Come ritrovare la motivazione nel lavoro
In ambito lavorativo, il confine tra motivazione e piacere è molto vicino. Essere motivati sul lavoro vuol dire anche provare piacere nello svolgere quel lavoro.
Ma quando il proprio lavoro non piace più, che fare? Escludendo la semplicistica soluzione di cambiarlo (sempre più difficile da attuare nel contesto economico attuale), il primo suggerimento è quello di ripartire da se stessi: “un’azione fondamentale per ritrovare la motivazione in se stessi – spiega Cristina Sottotetti, Counselor – che nella pratica si traduce nel concentrarsi sulle ragioni per le quali si è scelto quel lavoro, che quando si è demotivati si tende a dimenticare”.
Perchè si perde la motivazione e cosa fare
Quando si è in difficoltà sul lavoro bisogna imparare a riconoscere quale emozione suscita una determinata situazione: ansia, paura, rabbia, tristezza ecc. e cercare di associarla ad altre situazioni passate che hanno innescato sentimenti simili. Se non si riesce a superare il disagio, è bene accettare di farsi aiutare attraverso il counseling (bastano anche pochi incontri): insegna le tecniche che permettono di gestire le situazioni difficoltose per evitare di rimanerne incastrati.
A volte la demotivazione nasce dalla sensazione di avere un carico di lavoro troppo oneroso che impedisce di portare a termine con serenità i propri compiti.
Quali le soluzioni pratiche per gestire il momento di blocco?
Analizzare gli aspetti positivi del lavoro
È importante analizzare il proprio contesto lavorativo in cui si opera ogni giorno, per osservare se c’è qualche aspetto che può (ancora) piacere.”Si può partire da una lista in cui scrivere da un lato gli aspetti negativi e dall’altro lato quelli positivi – suggerisce la counselor – Si scoprirà con sorpresa che questi ultimi superano di gran lunga quelli negativi. Concentrarsi quindi su ciò che troviamo gradevole nel nostro lavoro è il primo passo per ritrovare la motivazione.
Fare la classica to do list
“Ancorarsi al day by day – risponde Cristina Sottotetti – ovvero darsi degli obiettivi (concreti) giorno per giorno. Fare la classica to do list è un consiglio sempre utile: se si è troppo ansiosi fermarsi un attimo, fare dei respiri profondi, riepilogare le cose da fare, e adottare una strategia su ciò che si riesce a eseguire o meno, lasciando un minimo di spazio per gli imprevisti”. Persino sbarrare i compiti che si è terminato, aiuta ad affrontare la giornata lavorativa con meno ansia.
Sorridere
Sorridere è un esercizio pratico che, se eseguito quotidianamente, allena a poco a poco a ritrovare la propria motivazione sul lavoro. Sembra banale ma sorridere con la bocca mentre si va al lavoro è un piccolo gesto che aiuta a trovare più positività nelle cose che si fanno ogni giorno. Vedere la propria immagine sorridente riflessa nello specchio dell’ascensore del proprio ufficio allena ad accettare ciò che non piace per andare verso il cambiamento. Quello di guardare la cosa da un’altra prospettiva e apprezzare quello che si ha.
Analizzare il proprio comportamento
Un altro suggerimento per ritrovare la motivazione sul lavoro è quello di “non attribuire sempre la colpa all’esterno (al capo, alla crisi, ai colleghi, alle difficoltà logistiche ecc.) ma chiedersi cosa abbiamo fatto noi perché sia accaduto che il lavoro non ci piace più – dice l’esperta in counseling.
È bene sforzarsi di analizzare il proprio comportamento anche quando il contesto lavorativo è cambiato in modo oggettivo. Piuttosto che chiudersi nella trappola dell’evitamento delle proprie responsabilità, è meglio sforzarsi di reagire ammettendo a se stessi che in parte la demotivazione dipende da noi“.
Argomentare al capo i dati oggettivi della demotivazione
Se nonostante la to do list e l’analisi del proprio comportamento, le cose da fare restano tante, è importante darsi il permesso di no, dimostrando (prima a se stessi e poi al proprio responsabile) l’eccessivo carico di lavoro, ma sempre con motivazioni oggettive.
“In pratica, è poco conveniente sul lavoro dire ‘non ce la faccio’, perché equivale a mettere in dubbio la propria capacità di riuscita – spiega la counselor. In questo caso il nostro capo penserà che il problema è nostro, poiché non siamo in grado di fare quel lavoro. È molto meglio trovare i dati oggettivi (tempo, risorse, condizioni ecc) che non permettono di fare tutto, e argomentarli con il proprio capo. In questo modo ci si distaccata dalle emozioni, con il risultato di essere compresi e non colpevolizzati”. Naturalmente, ‘non ce la faccio’ è una frase che bisogna evitare di dire anche a se stessi, perché rimanda subito ad una svalutazione delle proprie competenze.
Ma la motivazione nasce anche dal proprio responsabile. Insomma, non è solo un’analisi interiore del proprio modo di rapportarsi al lavoro.
Suggerimenti da dare al capo per motivare le risorse
“Sicuramente fare qualcosa per incoraggiare a lavorare meglio aiuta, come ad esempio premiarlo, fare complimenti, gratificare, dare le famose carezze positive che aiutano l‘autostima, ma non bisogna mai fare apprezzamenti personali – dice la counselor.
Questo suggerimento è valido anche per le comunicazioni poco piacevoli (ma inevitabili) che riguardano l’operato, altrimenti la risorsa si sentirà svalutata, quando non addirittura offesa. Una frase come “non sei stato adeguato” ferisce molto di più di “questo lavoro non è stato fatto come si dovrebbe“.
Tutti termini che riguardano l’essere si riferiscono al personale; se invece si sposta la comunicazione sul fare si rimane su concetti legati al lavoro, e quindi oggettivi.
Se questo argomento ti interessa e se stai cambiando lavoro, leggi i nostri consigli su come gestire la paura del cambiamento.