La storia strabiliante di Hedy Lamarr, sfuggita al nazismo e approdata a Hollywood, restituisce bene la misura di quanto il contributo femminile al progresso scientifico sia stato nei secoli svilito da pregiudizi e rimozioni. Lamarr è stata celebrata per la bellezza e la sensualità bollente, ma è sempre passata in secondo piano, come una nota dissonante, la sua opera di brillante scienziata autodidatta. Tra le sue invenzioni si annovera un sistema anti-intercettazione per siluri radiocomandati i cui principi sono alla base degli odierni sistemi di telefonia mobile e wi-fi. Ricevette il meritato riconoscimento solo pochi anni prima della morte nel 2000. E solo nel 2017 un film, Bombshell, ce l’ha finalmente raccontata in tutte le sue intriganti sfaccettature.
Donne cancellate dalla storia ufficiale della scienza
Invisibili e presenti. Così Maria Pia Abbracchio, prorettrice vicaria con delega alla Ricerca e innovazione, docente di Farmacologia, e Marilisa D’Amico, prorettrice con delega alla Legalità, docente di Diritto costituzionale, entrambe presso l’Università degli Studi di Milano, definiscono le tante figure di chimiche, fisiche, biologhe rimosse dalla storia ufficiale nel libro a quattro mani Donne nella scienza (Franco Angeli). «Le loro ricerche non si trovano negli annali ufficiali» precisa Abbracchio «ma nei taccuini di laboratorio, negli scambi epistolari coi mariti e i padri per i quali lavoravano. Nel libro abbiamo ricostruito un po’ di queste storie. Da Gina Lombroso, figlia di Cesare, scienziata vivacissima, a Mileva Maric, moglie di Einstein (come lui fisica, ma bocciata all’esame di laurea perché incinta, ndr), le cui lettere fanno pensare a un coinvolgimento importante nella scoperta della relatività». La storica della scienza Margaret Rossiter ha coniato un’espressione per definire il mancato riconoscimento delle scoperte scientifiche femminili, sistematicamente attribuite a colleghi maschi: “effetto Matilda”, dal nome della suffragetta Matilda Joslyn Gage, il cui saggio fondamentale, Woman as inventor, fu snobbato dai contemporanei.
Why so few? Cercasi donne nelle scienze esatte
In occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, l’11 febbraio, sono tre le domande da porsi, suggerisce Camilla Gaiaschi, ricercatrice dell’Università del Salento, sociologa esperta di disuguaglianze di genere nelle professioni scientifiche e autrice di Doppio Standard (Carocci). Why so few? Why so low? Why so slow? «La prima – perché così poche? – evoca il tema dell’accesso, la questione controversa della scarsa propensione delle ragazze non tanto per materie più “femminilizzate” come biologia e chimica quanto per le “scienze esatte”: ingegneria, fisica, informatica. È in questi settori che il gap è vistoso e si riflette nelle carriere». A livello europeo, continua Gaiaschi, «le donne rappresentano il 31% di scienziati e ingegneri, secondo i dati Eurostat del 2022, mentre l’Italia tocca il 33: con uno scarso livello di occupazione femminile e un numero discreto di donne in professioni tradizionalmente maschili come quelle scientifiche, il nostro Paese rappresenta un paradosso».
Why so low? Il gap inizia già all’università
Fotografa bene la seconda domanda – perché così indietro? – la metafora del “tubo che perde” o leaky pipeline: ideata per rappresentare la graduale emorragia di scienziate nelle varie tappe della carriera, è confermata dal recente Rapporto Anvur, l’ente di valutazione delle università italiane, secondo cui la quota di iscritte in scienze, ingegneria e informatica è inchiodata al 39% da 10 anni: le donne rappresentano il 57% dei laureati, il 42 dei professori associati e solo il 27 degli ordinari. «La leaky pipeline suggerisce che gli ostacoli sussistono a tutti i livelli del percorso, non solo alla fine come indica l’idea del soffitto di cristallo, e che le asimmetrie sono l’effetto di svantaggi accumulati nel tempo che si riproducono fino a trasformarsi in disuguaglianze» scrive Gaiaschi. Le donne restano schiacciate nelle prime fasi della carriera, quelle più fragili, o addirittura fuoriescono dal percorso accademico-scientifico, «per questo il cambiamento è così lento, per rispondere alla terza domanda (perché così lento?): secondo alcuni studi ci vorranno diversi decenni per arrivare alla parità ai vertici di professioni come quelle scientifiche».
Donne e scienza: ancora tanti i pregiudizi
In passato i pregiudizi erano espliciti, ma ancora adesso certi bias sono così radicati che fatichiamo a coglierli. «Spesso è stata proprio la scienza, con teorie oggi screditate, a ipotizzare differenze innate tra maschi e femmine, che renderebbero le donne non idonee alla carriera scientifica» spiega D’Amico. «La scelta di ritrarre due Barbie sulla copertina del nostro libro» aggiunge Abbracchio «è un’ironica reazione a un altro stereotipo ricorrente e scoraggiante, che vorrebbe le scienziate necessariamente poco attraenti». Mentre le neuroscienze hanno fatto giustizia del pregiudizio che a partire da Aristotele giudicava l’intelligenza femminile inferiore, a infrangere il cliché della scienziata austera contribuiscono oggi ricercatrici che hanno abbracciato con successo la divulgazione scientifica e imposto un nuovo modello di studiosa.
