Dobbiamo dimenticarci la vecchia idea di pensione. L’immagine dei nonni, delle nonne e, in molti casi, dei genitori che hanno lasciato il mondo del lavoro una volta raggiunti i limiti di età è ormai un concetto superato. Aumenta, infatti, il numero di coloro che continuano a lavorare e, secondo le stime più recenti, continuerà a crescere, modificando anche il nostro stile di vita.
Vecchia pensione addio?
Il numero di coloro che continua a restare nel mondo del lavoro nonostante l’età pensionabile continua a crescere. Il fenomeno è iniziato negli anni ’90, ma i dati indicano che aumenterà ulteriormente. Solo negli Stati Uniti si è passati dal 22% dei 65-69enni che nel 1994 continuava a lavorare, al 32% del 2017. Lo stesso vale per il Regno Unito, dove tra il 1993 e il 2018 il numero di lavoratori over 65 è raddoppiato. Complice la pandemia, che in un primo momento ha colpito duramente, portando a una serie di pensionamenti “forzati”, poi però ha reso urgente anche la richiesta di nuove occupazioni per la fascia di età tra i 55 e i 64 anni, a causa dell’aumento dell’inflazione, dunque del costo della vita.
Continuare a lavorare è una necessità economica
Secondo alcuni esperti, come Gaëlle Blake, direttrice dell’agenzia di lavoro inglese e irlandese Hays intervistata dalla BBC, «il fenomeno è iniziato quando le persone hanno avvertito la pressione finanziaria». Insomma, il lavoro è diventata una necessità economica, portando a cercare una nuova occupazione per far fronte alle spese quotidiane, che sia un part time o un lavoro a tempo pieno. Nel Regno Unito è la motivazione principale per il 48% di coloro che tornare a lavorare, mentre il 23% dice di non sopportare la nuova dimensione da pensionato. Lo stesso vale negli Usa. E in Italia?
Niente più pensione anche in Italia?
Se nel Regno Unito pesano gli effetti della Brexit (aumento dell’inflazione e assenza di crescita economica), «L’Italia negli ultimi anni si è confrontata con una situazione simile a quella britannica e sono sempre di più i pensionati che continuano a lavorare. Secondo l’ISTAT, nel 2021 su 13 milioni di pensionati erano 444mila i percettori di redditi da lavoro, in aumento del 13,3% rispetto al 2020», risponde Paolo Neirotti, Direttore Master School del Politecnico di Torino e Professore di Strategia e Organizzazione di Impresa.
L’identikit di chi continua a lavorare
Ma chi è che decide di continuare a lavorare nonostante l’età pensionabile? «Sono in maggioranza uomini (3 su 4), residenti al Nord (2 su 3) e lavoratori non dipendenti (l’86,3%) prevalentemente nel settore dei servizi (6 su 10) %) oltre il 41% svolge una professione qualificata. Anche l’età media dei pensionati che lavorano è cresciuta progressivamente – spiega ancora Neirotti – Nel 2021 il 78,6% ha almeno 65 anni (77,4% nel 2019) e il 45,4% ne ha almeno 70 (41,8% nel 2019); proprio al segmento più anziano si deve buona parte dell’incremento osservato nel 2021 rispetto all’anno precedente (+15,7%)».
Le over 50 e la prospettiva della pensione
Uno dei maggiori problemi è la svalutazione delle pensioni rispetto allo stipendio (circa il 70%). «Per chi è molto vicino al traguardo e ha iniziato a lavorare presto, la pensione può ancora raggiungere l’80% del valore della retribuzione: si tratta soprattutto di nonni e genitori, ma in futuro questo valore potrà scendere al 60%. Al momento del ritiro il valore dell’assegno dipenderà anche dall’attesa di vita: maggiore sarà la longevità, minore sarà il valore dell’assegno. A questo si somma l’assenza di crescita della nostra economia», osserva l’esperto.
Le pensioni non cresceranno
Nonostante sembrino discorsi “tecnici”, il ragionamento è semplice: i contributi si rivalutano ogni anno in base all’andamento del Pil, il prodotto interno lordo. Ma se questo non cresce, non crescono neppure le pensioni. Se poi si aggiungono la denatalità (quindi meno forza lavoro) e una riduzione dei posti di lavoro a causa dell’automazione, verrebbe da pensare che la pensione diventerà un traguardo sempre più lontano.
