Se hai meno motivazioni e stimoli, anche quando si tratta di un nuovo progetto lavorativo o, peggio ancora, inizi a provare malessere ogni volta che entri in ufficio, potresti essere vittima del rust out. Può capitare e, stando ai dati, in realtà accade sempre più spesso dalla fine della pandemia. Nel 2022 ben 2,2 milioni di italiani hanno dato le dimissioni, secondo il ministero del Lavoro. Si tratta del 13,8% in più rispetto all’anno precedente. Secondo una ricerca di Monster.com, inoltre, il 96% dei lavoratori nel 2023 era alla ricerca di un nuovo lavoro, per sfuggire a “situazioni tossiche” o, appunto al rust out. Qui ti spieghiamo cos’è e come reagiscono donne e uomini.

Cos’è il rust out

«Il rust out è il cugino meno noto del burnout. Mentre il burnout è causato da un eccesso di stress e lavoro, il rust out deriva dalla mancanza di stimoli e sfide. Si manifesta come una sensazione di apatia e disinteresse, che emerge quando il lavoro non offre più soddisfazioni né opportunità di realizzazione personale», spiega Alessandro Da Col, Top Voice di Linkedin e Mindset ed Executive Coach, fondatore dell’Accademia Crescita Personale Meritidiesserefelice insieme ad Alessandro Pancia.

Come si riconosce il rust out

Come per il burn out, il rust out può manifestarsi con sintomi chiari: «Innanzitutto la noia cronica, insieme all’assenza di sfide e opportunità di crescita lavorativa, che rendono il lavoro monotono, prevedibile e ripetitivo. Molte persone dicono di non trovare più la carica, l’energia e la motivazione di un tempo, finendo per procrastinare. Questo porta inevitabilmente alla demotivazione e alla mancanza di entusiasmo verso i propri obiettivi. La conseguenza è una riduzione della produttività e della qualità del lavoro, e un senso di isolamento dal contesto professionale, unito alla tendenza a svalutarsi, attribuendo a se stessi l’incapacità di fare squadra», chiarisce Pancia.

Lavorare in un’azienda tossica: un rischio a 360°

Il problema, invece, sta nel rapporto con l’azienda, i colleghi e il posto di lavoro, che diventa “tossico”: la sensazione è quella di «camminare su una sorta di lastra di ghiaccio molto sottile, dove se metti male il piede, si rompe tutto e crolli, con rischi molteplici e profondi, che influenzano non soltanto la carriera professionale, ma anche la salute mentale, fisica e il benessere a 360 gradi della persona – sottolinea Da Col – Ciò inoltre potrebbe avere ripercussioni anche in ambito familiare».

Le conseguenze: dall’ansia ai problemi fisici

I rischi, quindi, sono potenzialmente molti: «Lo stress cronico, la sindrome del burnout, che caratterizza proprio questo esaurimento emotivo forte; ma anche ansia e depressione o basta autostima, che possono portare a problemi fisici. Infatti, è stato ampiamente dimostrato che problemi come mal di testa, insonnia, disturbi gastrointestinali, possono essere provocati proprio da un ambiente di lavoro tossico. Dunque, in questi casi, oltre a un supporto da parte di figure come psicologi del lavoro, è fondamentale fare in azienda delle sessioni di Team building, sia per il benessere dei singoli sia per ristrutturare e “detossificare” l’ambiente», sottolineano gli esperti.

I posti di lavoro tossici sono in aumento?

Stando ai dati sembrerebbe che gli uffici “tossici” siano aumentati o che sia cresciuta la sensibilità dei lavoratori nei confronti del proprio benessere: «Sicuramente la pandemia ha spinto molte persone a riflettere sul proprio equilibrio tra vita privata e lavoro, e sul valore del benessere mentale, anche attraverso una semplicissima domanda: quanto sono disposto a dare a un’azienda che non mi apprezza come dovrebbe? In tal senso, oggi rispetto al passato, c’è una maggiore consapevolezza da parte delle persone», conferma Pancia.

