Non è certo la strada per diventare ricchi (e “strada” non è usato in senso metaforico, in questo caso), ma portare il proprio talento in mezzo alla gente per qualcuno sembra essere davvero impagabile. Parliamo degli artisti di strada: musicisti, circensi e ballerini che si esibiscono all’aperto nelle nostre città, davanti ai quali a volte passiamo distratti, altre li osserviamo incantati.

La rivoluzione dell’arte in strada

Artisti liberi non vuol dire improvvisati. Ricordate che i Måneskin si esibivano a Roma in via del Corso prima di diventare famosi in tutto il mondo? «Spesso questi artisti portano in strada la stessa esibizione che fanno a teatro, per rodare uno spettacolo e vedere come va» ci spiega Eleonora Ariolfo, organizzatrice di eventi e direttrice dell’attuale Federazione Nazionale Arti in Strada (Fnas), prossimamente Outdoor Art Italia.

«La strada è un palcoscenico multidisciplinare, dà spazio a musicisti, mimi, danzatori, statue viventi, giocolieri e cantautori. È l’evoluzione dello spettacolo viaggiante del ’900, con carovane e saltimbanchi». In strada, da sempre, l’arte si rivoluziona: va dalla gente, e non viceversa. E poi il pubblico paga dopo aver visto lo spettacolo, non prima, e solo se gli è piaciuto. «Non c’è una gavetta da fare, si prende e si va» spiega Ariolfo, che nelle scorse settimane con la Fnas ha organizzato a Milano il convegno “Il valore sociale e culturale dell’Arte di strada”.

La Compagnia ManoAmano. Foto di Alessandro Villa
La Compagnia One Shot. Foto di Alessandro Villa

Artisti di strada “puri” e “ibridi”

Professionalmente parlando, esistono due categorie di artisti di strada: i “puri”, che si esibiscono solo in strada, il cui guadagno è rappresentato esclusivamente dai soldi che la gente lascia nel famoso cappello o cesto; gli “ibridi”, che includono l’attività in strada nel loro repertorio e la affiancano alle esibizioni in teatri, club, festival o eventi aziendali e privati. C’è quindi una distinzione tra l’essere ingaggiati e avere, per esempio, l’Inail in caso di infortunio, e l’esibirsi in forma indipendente, diventando i committenti di se stessi e pagandosi da soli assicurazione e fondo pensione. Chi vive solo “di cappello” non paga tasse né contributi, ma non ha neanche tutte le tutele che normalmente hanno (o dovrebbero avere) i lavoratori dello spettacolo.

La pandemia ha messo a dura prova molti artisti. «Ma sono i rischi del mestiere, un inquadramento diverso influenzerebbe la nostra autonomia e libertà» sostiene Claudio Madia, già volto noto del programma per bambini L’albero azzurro negli anni ’90 e saltimbanco di lungo corso (ha scritto anche il libro Saltimbanchi a Milano, con prefazione del Mago Forest).

Le regole da seguire

Tutti gli artisti di strada però, occupando uno spazio pubblico con strumenti, attrezzi, collegamenti elettrici, devono attenersi a una serie di regole comunali che variano da città a città. Le più grandi e turistiche generalmente obbligano a registrarsi su una piattaforma e a prenotare una postazione, che, specialmente nelle aree più affollate e in certi periodi dell’anno, può essere molto ambita (e remunerativa) e deve essere riservata anche mesi prima.

Ogni specialità, poi, ha le sue peculiarità. Valerio Aldrighi racconta che i burattinai come lui non possono lavorare in zone di passeggio e di passaggio perché «lì non si ferma nessuno, mentre un nostro spettacolo ha tempi lunghi e bisogna costruire il rapporto con il pubblico». I parchi, invece, sono ideali.

«Noi portiamo avanti un mondo antico ma altrettanto fragile, che sta morendo perché rende poco economicamente: in un’ora di spettacolo si raccolgono 50-60 euro, 100 se va bene, ma il problema è che più di uno o due spettacoli non li puoi fare, perché non riesci a stare con il braccio alzato a lungo».

In passato c’era chi arrivava la mattina e occupava uno spazio per tutto il giorno. «Oggi si tende a regolamentare almeno i centri storici, per garantire l’avvicendamento dei professionisti» dice Eleonora Ariolfo. Non è tutto frizzi e lazzi: in certe aree ci sono musicisti che suonano ad alto volume e i residenti si lamentano. Così, per esempio, il Comune di Milano – 1.200 artisti iscritti all’albo – ha vietato ogni forma di amplificazione in centro dal lunedì al venerdì, fino alle 19. «Questo provvedimento ha scontentato molti artisti, ma ne sta portando di più a esibirsi lontano dai soliti circuiti» osserva Enrico Chierichetti, responsabile dell’Ufficio Arte di Strada del Comune meneghino.

L’arte in strada è cultura

L’arte di strada ha lo scopo di coinvolgere le comunità e rigenerare le aree urbane attraverso la cultura. Ispirandosi al progetto francese Les Pierrots de la Nuit, alcune città italiane negli scorsi anni hanno provato a implementare l’arte di strada nelle zone della movida, “usando” gli artisti non solo come intrattenitori ma anche per educare i ragazzi a bere responsabilmente e a non fare baccano. Risultato? Meno risse, meno schiamazzi e, in generale, meno criticità.

«Peccato che, esauriti i fondi Ue, questi progetti non siano stati più finanziati» si è rammaricato qualcuno. «Bisognerebbe cambiare il punto di vista su questi artisti, chiamarli artisti in strada. Non è gente che vive per strada ma che sceglie la strada per portare l’arte» commenta Eleonora Ariolfo «Dei rumori per i cantieri in genere non ci si lamenta, perché sono reputati necessari. Ma anche l’arte funziona come presidio sociale, ed è ciò su cui vogliamo lavorare come associazione».

L’arte di strada al femminile

Donne che fanno questo mestiere ce ne sono? Sì, tante. Racconta Rita Pelusi, pioniera dell’arte di strada “al femminile”: «Per me è stato rivoluzionario arrivare in strada anni fa con il pianoforte e fare anche satira politica. Ai tempi questo era un settore molto maschile, ma meritocratico: o funzioni o il pubblico se ne va. Oggi ci sono tantissime donne che suonano o fanno teatro di strada, ed è stupendo, la discriminazione di genere non c’è».

E neanche il pericolo? Mi risponde così il musicista Dario Buccino: «Una volta un ubriaco mi puntò una pistola alla testa: per fortuna fu fermato dalla polizia, ma poi la polizia interrogò me. Un’altra volta un vigile urbano si era incaponito e mi fece una multa di 5.500 euro. Grazie alla gente che era là ne raccolsi subito mille. Quindi no, episodi di violenza quasi mai, ma tanto amore invece sì».

L’arpista Patrizia Rossi. Foto di Marco Flores