Le alternative alla pensione: i “lavoretti”
Se occorre contare meno sulla pensione, quali sono le alternative? Il problema riguarda soprattutto le fasce intermedie e basse: «Con la sharing economy e la proliferazione di piattaforme che aderiscono a questo modello, potrebbero aumentare le opportunità per gli anziani di svolgere i cosiddetti “lavoretti”. Alcuni esempi sono UberPop in Inghilterra o Task Rabbit in Italia. I lavoratori in pensione non qualificati possono anche trovare occupazioni anche presso i call center», spiega Neirotti. Paradossalmente proprio l’avvento dell’Intelligenza artificiale potrebbe rappresentare una nuova “opportunità” per chi si avvicina alla pensione o è già in età da pensione.
Reshoring: i “nuovi lavori” per i pensionati
Come spiega Neirotti, infatti, «Per via di un crescente utilizzo dell’intelligenza artificiale, questi lavori stanno ritornando in Italia (è il cosiddetto fenomeno del reshoring) e l’intelligenza artificiale contribuisce ad “aumentare la persona” ed il suo contributo cognitivo al lavoro. Ciò che si chiede, infatti, è di intervenire nelle parti di processo meno automatizzabili e codificabili, e dove sono necessarie ad esempio più empatia o capacità di persuasione con l’utente. Al Politecnico di Torino, nell’ingegneria informatica e gestionale questo tema è da alcuni anni al centro di percorsi di Master orientati a sviluppare un concetto di automazione intelligente che mette al centro le competenze specifiche e uniche della persona».
Le aziende cercano anche “vecchie” competenze
A volte, invece, sono state le stesse aziende a richiamare in servizio i propri ex dipendenti, per sfruttare le loro competenze ed esperienza, specie per i ruoli più qualificati. «Avviene per quelle competenze per cui non vi è stato un ricambio generazionale, un po’ difficoltà da parte delle imprese, un po’ perché questi mestieri hanno perso appeal», chiarisce l’esperto. Si va dai cosiddetti turnisti di centrali elettriche, ai tecnici manutentori di apparati sofisticati come turbine, ma anche per i mestieri legati all’artigianalità come sarti e sarte, orafi, conciatori, restauratori, lavori tipici del cosiddetto “made in Italy”. «Curiosamente in questo ambito c’è più compenetrazione tra le competenze “tipiche” e quelle digitali legate di AI e virtualizzazione tramite simulatori e rappresentazioni in 3D (realtà aumentata e virtuali)», spiega Neirotti.
Il “reverse mentoring” tra giovani e meno giovani
Per questo «molte aziende hanno avviato percorsi di reverse mentoring per favorire questo patto generazionale e scambio mutuale di competenze tra giovani e anziani, che possono essere sia una “seconda opportunità” per i lavoratori più anziani di mantenersi “occupabili” e acquisire nuove competenze, sia per quelli più giovani di essere allievi e mentori allo stesso tempo e acquisire così competenze diversificate», spiega il professore del Politecnico di Torino, dove è stato attivato, ad esempio, un Master come HumanAize dove si incrociano le competenze tipiche di lavori di gestione e sviluppo delle persone con quelle legate alla digitalizzazione.
Come lavoreremo dopo i 60 anni
Lavorare dopo l’età pensionabile, però, spesso pone degli interrogativi sulla sua sostenibilità anche fisica. Per alcuni lavori, in particolare, come quelli in fabbrica, la tecnologia sta studiando soluzioni che hanno a che fare con l’ergonomia. «L’innalzamento della vita pensionabile e la minimizzazione degli sprechi hanno portato le imprese a porsi il problema di come ridisegnare le postazioni di lavoro in modo da rendere più sostenibile il lavoro fisico e manuale per lavoratori anziani, dove spesso l’età media si avvicina ai 50 anni. In Germania BMW è stata una delle prime a progettare postazioni di lavoro sulla base dei bisogni e delle caratteristiche fisiche della persona». La robotica collaborativa, gli esoscheletri e anche l’Internet of Things aiuteranno in caso di problemi di usura e calo delle prestazioni fisiche, insieme al design, che porterà «alla progettazione della stazione di lavoro e di dispositivi personali per migliorare il benessere del lavoratore», conclude Neirotti.