La comunicazione con colleghe e colleghi è fondamentale per creare un clima positivo, ma ci sono cose da non dire. Le parole, infatti, possono pesare come macigni e finire per sminuire il proprio lavoro o per apparire poco propensi al lavoro di squadra, che invece sono considerate soft skill fondamentali.

Attenta alle cose da non dire al lavoro

Secondo una ricerca pubblicata sulla Harvard Business Review, il 91% dei lavoratori dipendenti crede che il modo di comunicare dei colleghi abbia un impatto notevole in ufficio. Sia per loro che per chi li circonda. Le parole, infatti, possono avere un peso e non indifferente: basta poco per apparire poco professionali, impreparati, inaffidabili o persino inadatti al ruolo che si è chiamati a ricoprire. Se non si vuole mettere a repentaglio la propria carriera, dunque, sarebbe meglio stare attenti a ciò che si dice e a come lo si dice.

1 Cose da non dire al lavoro: non sminuirsi

Il primo passo è non sminuirsi. Una impresa non da poco se si considera che, secondo uno studio pubblicato su LinkedIn, la piattaforma dei professionisti e del lavoro, la parola «Solo» spesso ha come effetto esclusivamente quello di minimizzare la portata di quanto di quanto si sta dicendo. Per esempio, dire: «Sto solo controllando», suggerisce poca importanza nella propria attività. Il suggerimento: sostituire questa espressione con un’espressione come «Sto controllando per discuterne…», che invece lascia intendere una maggiore importanza in ciò che si sta facendo.

2 Cose da non dire al lavoro: non è il mio lavoro

Un modo di dire da mettere assolutamente al bando è invece «Non è il mio lavoro». Il motivo è semplice: suggerisce la mancanza di voglia di collaborare e di spirito di gruppo in generale. Può danneggiare il lavoro di squadra e far venir meno l’opportunità di fare nuove esperienze in network coi colleghi. Secondo un report di Gallup, un team che collabora aumenta la produttività del 21%. L’alternativa potrebbe essere una frase come «Non ho confidenza con questo tipo di compito, ma mi piacerebbe imparare», oppure «Non ho esperienza, ma mi offro come supporto, in qualche modo».

3 Più spirito di adattamento

In una parola, è sempre utile mostrare un certo spirito di adattamento insieme alla voglia di collaborare e aiutare. «Come nei casi precedenti va ricordato che in generale andrebbero evitati tutti gli avverbi, le parole o i diminutivi che riducono e ridimensionano la reale portata di ciò che si si sta veicolando. Lo stesso, naturalmente, vale per il concetto opposto, dunque le esagerazioni. Quanto alla collaborazione tra colleghi, è fondamentale la reciprocità: un’azienda è un insieme di vasi comunicanti, creare steccati non giova mai. È importante mettersi nei panni dell’altro per superare empasse che in un luogo di lavoro sono all’ordine del giorno», sottolinea Marco Vigini, vicepresidente dell’Associazione italiana Direzione del Personale (AIDP) e Direttore servizio welfare presso Orienta.

4 Lavorare con tutti

Rientra nello stesso ambito il consiglio a evitare chiusure, come quando si sente dire: «Non voglio lavorare con loro». Non solo mostra una certa rigidità in chi lo afferma, ma manda un messaggio chiaro sulla mancanza di capacità nel gestire le relazioni interpersonali, che invece è centrale sul posto di posto di lavoro. In caso di incompatibilità si può sempre scegliere una via più soft, magari spiegando «Abbiamo modi diversi di lavorare, ma cercheremo una mediazione».

5 Non ci sono idee stupide

Un’altra frase da evitare è quella con cui si premette una propria proposta, magari dicendo: «Forse è un’idea stupida, però…». Pur essendo un tentativo di non apparire arroganti e troppo assertivi, si finisce spesso con lo squalificarsi da soli. Uno studio di McKinsley negli USA indica che è sempre preferibile dimostrarsi proattivi e propositivi, motivando le proprie idee, anche se non dovessero poi rivelarsi quelle adottate in ufficio. In questo modo si aumenta la propria credibilità e, potenzialmente, l’appeal delle proprie idee.

