La GenZ, cioè i nati tra il 1997 e il 2012, rappresentano il 16,8% della forza lavoro e oltre il 30% dei nuovi assunti. La loro presenza sui posti di lavoro è raddoppiata dal 2019. Ma non sempre si tratta di una presenza fisica. Al contrario i giovani, specie se appartenenti alla Gen Z, stanno riscrivendo le regole del mondo del lavoro e tra queste c’è anche la minor presenza in ufficio. A certificarlo è un’analisi pubblicata sulla rivista americana Forbes, che trova riscontro anche in Italia.
Cambiano le regole nel mondo del lavoro
La nuova generazione di occupati sembra stia dettando anche nuove regole, quelle più proprie dei cosiddetti Centennials, o Gen Z, o semplicemente “nativi digitali”. Uno degli aspetti che li caratterizza è proprio il fatto di essere nati e cresciuti in un’epoca sempre meno analogica, come era invece quella dei Millennials (i nati grossomodo tra il 1980 e il 1994) e, ancor di più, dei Boomers.
Il lavoro per la Gen Z
«È la prima generazione che si è affacciata su un mondo tecnologico e digitale, che ha impattato su tutti gli aspetti della vita compreso il lavoro, che accompagna la maggior parte della vita adulta e rappresenta un elemento indispensabile per la qualità della vita. È comprensibile, quindi, che le aspettative della Gen Z rappresentino quasi una rivoluzione copernicana, che costringe il mondo professionale a reinventarsi per adeguarsi alle nuove esigenze», osserva Anna Maria Coramusi, vicepresidente nazionale dell’Associazione nazionale Sociologi-ANS, e presidente del Dipartimento Lazio dell’ente.
Secondo gli esperti americani, sono 10 le regole dettate dai lavoratori di oggi e domani.
Le 10 regole del lavoro per la Gen Z
1. Più digitalizzazione
Come sottolinea Forbes, chi appartiene alla Gen Z mostra una dimestichezza con la tecnologia digitale non paragonabile a quella di chi li ha preceduti e non poteva che essere così. Questo, però, comporta un costo, non solo per i Millennials. Se questi ultimi hanno faticato (e talvolta continuano a farlo) nell’adeguarsi a nuovi strumenti, linguaggi e tempi, i più giovani spendono molto più tempo interfacciandosi con gli schermi, che siano di smartphone, computer o tablet. La conseguenza è che hanno meno abilità nel destreggiarsi tra le sfumature della comunicazione in presenza, come il linguaggio del corpo, la conversazione faccia-a-faccia o l’esposizione di progetti davanti a un pubblico in carne e ossa. Chi avrà la meglio?
2. Un nuovo modo di comunicare
Per ora sembra imporsi con sempre più forza la rivoluzione digitale, in molti ambiti della vita. Una grande spinta, del resto, è arrivata con la pandemia Covid e il ricorso massiccio a modalità operative da remoto. Oggi si sta vivendo ancora (e sempre più) una trasformazione nel modo di interagire, che passa sempre più spesso dai device: al posto delle riunioni in presenza ci sono quelle in videocall; le comunicazioni di servizio anche all’interno di un’azienda sono passate progressivamente al canale email, per poi migrare ulteriormente sulle App di messaggistica istantanea professionale, con buona pace dei Millennials abituati al confronto vis-a-vis.
3. Orari di lavoro più flessibili
Un altro stravolgimento a cui si sta assistendo riguarda l’orario di lavoro: al posto del vecchio 9 del mattino/5 del pomeriggio, oggi si fa sempre più ricorso a orari flessibili, grazie anche al fatto che il lavoro viene organizzato sulla base di target da raggiungere, obiettivi da portare a casa, non importa in quante ore lavorative trascorse in ufficio. Complice anche lo smart working, infatti, è possibile “portarsi a casa” il lavoro, diminuendo il tempo trascorso nella sede di impiego. Ma spesso aumentandolo a casa. D’altro canto uno studio pubblicato sulla Harvard Business Review indica che la flessibilità di orario, come il dedicarsi ai propri compiti al mattino preso o alla sera tardi, può aumentare la produttività del 20%.
4. Stop alle 40 ore settimanali di lavoro per la Gen Z
Da questo deriva anche il rifiuto, da parte della Gen Z, di seguire le vecchie regole codificate, per esempio, nei contratti collettivi di lavoro, che prevedono un monte ore settimanale massimo. Se le 40 ore sono spesso diventate anche 36, c’è chi ne lavora ancora meno, facendo fruttare meglio il tempo a disposizione, e chi finisce col lavorarne di più. Non sempre, infatti, è possibile trovare a casa la stessa concentrazione di cui – specie i Millennials – godevano in ufficio.
5. Dress code informale
A proposito di ufficio, a una sempre maggiore flessibilità nel tempo dedicato al lavoro si accompagna anche un minor rigore nel dress code. In questo la tendenza è iniziata già con la generazione dei Millennials. Giacca e cravatta per gli uomini, completi e tailleur per le donne sono pressoché scomparsi dagli uffici, per lasciare posto a un abbigliamento più casual, dove trova posto anche il jeans (e talvolta i pantaloni corti). La nuova generazione, insomma, vuole trovarsi a proprio agio anche quando lavora, seguendo la filosofia di vita come as you are, “vieni come sei, come ti senti”.
