A dicembre 2023 il premio Nobel per l’Economia è stato assegnato (finalmente!) per gli studi – effettuati dall’accademica americana Claudia Goldin – sul contributo delle donne all’economia e sugli ostacoli, palesi e subdoli, che incontrano nel percorso di carriera. Temi che abbiamo voluto scandagliare con la seconda indagine del nostro Osservatorio sui diritti: la ricerca condotta dall’Istituto Swg, attraverso interviste a 1.005 donne e uomini, esplora il mondo del lavoro e l’equilibrio tra vita professionale e privata.
La carriera parte già “zoppa”
Iniziamo dal bagaglio di studi, e di pregiudizi, con cui le donne si affacciano al mondo del lavoro: 4 su 10 rivelano di aver escluso alcuni percorsi di formazione perché ritenuti poco “femminili” dalla società. «Il fenomeno dello stereotipo rientra nel più ampio contesto del fenomeno discriminatorio e si avvicina, se non addirittura coincide, con ciò che Norberto Bobbio qualificava come pregiudizio di natura collettiva. L’impatto del pregiudizio collettivo si coglie a livello accademico già nella scelta della facoltà, che evidenzia con elevata frequenza come il divario di genere sia particolarmente importante soprattutto nell’ambito delle discipline Stem. Negli ultimi anni si registrano due dati: uno positivo, costituito dall’aumento quantitativo delle studentesse che scelgono materie Stem, uno negativo, poiché sono poche le donne nelle posizioni di vertice e analogamente poche sono le donne occupate nell’industria tech, come attestano i dati che palesano un andamento globale» spiega Costanza Nardocci, professoressa di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano.
Alcune donne preferiscono la loro qualifica declinata al maschile
«Anche il linguaggio, nel quadro dei meccanismi che si annidano dietro al funzionamento della discriminazione e dello stereotipo collettivo, gioca un ruolo centrale» dice Nardocci. «Spesso sono proprio le donne a preferire la qualifica al maschile, anche in presenza di termini per i quali la lingua italiana consente il ricorso alla doppia declinazione, perché ritenuto espressivo di maggiore autorevolezza. Si pensi, per esempio, al termine direttore anziché direttrice».
L’empatia non è un fattore di debolezza
La ricerca Swg rivela infatti che, secondo il 33% delle donne, gli uomini sono biologicamente portati per la leadership, mentre per quasi una su 3 l’empatia è una caratteristica più femminile. «Fin da bambine ci mettono in mano un bambolotto da accudire. L’empatia viene vista come un fattore di debolezza, gli studi mostrano invece che consente di trovare soluzioni collettive più rapide e migliori risultati economici» spiega Azzurra Rinaldi, professoressa di Economia politica presso l’Università Unitelma Sapienza di Roma e coautrice dello spettacolo teatrale Piacere, Denaro! (ora diventato anche un corso, antonellaquesta.it/piacere-denaro). Se si indaga poi su cosa cerchino le donne in un lavoro, si apre uno squarcio tra desideri e realtà. «Mirano alla stabilità economica, però sono soprattutto loro a doversi accontentare di impieghi precari e di contratti part-time. Così hanno stipendi – e poi pensioni – più bassi, quindi scarsa sicurezza economica» dice Mariangela Zanni, consigliera nazionale di D.i.Re – Donne in Rete Contro la Violenza.
Le donne senior possono ispirare le giovani per la carriera
Mentre le over 40 della Generazione X vorrebbero aziende capaci di investire ancora su di loro, quasi 2 su 3 sono insoddisfatte delle prospettive salariali e di carriera, le Millennials mirano a conciliare professione e vita privata, per esempio con un impiego vicino a casa. «Quella delle più giovani è la generazione degli stage e della precarietà, ma a me pare abbiano spesso poca consapevolezza su cosa voglia dire programmare un percorso di carriera bilanciandolo con le scelte nel privato» commenta Annamaria Tartaglia, imprenditrice e co-chair di Women7, il gruppo di organizzazioni della società civile che promuove proposte sui diritti delle donne nell’ambito del G7. A favorire il dialogo tra generazioni è teso il progetto di empowerment femminile Mentorship Milano, promosso dal Comune di Milano nell’ambito del Patto per il Lavoro, per affiancare alle giovani tra i 18 e i 30 anni donne all’apice della carriera. «Molte ragazze sono disilluse e non si mettono neanche in gioco in certi ambiti. Incontrare professioniste che hanno costruito la loro carriera tenendo insieme lavoro e famiglia le aiuta ad abbattere paure e auto-barriere. Il messaggio è: “Provaci anche tu!”» spiega Alessia Cappello, assessora allo Sviluppo economico e alle Politiche del lavoro del Comune di Milano, che ha ideato l’iniziativa (il 29 aprile aprirà il bando per la seconda edizione).
