La prima volta che ho orientato il microfono verso una persona era il 2010. Ero a Polsi, nel cuore dell’Aspromonte, stavo realizzando un audio-documentario per Radio3 Rai e davanti avevo un ‘ndranghetista, ma non lo sapevo. Da allora è passata una vita e l’audio – considerato spesso come la cenerentola delle arti contemporanee – si è guadagnato grazie ai podcast un ruolo di primo piano nelle nostre giornate. Ogni mese circa 15 milioni di italiani ascoltano almeno un podcast (il 53% attraverso Spotify) investendo circa 22 minuti al giorno del proprio tempo (Osservatorio Digital Content). Si tratta di un fenomeno in crescita esponenziale, celebrato il 30 settembre nella Giornata Internazionale del Podcast, che quest’anno cade durante il “Festival del Podcasting” (a Milano fino al 30 settembre, si può seguire anche online).
Le difficoltà per creare un podcast
Se il genere sta conoscendo un boom soprattutto fra gli under 35 (il 43%) è una sequenza di sfide. La principale è quella finalizzata a creare un modello di business vincente. I podcast infatti, a meno che non siano sponsorizzati, non producono molto denaro per chi li produce e per chi li conduce – in media ogni puntata viene pagata poco più di 200 euro – ma richiedono molte competenze: quelle relative alla scrittura finalizzata all’ascolto, studi di registrazione, musiche, montatori. Considerata la mia esperienza in Calabria, – e le successive come audiodocumentarista – pensavo che fare un podcast sarebbe stato semplice. Invece, mi sono dovuta ricredere: è una vera avventura.
L’ho scoperto negli ultimi mesi con Carmine Gazzanni mentre realizzavamo il nostro Nella Setta (Fandango) con l’obiettivo di accompagnare l’ascoltatore dentro l’occulto italiano, che tocca oltre 5 milioni di persone. Fra microfoni che non andavano, furti, pianti isterici, pedinamenti e lunghissime attese fuori da villette a schiera di ex-vampiri, abbiamo trascorso momenti indimenticabili, che solo lunghe sequenze in presa diretta potranno (forse) restituire. Di certo c’è che oggi i podcast coprono ormai ogni aspetto dello scibile umano: dall’attualità, al benessere, passando per la moda.
Podcast di tutti i tipi, per tutti i tipi
E molti garantiscono appuntamenti quotidiani, come Stories di Cecilia Sala che accompagna nell’attualità in giro per il mondo, i commenti al vetriolo di Luca Bizzarri, Non hanno un amico, o Quarto Potere di Massimiliano Coccia, «L’idea è stata quella di creare una rassegna stampa diversa, radicale nei contenuti, nelle analisi e nel modo di vedere il mondo. Il podcast è nato all’indomani della conquista di Kabul da parte dei talebani, con Storie Libere volevamo reagire e raccontarla. Attualmente, c’è una desertificazione del panorama informativo paurosa e una platea che cerca voci diverse per capire il mondo».
Ogni podcast ha il suo lessico e le sue necessità. L’uso corretto delle fonti, lo studio, il fact-checking sono elementi fondamentali, ma bisogna anche cercare un linguaggio informale, diretto e capace di far immedesimare il fruitore. Utilizzare le parole e la musica, i suoni per produrre un mondo è complesso, ma affascinante. Una sfida che deve intercettare l’ascoltatore che nel 73% è in movimento (secondo una ricerca OBE) e in 8 casi su 10 sta facendo altro. Anche per questo molto amati si rivelano i podcast comedy come Tintoria, condotto dai comici Daniele Tinti e Stefano Rapone, che ha all’attivo 170 puntate e oltre 22 milioni di visualizzazioni.
Podcast: il true crime è il genere più amato
Ovviamente il crime è fra i generi più gettonati. Tra i più seguiti, svetta Elisa de Marco, nota come Elisa True Crime, che con il suo omonimo podcast prodotto da OnePodcast racconta di crimini, enigmi e sparizioni ed è tornata da poco on air con un ciclo di puntate dedicate alle relazioni tossiche. «Vanno raccontate» mi spiega da Formentera, dove vive con il marito «perché troppo spesso si confonde cosa è vero amore e cosa non lo è. Solo così possiamo diffondere consapevolezza, permettendo a chiunque ascolti di riconoscere il più possibile i campanelli d’allarme che accomunano queste storie».
La vicenda personale di Elisa è quella di un cortocircuito fortunato, dove la passione diventa la strada per il successo. «Durante la pandemia» racconta «mi trovavo in Cina e ho deciso di aprire un canale YouTube (che oggi conta 900mila iscritti, ndr) per non impazzire. All’inizio neanche sapevo che sarebbe potuto diventare un lavoro. Desideravo solo raccontare ciò che mi appassionava. Credo che la spontaneità, parlare alle persone, sia la chiave vincente. Fare le cose per il successo è la ricetta per il disastro». Il crime è anche la cifra stilistica di un altro amatissimo podcaster, Stefano Nazzi, giornalista del Post che con Indagini ha vivisezionato la cronaca nera.
«La cifra distintiva», commenta «è il racconto della cronaca guardando più ai fatti, alle carte, agli atti del processo che alla morbosa curiosità. Per ogni puntata impiego circa un mese. Inizio documentandomi, arrivo a una sintesi delle informazioni e inizio a scrivere il copione. Alla fine faccio le interviste, dunque vado al montaggio e riascolto. È un processo immersivo». Tanto per chi conduce, quanto – stando al successo – per chi ascolta.
Le skill richieste
«Le cose principali per creare un podcast, sono due: la passione e la curiosità». Esordisce così Pablo Trincia, il più celebre podcaster italiano che ha traghettato dagli Usa il genere nel nostro Paese con Veleno (La Repubblica) incentrato sul racconto dei presunti pedofili della Bassa modenese.
«Uscì nel 2017 e all’epoca» spiega Trincia, «nessuno aveva ben chiaro cosa fosse un podcast. Io invece ero rimasto stregato da questo genere caratterizzato dalla libertà incredibile, che ti fa prendere tutto il tempo e lo spazio che vuoi. Ti permette di far immergere l’ascoltatore in una storia, trasformando magari un momento morto in un tempo ricco. Mi impegno sempre per creare un’esperienza: occorre far vibrare le storie, accompagnando il fruitore dentro la propria immaginazione, nel proprio archivio personale per recuperare frammenti di ricordi, pensieri, immagini e ricreare quello di cui sto parlando con la fantasia».
Negli anni Trincia, ha svelato moltissime storie, dalla Costa Concordia (Il dito di Dio) al caso Parmalat (Crac!) fino ad arrivare allo struggente Dove nessuno guarda: il caso Elisa Claps, che diventerà anche una docuserie per Sky. «La vicenda» riflette «era nota, ma questo non mi ha spaventato. Potenzialmente tutte le storie sono conosciute. La differenza la fa come vengono raccontate».