La rockstar della fisica con il crop top
«Quando ho scelto l’università, non avevo figure di riferimento» ricorda Gabriella Greison, che con un curriculum di tutto rispetto è definita “rockstar della fisica”. «Per questo ho deciso di diventare, con le mie competenze e il mio percorso, la frontwoman di ogni racconto: scrivo libri e da quelli traggo spettacoli teatrali. Fino a pochi anni fa alle ragazze si diceva: “Lega i capelli, non mettere il rossetto, non è una sfilata, è un laboratorio”. Doveva essere l’intelligenza a parlare. All’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Torino, ho scelto di indossare un tailleur con una canottiera corta sulla pancia. Pare una sciocchezza, ma una teenager appassionata di fisica che mi vede fa meno fatica a identificarsi, si sente meno “sbagliata”» dice Greison, in libreria tra pochi giorni con La donna della bomba atomica. Storia dimenticata di Leona Woods, la fisica che lavorò con Oppenheimer (Mondadori).
Io e il collega maschio
Anche Mia Canestrini, esperta di biodiversità, conferma di aver «assaggiato il sapore amaro dei pregiudizi di genere. Laureata col massimo dei voti, ho iniziato quasi subito a lavorare dove volevo. Ma a parità di contratto e di talenti col mio collega maschio, che all’epoca era anche il mio compagno, c’erano attività a me precluse. Era lui a lavorare sul campo o a rappresentare il gruppo nei contesti più prestigiosi, a me spettava l’educazione ambientale con le scuole». Questa “specializzazione” forzata, che ha portato Canestrini, bella e spigliata, a farsi carico anche delle interviste, ha impresso una svolta alla sua vita: «Ero “la ragazza dei lupi”, incuriosivo, mi proposero di scrivere un libro. Da lì è partita la mia carriera radiofonica, televisiva, di scrittrice. Io però non ho mai scelto: fosse stato per me, avrei fatto la donna di scienza, pura e cruda».
I social possono aiutare le scienziate
Come Greison, Canestrini ha trovato nella divulgazione una sponda fertile: «I social hanno permesso a molte colleghe di affermarsi, condividere col pubblico un bagaglio non valorizzato di conoscenze, prendendosi spazi maggiori di libertà. È una rivoluzione, ma anche un rischio. Mi è capitato di essere attaccata duramente da colleghi: mi hanno rinfacciato di “aver fatto la messa in piega per uno scatto col gufo reale”, o di aver comprato la laurea. Il largo pubblico è meno sessista, ha meno problemi a riconoscere a una bella donna intelligenza e competenze, soprattutto se nel suo lavoro è capace di coinvolgere ed emozionare».
È una rivoluzione sotterranea, come dice Canestrini. E se sulla Terra il calendario della parità scorre lentamente, nello spazio viaggia a grande propulsione. «Nel 1969 le navi spaziali del dio Apollo hanno fatto volare soltanto gli uomini» scrive Tommaso Ghidini, capo del Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Agenzia Spaziale Europea, nella prefazione al libro di Abbracchio e D’Amico. «Oggi stanno per tornare sulla Luna ma, con e in nome delle donne, la missione si chiamerà Artemide, sorella gemella di Apollo: Artemide 3 poserà sulla Luna la prima donna e la prima persona di colore. Qui si scrive la Storia».
In libreria
Doppio standard. Donne e carriere scientifiche nell’Italia contemporanea (Carocci)
L’autrice, la sociologa Camilla Gaiaschi, mette in luce sia gli elementi strutturali sia i meccanismi spesso invisibili alla base delle disuguaglianze di genere nel lavoro e nella scienza in Italia. Il suo saggio, frutto di 8 anni di ricerche, mostra come il metro di valutazione utilizzato nei confronti delle donne sia generalmente più severo. Questo determina una serie di svantaggi che si manifestano fin dal momento dell’assunzione e poi continuano nel livello di retribuzione e nelle opportunità di promozione.
Donne nella scienza. La lunga strada verso la parità (Franco Angeli)
Quante volte abbiamo sentito frasi come «Le donne non hanno mentalità analitica», «Ingegneria e fisica sono materie da maschi»? Tante, troppe, al punto che ci paiono normali. Invece perpetuano un pregiudizio, dissuadendo le ragazze dallo studio delle discipline Stem e disconoscendo il contributo che le donne hanno dato alle scienze. Le autrici – Maria Pia Abbracchio, ordinaria di Farmacologia e prorettrice vicaria all’Università degli Studi di Milano, e Marilisa D’Amico, ordinaria di Diritto costituzionale e prorettrice nello stesso ateneo – attingendo a varie testimonianze e alla loro esperienza, raccontano tutti gli ostacoli che hanno allontanato le donne dalla scienza.