6. Uffici più aperti
Anche i luoghi di lavoro, quando esistono ancora gli uffici, sono cambiati sulla scia di un approccio meno formale e che riesca a facilitare la comunicazione. Se gli open space non sono una novità, gli ambienti sono sicuramente diventati più raccolti, per scongiurare la dispersione e sostenere la collaborazione. Le statistiche dicono che i team collaborativi riescono anche ad essere più innovativi e creativi del 50%, rendendo più semplice anche la risoluzione di eventuali problemi. Il nodo, casomai, è agevolare quella comunicatività in presenza che si sta perdendo a vantaggio del ricorso alla tecnologia!
7. Più bilanciamento con la vita privata
Un altro cambiamento riguarda l’approccio al lavoro stesso. La Gen Z dà sempre maggiore importanza al proprio benessere, anche in ambito lavorativo. Non è un caso che sempre più neolaureati rifiutino offerte professionali che non ritengono adeguatamente remunerate, come indicano i dati di AlmaLaurea. E non è un caso neppure che si verifichi un fenomeno apparentemente opposto: un’indagine di LinkedIn indica che l’86% dei giovani lavoratori considererebbe l’idea di un taglio alla propria paga in cambio di un miglior bilanciamento tra lavoro e vita privata.
8. Lavori più inclusivi
Rispetto al passato, poi, oggi i giovani sembra diano maggiore peso alle politiche di inclusione sui luoghi di lavoro. Insomma, sono meno disposti ad accettare discriminazioni e sopraffazioni, in nome di un impiego che rispetti i concetti di equità e uguaglianza. In una parola: le politiche cosiddette D&I, Diversity and Inclusion, stanno prendendo sempre più piede e le aziende hanno iniziato da tempo a introdurre figure responsabili della loro applicazione pratica in ufficio.
9. Feedback continui e ravvicinati
Un’altra peculiarità del lavoro legata all’apporto dei giovani e alle loro esigenze, è il bisogno di feedback più frequenti e ravvicinati nel tempo. In altre parole, non si è più disposti ad attendere mesi o anni per ottenere un riconoscimento sull’andamento del proprio lavoro: i neoassunti, così come alcuni Millennials, si attendono riscontri più regolari, che siano positivi o negativi. Come emerge da una ricerca di Gallup, gli impiegati che ricevono questo tipo di valutazioni, ravvicinate nel tempo, sono più coinvolti nel lavoro di 3,6 volte rispetto agli altri, con benefici anche a livello di benessere e umore.
10. Meno riunioni, più lavoro di squadra
Un ultimo aspetto riguarda il tempo investito in attività “di gruppo”. Per i giovani l’appuntamento con le riunioni – specie se in presenza – è poco produttivo se non addirittura uno spreco di tempo. Gli studi indicano che, anche in caso di meeting, la loro capacità di concentrazione non supera in media i 30 minuti. A questo tipo di attività preferiscono di gran lunga il cosiddetto team working, il lavoro di squadra, inteso non solo in ambito prettamente lavorativo. Per esempio, gli incontri di ice breaking, per rompere il ghiaccio, magari tramite aperitivi o eventi organizzati al di fuori dell’ufficio e dell’orario lavorativo, sono ritenuti un modo per favorire la socializzazione, l’empatia e lo spirito di collaborazione tra colleghi.
Una rivoluzione iniziata con il Covid
Le nuove regole, però, non stupiscono i sociologi: «La Gen Z rappresenta una quota rilevante in termini quantitativi: per questo viene assecondata e vede ascoltate le proprie esigenze, che travalicano una retribuzione economicamente adeguata», sottolinea Coramusi, secondo cui «la qualità della vita e la salute mentale», assumono maggiore importanza. In particolare diventano centrali «la settimana corta, orari flessibili, lavoro parzialmente in remoto, ma anche una forte aspirazione alla carriera, all’autorealizzazione, alla crescita personale e alla valorizzazione del merito. Si tratta di aspettative funzionali a sentirsi parte integrante della crescita aziendale e, contemporaneamente, a vivere un privato appagante e significativo».
I nuovi valori dei giovani
Come spiega Coramusi, «Sono cambiati i valori fondanti. Per lunghissimi anni è stata importante la sicurezza di un lavoro da vivere fino al pensionamento e il lavoro – anche se assorbente, fagocitante, tiranno – è stato vissuto come preziosa realtà dell’età adulta e valore indiscusso. A differenza dei loro nonni e genitori, i giovani oggi mettono al centro non tanto gli aspetti retributivi quanto la soddisfazione della propria vita professionale. Negli ambienti di lavoro assumono più importanza anche le relazioni umane significative, rispettose delle diversità, e una vita familiare unita a un’equilibrata dose di tempo libero. Per questo è desiderabile lavorare in remoto, non necessariamente da casa», conclude l’esperta.