Ho appena deposto un uovo sulla carta del cuculo beccogiallo. E va bene che la vita è imprevedibile, ma mai avrei pensato di fare l’ornitologa. Il bello dei giochi da tavolo sta anche in questo esercizio d’immedesimazione. Così, davanti a Wingspan, il cui scopo è attrarre nella propria voliera i migliori esemplari di uccello, non posso fare a meno di domandarmi: “Chi è il genio a cui è venuto in mente di creare un gioco competitivo di collezionismo ornitologico?”. In realtà è una genia. Si chiama Elizabeth Hargrave e fa la game designer.
Chi è e cosa fa un game designer?
Più precisamente, è una board game designer, la figura professionale che progetta e crea giochi da tavolo. Oltre ai classici di cui un po’ tutti abbiamo esperienza, come Risiko o Monopoly, c’è infatti un universo di giochi con migliaia di ambientazioni che aprono a un’infinità di esperienze differenti. Ciascuno è frutto dell’idea di un autore o, sempre più spesso, della collaborazione fra più autori, professionisti il cui lavoro consiste nell’immaginare un gioco e concretizzarlo in un prototipo.

In Italia le autrici di giochi sono ancora poche
«Il fenomeno autoriale italiano è molto ampio e i nostri autori sono apprezzati nel mondo per l’originalità» spiega Matteo Sassi, game designer e membro di SAZ Italia, l’Associazione degli autori di giochi da tavolo. «La stragrande maggioranza dei game designer italiani è freelance, crea il proprio gioco e poi lo cede alle case editrici in cambio di royalties. Diverso è il caso degli assunti in aziende del settore come game designer a tempo pieno. Altri ancora si occupano di servizi accessori, per esempio la revisione dei regolamenti o la scelta di grafiche e materiali» conclude Sassi. Che da anni, con colleghi e colleghe, supporta le donne che vogliono intraprendere questa carriera.
Negli incontri degli autori e delle autrici di giochi da tavolo IDEAG, organizzati ogni anno in tutta Italia, la partecipazione femminile va dal 7 al 10%. E dei circa 100 iscritti a SAZ Italia, solo 8 sono donne
Tutto parte da un’idea
Tra loro c’è Flaminia Brasini, 57 anni: giocatrice di lunga data e formatrice, è una delle prime game designer italiane. «Se guardi le foto dei primi incontri di IDEAG, tra gli uomini ci sono solo io. Ora le cose stanno cambiando» racconta. Da quando ha iniziato a creare giochi in modo sperimentale con il compagno e gli amici, Flaminia ne ha pubblicati una ventina. «Il game designer sostanzialmente si fa venire idee. L’ispirazione può nascere da un tema che piace, dal tipo di esperienza che si vuole far vivere ai giocatori o da una certa meccanica di gioco. Poi si deve fare tutto ciò che serve per concretizzare quell’idea, calcoli matematici compresi! Infine, nella fase di test il prototipo viene messo sul tavolo e giocato: solo così l’autore capisce se c’è qualcosa cui deve rimettere mano».