6 Cose da non dire al lavoro: non scusarsi in continuazione

Chiedere scusa in caso di errori è certamente una dote, perché dimostra spirito di autocritica. Ma farlo troppo spesso può essere decisamente controproducente: dimostra scarsa autostima e fiducia in se stessi, e finisce con il minare la credibilità professionale. Invece che dire «Scusate per la domanda», si può optare per un semplice: «Ho una domanda a riguardo…», che indica una maggiore sicurezza personale.

7 Evitare il personalismo

Un’espressione di cui spesso di ignora la portata (potenzialmente negativa) è quella usata da chi ricorre spesso a frasi come «Mi sembra che…» o «Sento che…», perché tendono a personalizzare troppo ciò che si sta dicendo. È come se le proprie affermazioni non avesse delle basi oggettive, insomma. Meglio puntare su formule come «Dovremmo considerare che…», privilegiando il “noi” e una visione più ampia della questione. «Sicuramente l’io richiama l’ego e dove c’è troppo ego non può esserci un noi – spiega Vigini – L’ego è spesso oggetto di conflittualità: meglio concentrarsi nel coalizzare le energie di un gruppo».

8 Non chiedere continue conferme

Un’altra spia di una comunicazione poco efficace potrebbe essere la richiesta continua di conferme alla fine di ogni affermazione, per esempio dicendo: «Ha senso quel che dico?» o «Tutto chiaro?». Per quanto possa sembrare un modo per chiudere un concetto, in realtà mostra una certa insicurezza nella propria capacità di esprimersi e farsi capire correttamente. Meglio puntare su espressioni come «Sono felice di poter chiarire ulteriormente, se necessario». Anche in questo caso il LinkedIn Learning Workplace Report 2023 consiglia di puntare su un linguaggio che mostri sicurezza.

9 Saper cambiare

Una delle espressioni da mettere al bando, poi, è «Si è sempre fatto così». Questa frase indica resistenza al cambiamento. Una ricerca di Mc Kinsey mostra che il 70% delle trasformazioni è resa possibile solo quanto i dipendenti sono propensi all’innovazione. Meglio, allora, dire qualcosa come «Proviamo con un’alternativa per migliorare il lavoro», che mostra ancora una volta spirito di adattamento. «Essere portatori di diversità è un valore aggiunto, specie in un gruppo che, se costituito da persone che hanno frequentato lo stesso ambiente, hanno un percorso comune e lavorano con modalità analoghe, rischiano di influenzarsi reciprocamente, senza innovarsi», osserva Vigini.

10 Non è un mio problema (o sì?)

Infine, è da cancellare un’affermazione come «Non è un mio problema», che invece è molto ricorrente. Rappresenta la “morte” del lavoro di squadra e dello spirito di collaborazione. Cosa scegliere in alternativa? Parole come «Anche se non è il mio ambito di competenza, sono pronto a sostenerti per trovare una soluzione». È chiaro che così si dimostra la volontà di collaborazione, la fiducia e lo spirito di iniziativa che sono fondamentali quando si lavora con i colleghi. Assumersi responsabilità anche non proprie indica capacità di problem-solving, apprezzata sul posto di lavoro.

Cose da non dire: i consigli dell’esperto

«In genere occorrerebbe evitare ogni espressione negativa e frasi che inizi con un “no”, come invece accade nel 50% delle conversazioni. Piuttosto, è bene argomentare le proprie ragioni, in caso di divergenze – spiega ancora Vigini – Che si tratti di andare a un colloquio di lavoro o di gestire i rapporti con i colleghi, è sempre utile presentare se stessi come se ci si trovasse su un set fotografico: è meglio mostrare più foto di sé, che indichino la capacità di gestire situazioni differenti, possibilmente scegliendo le parole in modo adeguato».

Il valore delle parole

«La parola crea un’immagine e l’immagine dà forma alle persone, dunque ci rappresenta. Le parole ci descrivono e creano un impatto nel cervello del nostro interlocutore», sottolinea ancora l’esperto, che conclude consigliando: «Sia che si ricorra a termini che sminuiscono il nostro lavoro, che si esageri con il personalismo o che si mostri chiusura nei confronti dei colleghi, il rischio è di creare gravi inciampi, che possono nuocere alla carriera, ma soprattutto al senso di networking che oggi è fondamentale in un posto di lavoro. Il valore aggiunto è il modo nel quale ci si pone, che deve essere collaborativo e valorizzante delle proprie capacità».