«La felicità è una regola, non un’illusione» sostiene Walter Rolfo, ingegnere e psicologo con un passato da prestigiatore. Quindi, forse, vale la pena credergli. O, quantomeno, dargli una chance. Rolfo, 52 anni, nella sua vita è stato molte cose: autore e conduttore televisivo in Rai e a Mediaset, scrittore e, appunto, prestigiatore. Prima di reinventarsi “mago della felicità” si è laureato in Ingegneria gestionale al Politecnico di Torino e poi in Psicologia, «per essere preso sul serio». Oggi che insegna a contratto all’università, dirige corsi di formazione, scrive libri (Le aziende felici lo fanno meglio (il budget), edito da Sperling & Kupfer), tiene lezioni-spettacolo nei teatri (La formula della felicità, che il 12 agosto approda all’Ariston di Sanremo, aristonsanremo.com), sostiene che «la felicità è una scelta, e tutti possiamo allenarci a essere felici».
La felicità è una scelta, anche al lavoro
Dice una cosa grossa, mi convinca.
«È chiaro che un’idea univoca di felicità non esista. La mia è che la felicità sia uno stile di vita fondato su scelte precise che si esercitano quotidianamente».
Può farmi un esempio?
«Davanti a un imprevisto c’è chi sceglie di lamentarsi per ogni minuto perso e chi pensa che poteva comunque andar peggio. Cambiare la prospettiva cambia il nostro approccio, rendendoci a mano a mano più felici».
Detta così sembra un po’ Pollyanna, perdoni il paragone.
«Lei ha ragione. Però è vero che alla domanda “Come va?” rispondiamo quasi sempre allo stesso modo, perché la vita è più o meno uguale per tutti: lavoro, famiglia, salute… Alla domanda “Come stai?”, invece, possiamo scegliere di stare bene oppure no».
Non per tutti è una scelta, però.
«Lo diventa quando abbiamo un sacco di cose che potenzialmente dovrebbero renderci felici e non lo fanno, soprattutto in questa parte fortunata del mondo. Camminare, prendersi un gelato, andare al ristorante o anche solo al supermercato: la nostra libertà la diamo spesso per scontata. Ma la vera felicità è essere felici senza un apparente motivo».
Ciò che lei definisce felicità io la intendo più come gioia di vivere.
«Comunque la si voglia chiamare, chi vive la vita inseguendone solo i picchi fa un danno a se stesso, perché i picchi saranno pochissimi. Il segreto è vivere bene tutto ciò che c’è nel mezzo, cioè il 90% dei nostri giorni».
I dipendenti felici lavorano meglio
Sembra facile, ma lei che lavora principalmente con le aziende avrà notato che, soprattutto in questo momento storico, in ufficio si “sopravvive” parecchio.
«Come dico sempre a manager e imprenditori: che voi siate romantici o avidi, dovete tenere in grande considerazione la felicità dei vostri lavoratori. Nel primo caso perché aiuterete a costruire un mondo migliore; nel secondo perché è provato che i dipendenti felici performino meglio».
Il benessere sul lavoro sembra essere una priorità per la Gen Z, ma anche le altre generazioni immagino preferiscano non essere maltrattate.
«La rappresentazione dei 20enni di oggi come sognatori green, che scelgono le aziende in base alle mangrovie piantate nelle foreste e vivono il lavoro come un’esperienza mistica mi fa un po’ sorridere. La verità, che emerge dalle ricerche, è che questi ragazzi vogliono soprattutto qualcuno che si prenda cura di loro. A fare la differenza, quindi, è un ambiente di lavoro che possa garantire percorsi chiari e obiettivi precisi. I giovani di oggi sono cresciuti con un’infanzia e un’adolescenza programmate al minuto e senza pianificazione si sentono persi».
Felicità e lavoro: quando arriva l’ansia
L’ansia è il filo conduttore dei nostri giorni, altro che felicità…
«Secondo la piramide psicologica di Maslow, tutti gli esseri umani hanno bisogni fisici, emotivi, sociali e spirituali che devono essere soddisfatti in base alla loro priorità: prima quelli fisici, nutrizione e protezione, poi gli altri. Il livello massimo è rappresentato dall’autorealizzazione: un tempo, per arrivarci si impiegava una vita e ci si ritrovava a interrogarsi sul senso della propria esistenza a 80 anni. Oggi che molti bisogni vengono soddisfatti prima, il tempo della consapevolezza arriva con largo anticipo».
Vale per tutti.
«Infatti io per questo dico che è necessario tornare a sognare, scoprire cosa ci fa battere veramente il cuore. Se oggi chiedi a qualcuno che sogno ha, difficilmente saprà dare una risposta con un senso».
Felicità e lavoro: tornare a sognare
Nel suo nuovo libro Le aziende felici lo fanno meglio (il budget) dice che questa è anche l’arma che i negozietti di quartiere hanno per battere Amazon. Non sarà un po’ troppo?
«I consumatori premiano chi dà loro un’emozione. E siccome nessuno si affeziona ad Amazon, se un giorno arrivasse un sito concorrente a offrire lo stesso servizio facendolo pagare un centesimo di meno, tutti abbandoneremmo Amazon. Mentre non abbandoneremmo il panettiere che ci chiede sempre come stanno i figli e i genitori o il negoziante che ci fa un regalo inatteso, anche se costa un pochino di più. Tutto quello che alle persone non dà emozione viene definito dagli inglesi “commodity” ed è sostituibile. Le aziende “felici” non lo sono, né lato cliente né lato dipendente».
Diventare un’azienda felice
Che cosa suggerisce alle aziende per conciliare felicità a lavoro?
«Di prestare attenzione a tutti i dipendenti e non stravolgere le regole solo per soddisfare i nuovi entrati. L’abilità di un capo sta nel riuscire ad armonizzare l’ambiente di lavoro, per attrarre i nuovi talenti senza far scappare quelli che sono dentro da 30 anni».
E come si fa?
«Nella mia società, per esempio, se devo battagliare un prezzo con un cliente, chiederò di farlo a un dipendente più grande; se ho bisogno di una ricerca, mi rivolgerò a un collaboratore più giovane. Questo perché parlare mette profondamente a disagio i ragazzi, preferiscono evitarlo, mentre sono dei segugi nati. In più, bisogna ricordare che per motivare le persone esistono due approcci: il “via da” e il “verso a”. Nel primo si genera una paura, come quella del fallimento, nel secondo si propone un obiettivo, come una promozione. La migliore azione è sempre una combo motivazionale delle due».