La discriminazione ha tanti volti
Il colloquio di lavoro è per molte già un amaro assaggio del clima che le attenderà. Dovrebbero contare la vivacità delle soft skills e la solidità dei curricula, ma allora perché ti chiedono se hai il fidanzato o se vuoi avere figli? Succede a quasi 7 Millennials su 10 e in un solo colpo cadono come birilli il rispetto dell’articolo 27 del Codice delle pari opportunità e la logica. Agli uomini, infatti, viene chiesto: cosa fai nel tempo libero? Quali sport pratichi? «Al mio primo colloquio, avevo 23 anni, la prima domanda fu: “È fidanzata? È una cosa seria?”» ricorda Annamaria Tartaglia. «Le giovani devono dire che una domanda così è discriminatoria. In tema di diritti, poi, non pensiamo solo a chi ha un impiego da dipendente ma anche alle Partite Iva, che mancano di tutele come l’indennità di malattia».
Molte donne subiscono molestie sul lavoro
Se il colloquio è spesso spiazzante, il luogo di lavoro può rivelarsi irto di insidie come il gender pay gap, cioè la differenza di stipendio a parità di mansioni. Ma non solo. Secondo l’analisi di Swg, il 54% delle lavoratrici dichiara di essere stata oggetto di almeno una pratica lesiva della sua professionalità o della sua persona. Una su 5 dichiara di essere stata assegnata a mansioni sotto la sua competenza almeno una volta. Una su 4 dice di aver subito battute sessiste oppure avances non richieste da parte di colleghi o superiori. Mariangela Zanni avverte: «Molti episodi di molestie sul lavoro restano purtroppo nel sommerso. Chi fa un percorso di fuoriuscita dalla violenza ha diritto a un congedo lavorativo di 90 giorni, ma molte aziende non lo conoscono, e quando la donna ne fa richiesta diventa un problema. Secondo un pensiero comune, anche chi rientra dalla maternità o chiede permessi per seguire parenti anziani dedica meno “tempo mentale” al lavoro». A complicare il quadro possono entrare in gioco altri elementi. «Si parla di discriminazioni intersezionali quando ci sono trattamenti differenti non solo per una caratteristica come il genere ma anche, in aggiunta, per la classe sociale o l’appartenenza etnica» spiega Costanza Nardocci. «Per donne povere e magari anche straniere il percorso professionale è ancor più in salita, se non impraticabile».
La conciliazione lavoro-famiglia è una chimera
Che la vita di molte sia un Cubo di Rubik dove le facce si ingarbugliano di continuo e il tassello senso di colpa pare non eliminabile, lo dimostra quello che per 7 donne su 10 è importante sul lavoro: servizi di cura, nidi aziendali, ma anche supporto psicologico. «Sono mamma da 5 mesi e mezzo e, pur riuscendo a tenere insieme lavoro e famiglia, ho momenti di sconforto e fragilità, perché conciliare la cura e accudimento con la vita professionale non è facile. Sono fortunata perché posso sfogarmi con mia madre e le mie amiche, ma capisco che può essere davvero prezioso avere uno psicologo come sostegno» commenta l’assessora Alessia Cappello. Secondo l’economista Azzurra Rinaldi, «il sondaggio dà un’immagine del Paese diversa da quella che vorremmo vedere»: per una lavoratrice su 2 il carico di mansioni domestiche è sbilanciato sulle sue spalle, quasi metà delle donne non riesce a dedicare il tempo desiderato alla vita privata, oltre 4 su 10 affermano di aver rinunciato alla crescita professionale per occuparsi della famiglia.
Il lavoro dà indipendenza economica e, quindi, libertà di scelta
«Va fatto un grosso lavoro culturale, in particolare sugli uomini in posizione di potere, che hanno il dovere morale di combattere pregiudizi e discriminazioni» continua Rinaldi. «Cosa possiamo fare noi in attesa che il mondo cambi? Dobbiamo perseguire l’indipendenza economica. Il denaro non deve essere il fine, ma il mezzo che ti permette di fare le tue scelte e, se sei in una relazione che ti fa male, di potertene andare». Il lavoro è strumento di libertà, peccato che per un’intervistata su 3 il genere sia ancora un problema per la carriera. La vera domanda resta questa: quando l’essere donna e il voler lavorare diventerà quello che è? Un’opportunità per l’intera società.
Il progetto Libere e uguali
Un percorso lungo un anno per scardinare gli stereotipi, superare le discriminazioni, combattere la violenza di genere. Libere e uguali. Per una nuova idea di parità è partito a marzo con il primo sondaggio dell’Osservatorio sui diritti, dedicato alle relazioni. In queste pagine parliamo di lavoro e nei prossimi mesi indagheremo altri due ambiti in cui si annidano gli ostacoli a una società davvero equa: famiglia, linguaggio e immagine. Ai quattro sondaggi seguono altrettanti tavoli di lavoro per tradurre le istanze emerse in proposte concrete attraverso le idee, le esperienze, le competenze di esperti di giurisprudenza, istituzioni, forze dell’ordine, docenti, psicoterapeuti, attiviste. Il risultato sarà un Libro Bianco da presentare al governo il 25 novembre 2024, in occasione Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Con la collaborazione scientifica di Università degli Studi di Milano
Consulenza di Di.Re
Partner: Avon – Banco BPM – BioRepack – Generali – Gruppo FS – Jeep – Mundys