Domenica: dopo il pranzo in famiglia, si accende la tv. Il rombo dei motori la fa da padrone nel silenzio religioso. È il giorno delle gare del Motomondiale. Ognuno tifa per il suo pilota preferito, ma l’adrenalina che sale a ogni giro di pista è la stessa per tutti. È con questo “rito” che molte ragazzine sono cresciute appassionandosi alle due ruote, complici negli anni scorsi le vittorie del nostro Valentino Rossi. Studio, tenacia, concretezza hanno fatto il resto e per alcune di loro quello che era un sogno si è trasformato in un lavoro.

«È da maschi» è il luogo comune più radicato nel mondo dei motori. Ma, nonostante la percentuale maggiore di piloti e addetti ai lavori sia rappresentata da uomini, qualcosa sta cambiando. Per il momento sono circa il 10% le donne che lavorano nel mondo della MotoGP. Le vediamo poco perché si trovano soprattutto dietro le quinte e, quindi, è proprio qui che sono andata per conoscere alcune di loro, in occasione del Gran Premio Red Bull di San Marino e della Riviera di Rimini, lo scorso 8 settembre.

Donne che lavorano nel MotoGP: Anna Pages

I preparativi per le gare del Motomondiale, che si concluderà il 17 novembre, sono nel paddock, l’area riservata adiacente ai box. Qui si trovano i tir, i camper, le strutture ricettive e l’attrezzatura tecnica dei diversi team. In poche parole, è il backstage, quello a cui sogna di accedere ogni appassionato. Mi avvio verso l’ingresso del paddock della Red Bull Rookies Cup, creata da Red Bull con KTM, il principale produttore europeo di motociclette sportive, e Dorna, società spagnola per lo sport, con lo scopo di far crescere i giovani talenti delle corse su strada.

Ad accogliermi c’è Anna Pages, Rookies Cup Coordinator. Del paddock è un po’ la padrona di casa, conosce perfettamente ogni centimetro. Mi guida tra le varie aree e mi spiega il lavoro dei meccanici sulle moto, senza mai perdere il controllo su quello che accade intorno a noi. «Il mio compito è essere il contatto tra tutto il personale tecnico e il team Red Bull: per ogni cosa desiderino fare con i giovani piloti o i meccanici, faccio da collegamento» mi dice. Il suo è un lavoro di grande responsabilità, soprattutto quando si trova in pista. «Qui in cuffia ho la direzione di gara che controlla tutto ciò che accade. In caso di penalità o incidente, mi informano e io provvedo a riferire alla squadra tecnica. Se c’è qualcosa che non va, sono io la persona che si attiva».

Anna Pages in pista durante la gara. Foto di Andrea Zaffaroni

La preparazione tecnica non basta

Anna, 39 anni, spagnola, ha iniziato a sognare di lavorare nel mondo delle ruote tra le mura di casa. All’università ha studiato Comunicazione, pubblicità e pubbliche relazioni, poi dal 2013 è stata in un’azienda in cui si occupava di comunicazione, sponsorizzazioni e social media. Dopo 5 anni, e dopo aver fatto tutto ciò che riguardava gli eventi sportivi e la comunicazione, l’anno scorso ha ricoperto per la prima volta il ruolo di coordinatrice per Red Bull. Mentre continuiamo il nostro tour nel paddock, mi spiega che la preparazione tecnica non basta. «Una parte che amo molto del mio lavoro è la relazione con i talenti. È difficile, perché devo conoscere molte informazioni tecniche ma allo stesso tempo essere empatica. Per esempio, se un ragazzo ha un incidente, vado con lui in ospedale o al centro medico del circuito. È importante che sappia che non è solo».

Il suo è ancora un mondo di uomini, però Anna è ottimista: ci vorrà tempo prima che le donne nel MotoGP siano il 50% degli addetti ai lavori, ma un passo dopo l’altro si può migliorare. La chiarezza è fondamentale.

«Iniziare a lavorare in questo settore non è facile: devi sapere molto bene qual è il tuo compito ed essere assertiva e diretta quando parli con gli altri. Tutti conoscono la ragione per cui sono qui: per aiutare, per facilitare il lavoro. L’ho specificato il primo giorno, insieme alle cose che volevo fossero evitate. Soprattutto voglio esserci sempre: non solo quando si mette male e bisogna lavorare duro, ma anche nei momenti belli».

Donne che lavorano nel MotoGP: Lena Warnking

Mentre Anna e io ci spostiamo tra motociclette, tute da gara e pneumatici, un team di meccanici lavora senza sosta. Sono tutti uomini, tranne una. Si chiama Lena Warnking, ha 22 anni ed è apprendista meccanica. Dopo essersi diplomata in Germania, si è trasferita in Austria, dove KTM ha una scuola di meccanica. «Qui la formazione dura 4 anni, io ne ho già fatti 3. Quest’anno ho fatto parte del team Red Bull Rookies Cup. È una possibilità che KTM dà agli apprendisti o ai tirocinanti: ogni anno due persone possono partecipare al programma. Ho trascorso la stagione con il team e ho fatto tutti i lavori di meccanica» mi racconta.

Lena Warnking nel paddock della Red Bull Rookies Cup. Foto di Andrea Zaffaroni

La passione per i motori ce l’ha fin da piccola ed è il motivo per cui, nonostante sia molto giovane, è andata lontano da casa. Le chiedo se conosce altre ragazze che si stanno formando per diventare meccaniche: «Credo che nel mio anno di scuola ci siano 3 o 4 donne, me compresa, ma non lavoro spesso con loro perché KTM è una grande azienda e siamo dislocati in ogni settore: nel reparto in cui lavoro sono l’unica». Rispetto al fatto che il suo lavoro sia svolto principalmente da uomini, mi spiega che tutto sommato è comprensibile poiché richiede anche forza fisica. «Sollevare pesi è sicuramente più difficile per me, ma credo che negli sport motoristici sia importante il lavoro di squadra: a volte ho bisogno di aiuto, ma anche gli uomini si aiutano a vicenda».

Secondo Lena, è ancora molto radicato il luogo comune che il suo sia un mestiere da maschi. Per questo, dice, le donne che lavorano nel MotoGP sono ancora poche e addirittura tante ragazze con la sua stessa passione rinunciano all’idea di intraprendere una carriera nel mondo dei motori. Essere sicure di sé è molto importante in questi casi. «A volte penso che alcuni credano che ricopro questa posizione e mi abbiano scelta per “marketing”, per far dire “Oh, hanno una donna”» mi racconta. Ma bisogna smettere di ascoltare gli altri, perché

«se sei appassionata di questo lavoro puoi farlo proprio come un uomo. Si tratta di quello che vuoi tu, e basta. Lavorare in un team ed essere trattata come tutti gli altri è quello che desidero per il futuro».

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