Il boom del lavoro da remoto (e le sue conseguenze)

«Un altro aspetto di grande rilievo emerso proprio grazie alla pandemia è il lavoro da remoto, che ha offerto un’alternativa a un ambiente tossico, senza ovviamente venire meno alle responsabilità professionali – spiega De Col – Inoltre, le aziende che hanno dimostrato empatia e supporto durante l’emergenza sanitaria sono state riconosciute positivamente, diventando in un certo senso pioniere verso questa nuova sfida, che mette il benessere dei dipendenti al centro degli interessi dell’azienda stessa», magari proprio tramite il coinvolgimento di mindset coach.

I campanelli d’allarme

Come si riconosce, quindi, un’azienda tossica? «Un possibile segnale di allarme può essere l’alta rotazione del personale. Se molti collaboratori lasciano l’azienda in breve tempo, potrebbe essere un indice che l’ambiente di lavoro non è produttivo o stimolante. Attenzione anche alla mancanza di trasparenza. Comunicazioni poco chiare, decisioni prese senza spiegazioni e una generale segretezza, sono indicatori di una cultura aziendale poco sana, insieme a una eccessiva competitività», spiega Pancia. Sono segnali pericolosi anche l’assenza di riconoscimento di fronte ai successi, perché portano a demotivazione. Ma il vero campanello d’allarme suona quando i lavoratori si sentono «inadeguati e stressati, con l’angosciante dubbio che il proprio impegno non sia mai sufficiente», spiegano gli esperti.

Uomini e donne: chi è più a rischio?

Se esiste un gender gap, come reagiscono uomini e donne di fronte al rust out? «Non c’è un genere più a rischio dell’altro, perché contano molti i fattori individuali. Ad esempio, ci sono molte donne che hanno sviluppato una forte resilienza, una solida leadership personale e sicurezza in se stesse, riuscendo così a gestire meglio un ambiente di lavoro tossico e a farsi valere. Al contrario, ci sono uomini che, a causa del loro vissuto e a un particolare tipo di atteggiamento, possono essere più inclini a vivere momenti di stress e difficoltà. Ma può accadere anche il contrario – spiegano i coach – In generale, però, le donne possono affrontare sfide specifiche come la disparità seriale e la capacità di bilanciare la vita privata e il lavoro, che possono contribuire a un’esperienza lavorativa tossica».

Donne più sensibili ai segnali “di pericolo”

Pur non volendo generalizzare, «Tuttavia, spesso le donne hanno una maggiore sensibilità e capacità nelle dinamiche interpersonali, riuscendo a gestire più situazioni contemporaneamente senza farsi sopraffare. Questo è uno dei motivi per cui abbiamo creato la rubrica “Leadership al Femminile”, per dimostrare come la sensibilità e le capacità delle donne possano aiutarle a gestire ambienti difficili. Inoltre, la loro sensibilità le rende più capaci nel comprendere subito e meglio i segnali di ambienti nocivi – dice Pancia – Gli uomini, invece, possono trovarsi a gestire pressioni legate agli standard di successo e alle aspettative di leadership, col rischio di sentirsi inadeguati e meno capaci. Inoltre, gli uomini possono essere meno inclini a cercare supporto, aumentando il rischio di soffrire in silenzio».

Come capire se e quando cambiare lavoro

Una soluzione potrebbe essere cambiare lavoro, ma non sempre è possibile. «L’alternativa è mettere in atto alcune strategie per mitigare il disagio. Per esempio, stabilire confini personali: imparare a dire “no” per proteggere il proprio tempo e la propria energia – consigliano gli esperti – Oppure puntare a una crescita personale, aumentare l’autostima e sviluppare la self-leadership. È importante anche trovare supporto interno (dei colleghi, parlando con loro e identificando i problemi) o esterno, da consulenti o coach, che possono fornire gli strumenti necessari per difendersi e affrontare situazioni difficili. Ognuno di noi deve imparare a difendersi, questa è la vera self-leadership».

Cos’è la self leadership

«Il migliore leader è colui che aiuta a rendere l’ambiente sano e stimolante. La leadership non è una caratteristica esclusiva dei capi o di chi ricopre ruoli di spicco, ma ciascuno di noi deve sviluppare la propria self-leadership, diventando cioè leader di se stesso. Solo in questo modo potrà gestire al meglio le conflittualità e creare un contesto di lavoro sano – spiega De Col – E poi investire su se stessi: è essenziale continuare a sviluppare competenze, formarsi, occuparsi della propria crescita personale e professionale, soprattutto al di fuori dell’attuale lavoro».