Non c’è game designer che non sia anche un appassionato
Anche Stefania Niccolini, 53 anni, idea giochi da tavolo da tempo, insieme al marito. È laureata in Economia e fa la consulente del lavoro, ma il cuore la porta altrove. «Non puoi fare il game designer senza la passione per i giochi da tavolo. A noi è venuta da 20enni, quando l’arrivo della prima figlia ha cambiato la nostra idea di serata. Abbiamo iniziato a cambiare le regole di quelli che non ci convincevano: forse è così che siamo diventati game designer!» racconta con entusiasmo. L’idea per uno dei primi giochi l’hanno avuta durante un viaggio in bici lungo il Reno. «Guardandoci attorno abbiamo deciso di creare un gioco che prevedesse la consegna di merci nelle città sul fiume».
Le donne propongono giochi più innovativi
Uno dei giochi cui ha recentemente lavorato Marta Ciaccasassi, invece, è incentrato sui bonsai: 34 anni, laureata in Informatica, non pensava agli alberi giapponesi prima di iniziare a lavorare per gli editori Ghenos Games e dV Games. «Il gioco è una costante nella mia vita dal giorno in cui ho ricevuto in regalo una Nintendo. Poi a 20 anni ho avuto un colpo di fulmine per i giochi da tavolo» ricorda. E con un mix di volontà, autodidattica e prototipi, è diventata autrice e sviluppatrice. «Ricevo proposte dai designer, valuto se siano coerenti con la nostra linea editoriale e poi, se accettate, ne seguo lo sviluppo tecnico, “mediando” tra le volontà dell’autore e quelle dell’editore. Per fare questo lavoro serve tanta curiosità, la voglia di inoltrarsi anche là dove normalmente non si andrebbe».
Gender gap nel game design: è una questione culturale
Un coraggio che Marta intravede sempre più spesso nelle giovani designer. «Tante propongono giochi geniali e dirompenti, che non vengono valorizzati proprio perché sovvertono i capisaldi di un settore maschile che parla a un pubblico maschile». Ma questo non è l’unico motivo per cui oggi sono ancora poche, in Italia, le game designer. «Il problema nasce da un’impostazione culturale che per secoli ci ha tenute lontane dal gioco. Perché “non siamo fatte per la competizione”, “abbiamo cose più importanti da fare”, “non siamo capaci”» riflette Flaminia Brasini. «Serve un grande lavoro culturale per far guadagnare alle donne la libertà e il piacere di giocare senza condizionamenti o paura». Marta Ciaccasassi aggiunge: «Ricordiamoci che la storia dei giochi da tavolo si fonda anche sul lavoro di donne che hanno cambiato l’industria, come Elizabeth Magie, la dimenticata creatrice di Monopoly».

Serve più contaminazione al tavolo
I condizionamenti sociali, l’autoreferenzialità del settore, il gioco ancora percepito come infantilizzante: ecco perché serve più varietà di voci e penne. «C’è ancora poca contaminazione al tavolo. Riguarda le donne, sì, ma anche tutti quei linguaggi che restano esclusi dall’autorialità e quindi dalla rappresentazione» dice Emma Mottarella, 43 anni, psicoterapeuta e game designer. Ha iniziato a progettare giochi 3 anni fa, quando è diventata game trainer, il professionista che utilizza il gioco come strumento di riabilitazione. Il suo progetto più concreto è Quixiliht, che simula l’esperienza d’apprendimento di una persona con DSA. «Ho ricreato la difficoltà di comprendere un testo, memorizzare le informazioni, compiere scelte strategiche e gestire il tempo» spiega. «Il gioco ha un potenziale enorme, è trasversale e condiviso, ma dobbiamo allargare la platea di chi lo crea per cambiare cosa ci racconta».
Per fortuna è una trasformazione già in corso e – me lo hanno confermato Flaminia, Stefania, Marta ed Emma – le ragazze della Gen Z non temono il gioco. A proposito, è il mio turno. Depongo un altro mini uovo di legno color lilla sul mio martin pescatore. E poi vado a googlare Elizabeth Hargrave. Glielo devo.
Se vuoi entrare nel mondo del game design: i consigli
CORSI A fine maggio parte Progettare giochi da tavolo, il corso della Scuola Holden di Torino coordinato da Andrea Chiarvesio, uno dei game designer italiani più influenti dell’ultimo ventennio (scuolaholden.it). All’Università degli Studi di Genova c’è il corso di perfezionamento universitario in Gaming and Boardgame design, aperto a diplomati e laureati (dispi.unige.it).
EVENTI Le fiere di settore sono utilissime per incontrare altri autori e giocatori. In Italia le più importanti sono “Play – Festival del Gioco”, a Bologna in primavera (play-festival.it/home), e “Lucca Comics & Games”, in autunno (luccacomicsandgames.com). Mentre gli incontri di game designer IDEAG si tengono nel corso dell’anno in varie città (idea-g.it).
SOCIAL Il gruppo Facebook IDG – Inventori di Giochi è una community di quasi 6.000 persone in cui confrontarsi e chiedere consigli. Game Design – Gruppo di discussione, su Telegram, è un po’ più piccolo ma conta più donne. Lo gestisce il game designer Rugerfred Sedda.
MANUALI Ci sono molti libri, sia in inglese che italiano, sul game design. Da eserciziari a libri di teoria, a vere e proprie indagini “parallele”, legate per esempio al marketing. Ecco 3 titoli consigliati da Marta Ciaccasassi: Challenges for Game Designers di Brenda Romero, Gioco e Giocare tra teoria e progetto di Maresa Bartolo e Ilaria Mariani, Rise of the videogame zinesters di Anna Anthropy.