L’aspirazione è avere un posto di lavoro sicuro. La possibilità di realizzarla, però, si allontana: per le crisi che stanno impattando l’economia, ma anche perché la sicurezza psicologica e fisica di lavoratrici e lavoratori viene minata. Sgomento e rabbia, frustrazione e paura sono infatti le emozioni che si accavallano scorrendo il rapporto Non staremo al nostro posto. Per il diritto a un lavoro libero da molestie e violenze elaborato – su un sondaggio di Ipsos e con la raccolta di 140 testimonianze – da WeWorld, organizzazione italiana indipendente impegnata a garantire i diritti di donne e bambini in oltre 25 Paesi, tra cui l’Italia.

I numeri parlano chiaro: il 60% è a conoscenza di episodi di violenza sul luogo di lavoro, tra le forme più diffuse ci sono quella verbale, il mobbing, l’abuso di potere. Il 22% ha subito violenza in azienda almeno una volta nella vita. Tra le donne il dato sale al 28%. Ogni percentuale abbraccia in un numero tante storie, emozioni, vite. Leggendo le voci delle vittime nel rapporto di WeWorld, molte potranno riconoscere l’eco di quelle di colleghe, amiche e, magari, anche di se stesse.

Le lavoratrici affrontano spesso un trattamento diverso e discriminante

Tra le forme di abuso più diffuse c’è il sessismo. Le lavoratrici affrontano spesso un trattamento diverso e penalizzante, come è successo a una 55enne progettista e direttrice dei lavori in cantiere: «Mi è capitato di essere discriminata o dileggiata in quanto donna dalle maestranze. Vedo atteggiamenti sessisti a tutti i livelli».

Anche stare a contatto con i clienti può aumentare il rischio di subire molestie

Chi opera in prima linea, poi, si trova sovente a contatto diretto con persone esterne all’azienda, come i clienti o i pazienti, e questo può aumentare il rischio di subire molestie e violenze. Lo testimonia un’impiegata 60enne: «Sono stata vittima di comportamenti verbali aggressivi e vessatori da parte di una collega al fine di mettermi in cattiva luce davanti al datore di lavoro. Mi è capitato, inoltre, di ricevere insulti e umiliazioni pubbliche immotivate da parte di un cliente».

Molestie al lavoro: i commenti indesiderati di stampo sessuale

La sessualizzazione e oggettivazione nei confronti delle lavoratrici si manifestano attraverso avances, battute e commenti indesiderati di natura sessuale, pressioni sull’abbigliamento o valutazioni che si basano sull’aspetto fisico invece che su competenza e capacità professionali. Emblematico il racconto di una 20enne: «Per un periodo ho fatto volantinaggio in una zona di mercato dove ci sono soprattutto persone adulte o anziane. Alcuni uomini facevano commenti molto squallidi. I volantini che distribuivo contenevano degli sconti, delle promozioni: una volta mi hanno chiesto se anche io fossi in sconto e se ci fosse il mio numero».

La violenza sessuale

Inquietanti i casi di violenza sessuale, come quello di cui è stata vittima questa donna: «Cominciò a farmi un massaggio alle spalle per poi scendere e toccarmi il seno e la pancia fino al pube. Anche se stava violando i confini del mio corpo, mi sentii bloccata nella reazione che avrebbe meritato, perché era un nuovo personaggio di punta dello studio partner e tutti i colleghi erano là, fuori dalla porta. Mentre il molestatore agiva, i colleghi chiesero se avessimo finito, ma non aprirono».

In un mondo del lavoro sempre più precario crescono molestie e abusi

Com’è possibile che tutto ciò accada? «Viviamo in un mondo del lavoro sempre più caratterizzato dalla precarietà e noi di WeWorld abbiamo voluto approfondire il modo in cui le condizioni di vulnerabilità diano spazio a varie forme di molestie e abusi, o anche microaggressioni come il mansplaining, che si verifica quando una donna sta parlando ed è interrotta da un uomo che pensa di saperne più di lei» spiega Martina Albini, coordinatrice del Centro Studi di WeWorld. «Le testimonianze raccolte descrivono contesti lavorativi in cui anche diritti basilari come le ferie e la malattia spesso non vengono rispettati. La nostra indagine mostra l’estrema trasversalità di questa violenza, perché coinvolge tante categorie di individui a prescindere da età, ruolo professionale e genere. È bene sottolineare, che i gruppi più esposti sono le donne e i giovani. La violenza verbale e quella psicologica sono spesso legate a dinamiche di potere asimmetrico. Per questo tendono a colpire in modo più frequente coloro che occupano posizioni gerarchicamente inferiori, a cominciare dai neoassunti. Per gli uomini le problematiche principali sono le violenze di stampo fisico: contro di loro si attiva una dinamica di sopraffazione, di bullismo. Per le donne avances, commenti e abusi che attengono alla sfera sessuale sono ancora molto comuni».

Una donna su 4 dopo aver subito abusi si è dimessa

Ma c’è un altro punto da non trascurare. «Tra gli abuser, cioè le persone che agiscono violenza, troviamo tanto gli uomini quanto le donne. L’assetto patriarcale fa male a entrambi i generi perché, se si esercita il potere in modalità di mascolinità egemonica, il risultato è lo stesso». E le conseguenze gravissime. «Una persona su 4 in seguito agli episodi di violenza e abusi sul luogo di lavoro si è dimessa» continua Martina Albini.

Molte donne non denunciano le molestie subite per paura di perdere il posto

«Si riscontrano tanti casi di depressione, in cui lo stato di salute mentale è arrivato a un livello di compromissione elevato, e differenze di genere rispetto al burnout, che è più comune tra le donne». Allarmante è la mancanza di tutela che le vittime riscontrano. «Una persona su 7 ha detto di essere stata licenziata dopo aver presentato denuncia, mentre 6 su 10 non denunciano proprio perché temono di perdere il posto». Il rapporto di WeWorld lo dice chiaro: occorrono azioni di prevenzione, monitoraggio e interventi come l’istituzione di programmi di supporto per chi ha subito o assistito a violenza. «Sono necessari» conclude Martina Albini «per costruire ambienti di lavoro sicuri e rispettosi per tutte e tutti: un diritto umano fondamentale».