solo il 3% è laureato. Quanto al genere, le donne rappresentano il 54% dei lavoratori ad alta esposizione di sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità. Perché?

Donne e i lavori di ufficio che cambieranno a causa dell’AI

«Sicuramente ci sono lavori di ufficio ai quali hanno accesso molte donne e che sono destinati a scomparire o a cambiare, e questo potrebbe spiegare la previsione – osserva Leccardi – Ma va anche tenuto presente un dato generale: le donne sono già meno presenti nel mondo del lavoro rispetto agli uomini, circa il 20% in meno rispetto alla media europea, e questo potrebbe spiegare perché l’AI possa costituire un’ulteriore minaccia alla presenza femminile nel mondo lavorativo. C’è poi un altro elemento: si ritiene che le donne abbiano meno dimestichezza con la tecnologia».

AI, donne e lavori tecnologici

«Nonostante l’istruzione terziaria, cioè università e dottorati, veda una presenza elevata di donne, ancora troppo poche popolano l’area STEM perché si pensa che siano “meno tecnologiche” degli uomini», osserva Leccardi. Potrebbero, quindi, essere meno in grado di adattarsi alle trasformazioni richieste dall’intelligenza artificiale. Ma è davvero così? «In realtà le donne scontano una serie di pregiudizi e stereotipi di genere che la stessa AI non fa e non farà altro che replicare, e questo rappresenta la vera minaccia per il mondo femminile», spiega la sociologa.

Le donne penalizzate dall’AI

«Non va dimenticato che l’AI elabora risposte sulla base di dati inseriti, ma queste operazioni sono effettuate soprattutto da uomini. Inoltre fotografano l’esistente, non il possibile. Facciamo un esempio dal mondo del recruitment, cioè la selezione del personale per un posto di lavoro: se si utilizza l’AI è possibile che replichi un modello che preveda che per i posti apicali magari siano da privilegiare candidati uomini rispetto alle donne, specie se madri di figli piccoli. Io credo che siamo a un bivio: questo sarebbe il momento per intervenire sull’uso e le modalità con cui opera l’AI, perché i giochi non sono del tutto fatti. Se aspetteremo, sarà troppo tardi», dice Leccardi.

Professioni di cura (femminili) a rischio?

Il timore di ripercussioni riguarda anche i campi, come quello della cura, che vedono una maggiore quota di lavoratrici donne predominanti, seppure non necessariamente con un livello di istruzione elevato. In realtà, però, si tratta di un timore – almeno per ora – infondato. «I lavori di cura stanno vivendo una crescente importanza, anche di fronte all’invecchiamento della popolazione – osserva la sociologa – Ma ad oggi l’idea che possano essere sostituiti da robot è ancora ‘futuristica’. Un conto è, per esempio, il contributo della tecnologia nella somministrazione di determinati farmaci a orari prestabiliti, un altro è prendersi cura di un essere umano nel complesso. Insomma, ad essere “minacciate” nell’immediato futuro potrebbero essere le mansioni infermieristiche di primo livello oppure quelle nel settore delle pulizie, di fronte a una sempre maggiore automazione. «Il problema, però, come accennato può riguardare gli stereotipi di genere».

Stereotipi di genere che pesano

«Credo che occorrerebbe intervenire per evitare che l’AI, seppure fondamentale e utile in molti settori, replichi una certa visione del mondo al maschile – conclude Leccardi – Il rischio è che l’intelligenza artificiale, costruita su dati condizionati da bias di genere, finisca con l’amplificarli, mettendo maggiormente in luce quelle che sono considerate virtù più maschili e sminuendo le capacità professionali femminili».

Per cosa si usa l’AI oggi al lavoro

In ogni caso la presenza dell’AI continua a crescere, per ora soprattutto nelle attività quotidiane. Il report indica che nel 2024 solo l’8,2% delle imprese italiane ha utilizzato l’AI: meno rispetto alla Francia (9,91%) e molto lontano dal 19,7% della Germania e della Spagna, così come risulta inferiore alla media Ue (13,5%). Solo circa un lavoratore italiano su 4 usa l’AI, ma soprattutto per operazioni semplici come la scrittura di mail, l’invio di messaggi o la stesura di rapporti e CV per trovare lavoro. I maggiori fruitori sono ovviamente i giovani lavoratori, con la punta maggiore tra i 18 e i 34 anni (35,8%).