Più che camici bianchi, dovremmo chiamarli camici rosa perché, silenziosamente ma con grande tenacia, nel nostro Paese oggi le donne medico sono più numerose dei colleghi uomini. La tendenza, in atto già da alcuni anni, si è consolidata facendo segnare uno storico sorpasso.
Quante sono le donne medico in Italia?
Dal Bilancio Sociale 2024 dell’Enpam, l’ente previdenziale di medici e odontoiatri (su enpam.it) emerge, infatti che, al 31 dicembre 2023, la componente femminile era arrivata al 50,1%. Tradotto in numeri assoluti: in Italia le dottoresse sono circa 56.000, i dottori 51.000. «Il dato era già evidente nelle fasce di età più giovani, ma adesso riguarda il complesso della categoria» osserva Alberto Oliveti, presidente di Enpam.
Il futuro della professione medica e il destino stesso del Servizio sanitario nazionale si scriveranno, dunque, con l’azione delle donne e con la loro grande capacità di prendersi cura
Le donne medico curano meglio i pazienti
Decisamente un bene, e a dirlo è la scienza stessa: i pazienti curati da un medico donna hanno tassi di mortalità e di riammissione in ospedale più bassi rispetto a quelli seguiti da medici uomini, secondo i risultati di uno studio condotto dall’Università di Tokyo e dall’Università della California pubblicati sulla rivista Annals of Internal Medicine. Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno analizzato le cartelle cliniche di oltre 700.000 pazienti, di età pari o superiore ai 65 anni, ricoverati in ospedale negli Stati Uniti tra il 2016 e il 2019. E il primato numerico femminile è destinato a crescere nei prossimi anni, se si considera che nel 2023 tra gli iscritti alle prove nazionali di ammissione ai percorsi di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e protesi dentaria e Medicina veterinaria in lingua italiana le donne erano circa il 70% (55.441 contro 23.915 uomini).
In chirurgia le donne medico sono ancora poche
Se i numeri, sia dei medici in attività sia di quelli futuri, ci dicono che il sorpasso rosa è un dato di fatto, guardandoli bene emerge qualche zona grigia. A impugnare il bisturi, o a manovrare i robot operatori, sono ancora soprattutto uomini. I cardiochirurghi maschi sono poco meno dell’80% del totale, percentuale ancora più alta in Ortopedia e Traumatologia dove si sfiora l’82%. E dire che anche in chirurgia le donne sembrano avere performance migliori. Nel 2017 uno studio pubblicato sul British Medical Journal ha esaminato i risultati di 100.000 interventi eseguiti in Ontario, Canada, tra il 2007 e il 2015, scoprendo che i pazienti operati dalle chirurghe avevano circa il 4% in meno di probabilità di morire, tornare in ospedale o avere complicazioni nei 30 giorni successivi all’intervento. La ragione? Sicuramente l’empatia e la capacità di ascolto, che sono il primo passo per una diagnosi accurata.
Gli stereotipi sono un ostacolo
Ma non solo. «Le nostre mani sono piccole, agili, precise» spiega Daniela Rega, dirigente medico S.C. Chirurgia Oncologica Colorettale, responsabile UOS Chirurgia Anorettale dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione G. Pascale di Napoli e presidente dell’associazione Women in Surgery Italia, nata proprio per promuovere la parità di genere in chirurgia (womeninsurgeryitalia.it). «Le chirurghe sono ancora poche perché su questa professione pesano diversi stereotipi che scoraggiano le ragazze. Per esempio, che serva forza fisica; che, essendo un lavoro manuale, sia prerogativa maschile; che gli orari siano difficilmente conciliabili con la famiglia».
La tecnologia è di aiuto alle donne medico
Per carità, tutte cose vere – tanto che, per esempio, il 66% delle chirurghe non ha figli – ma superabili con interventi a sostegno della genitorialità e maggiore flessibilità e organizzazione dei turni. Alcuni bias, però, già oggi non hanno motivo di esistere. «Quello del chirurgo è un lavoro faticoso, certo. Sia emotivamente sia fisicamente. Ma da questo punto di vista la tecnologia ha fatto passi da gigante: posso operare seduta in poltrona grazie a un robot. E anche quando opero alla vecchia maniera faccio molta meno fatica, perché gli strumenti chirurgici stanno diventando sempre più leggeri, maneggevoli e adatti alle mani femminili» continua Daniela Rega.
Per esempio, ho una suturatrice che uso per tagliare le viscere su cui non devo imprimere molta forza, mi basta una minima pressione
Gli stipendi restano ancora sbilanciati
«Il primato numerico femminile, purtroppo, non si accompagna alla parità di genere. C’è una lunga strada da fare sul fronte dei redditi, che restano sbilanciati a svantaggio delle professioniste, con ricadute sulla pensione futura» sottolinea Alberto Oliveti. Dai dati di Enpam, infatti, emerge che, a parità di ruolo, una dottoressa può guadagnare in media anche il 45% in meno di un collega. Sempre l’Enpam rileva che nel 2022 le libere professioniste attive sono circa 35.000 e indicano un reddito medio annuo di 50.000 euro, gli uomini sono 46.500 con reddito medio di 80.000 euro.
Donne medico primario? Sono pochissime
E che dire del famoso soffitto di cristallo contro cui si infrangono le carriere? Solo il 5% dei direttori di unità operative di chirurgia in Italia sono donne. Le percentuali sono ancora più basse in alcune specialità: 1% in chirurgia toracica e 3% in otorinolaringoiatria. La parità resta così un miraggio raggiungibile forse tra molti, troppi anni. Anche se alcuni passi avanti ci sono: vedi la recentissima elezione della professoressa Cecilia Becattini, ordinario di Medicina Interna presso l’Università di Perugia e direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina di Emergenza-Urgenza, alla presidenza della Società Italiana di Medicina Interna per il triennio 2028-2030. Prima donna in 140 anni di storia.
La mia nomina rappresenta simbolicamente il successo di una generazione di donne che hanno conquistato posizioni di vertice grazie alle loro capacità, competenze e meriti, non per l’applicazione di quote di genere
I vantaggi di una sanità “rosa”
Un importante cambiamento che non riguarda solo la presenza femminile in ruoli apicali, ma anche una trasformazione profonda nel modo in cui la medicina viene praticata e gestita. Con il contributo delle donne in posizioni decisionali, infatti, le politiche sanitarie e le strategie terapeutiche potranno acquisire una prospettiva più bilanciata, capace di rispondere meglio ai bisogni di tutti. Senza discriminazioni.