Lavoro, altro che settimana corta. In Grecia è appena stata introdotta la settimana lavorativa lunga: 48 ore, ossia 6 giorni su 7. Un provvedimento che si è reso necessario di fronte al calo demografico e alla riduzione di lavoratori specializzati. La misura, quindi, va nella direzione opposta rispetto ai 4 giorni di lavoro adottati, per esempio, in Austria, Norvegia, Paesi Bassi, Danimarca e Germania. In Italia si è discusso più volte della riduzione delle ore di lavoro settimanali, con alcuni esempi di aziende che hanno già adottato questo modello. Ma ora si teme un intervento contrario. Lavoreremo di più?

Lavoro 6 giorni su 7: perché?

Come riferisce The Guardian, il Governo di Atene ha deciso di allungare l’orario lavorativo. Fin dallo scorso 1° luglio, infatti, si è passati da 5 a 6 giorni di lavoro su 7. Il provvedimento, voluto dal primo Ministro greco Kyriakos Mitsotakis, per ora riguarda soltanto le aziende private che forniscono servizi 24 ore su 24. Il motivo è chiaro: manca forza lavoro, per il calo demografico e perché circa 500.000 greci, soprattutto giovani e istruiti, hanno lasciato il Paese in occasione della crisi del debito iniziata nel 2009.

Incentivi per lavorare di più

Nel caso greco si è previsto un aumento di retribuzione del 40% sulla retribuzione giornaliera, per il personale di settori e impianti di produzione selezionati, a fronte della possibilità di lavorare due ore in più al giorno o con un turno extra di otto ore. Il provvedimento, dunque, offrirebbe una possibilità ai lavoratori che fossero disposti a lavorare di più in cambio di una retribuzione maggiore. Secondo il premier in questo modo si supererebbe il mancato pagamento degli straordinari di molti dipendenti, facendo emergere anche il lavoro sommerso.

Il perché della scelta greca

Proprio il lavoro nero, insieme al calo demografico, sono due caratteristiche comuni al mercato del lavoro italiano. «Il tema della flessibilità lavorativa è molto sentito dalle imprese italiane, tanto che ci è appena stata affidata una ricerca su questo tema da parte di aziende del settore elettrico. Alcune aziende hanno già avviato sperimentazioni, ma introducendo un modello opposto, quello della settimana corta. Questo perché si sta riflettendo sul rapporto tra la produttività e il tempo dedicato al lavoro: se, grazie alle innovazioni tecnologiche e alla riduzione degli sprechi, un’ora di lavoro produce più ricchezza e quindi “vale di più”, si può pensare di ridurre il cosiddetto tempo lavorato, dunque si possono tagliare le ore di lavoro», spiega Paolo Neirotti, docente di Strategia e Organizzazione e direttore della Master School del Politecnico di Torino.

Una decisione controcorrente?

«La Grecia è uno dei paesi che registra la minore produttività oraria lavorativa, quindi non stupisce che il settore privato vada in quella direzione. D’altro canto nel settore pubblico si lavora già in media meno rispetto a quello privato e questo non vale solo in Grecia ma anche, per esempio, in Germania. Altri Paesi, però, compresa la stessa Germania, vanno proprio in direzione contraria e cioè quella che prevede una riduzione degli orari di lavoro. Ciò è possibile, comunque, solo a fronte di una maggiore efficienza nella produttività e solo in certi settori o per certe professioni. I dati, infatti, indicano che nelle professioni estremamente qualificate le ore settimanali di lavoro sono molte di più rispetto ad altre», spiega Neirotti.

Le aziende italiane con la settimana corta

«Non è un caso che i manager inquadrati come dirigenti non abbiano lo straordinario perché in media lavorano più di 40 ore a settimana – chiarisce il docente – Una situazione di maggiori ore lavorate vale anche per i tecnici qualificati perché non se ne trovano a sufficienza. Non è un caso che le sperimentazioni in Italia riguardino, ad esempio, Intesa San Paolo, una delle principali banche europee con un tipo di management, leadership e gestione del lavoro in remoto molto avanzati, perché viene meno l’esigenza di controllo del lavoro: conta il prodotto reso dal lavoratore. Per Lamborghini e Luxottica, invece, il motivo è anche un altro: è vero che si lavora 36 ore invece che 40, ma in modo molto più intenso. Se si dovesse effettuare per più ore non sarebbe sostenibile, quindi in questo modo si compensano ritmi di lavoro, fatica fisica e stress cognitivo con un taglio delle ore».

Bastano 4 giorni di lavoro?

Nei Paesi dove questa pratica è stata introdotta, sembra che i risultati siano più che positivi, con un aumento non solo del benessere del personale, ma anche della produttività. Secondo un’indagine condotta dall’Università di Cambridge su 61 aziende e 2900 lavoratori, il 71% dei dipendenti dichiara di avere livelli più bassi di burnout e il 39% di essere meno stressato dopo aver sperimentato la settimana lavorativa di 4 giorni. Ci sarebbe stato anche un calo del 65% dei giorni di malattia e del 57% delle dimissioni volontarie. I ricavi delle imprese, invece, sarebbero rimasti pressoché invariati durante il periodo di prova, in alcuni casi aumentando di circa l’1,4%, in 23 aziende in grado di fornire dati.

Perché non decolla in Italia

«Da noi la posizione generale delle imprese sembra essere molto tiepida nei confronti di una sperimentazione generalizzata della settimana corta o nell’introdurla come opzione nella contrattazione nazionale collettiva di primo livello. Al contrario, per alcune posizioni tecniche iperqualificate credo che continueremo a vedere un utilizzo importante dello straordinario, proprio per la mancanza di figure adeguate in numero sufficiente e per il calo demografico», osserva Neirotti. In settori come il commercio e il retail, quindi vendita al dettaglio, si va inoltre verso una sempre maggiore flessibilità e aumento del lavoro.

I settori dove aumenta la flessibilità

«Nella grande distribuzione, per esempio, ormai è prassi considerare la domenica come un normale giorno lavorativo, perché c’è l’esigenza della continuità di servizio e c’è una forte competitività. Sono settori, generalmente più poveri e impoveriti dalla competizione digitale, che vanno nella stessa direzione seguita dalla Grecia. Questo, invece, non vale nel campo manufatturiero, dove c’è una maggiore presenza e forza del sindacato: in questo caso non è immaginabile, ad oggi, che si segua il modello greco, ma neppure che si riducano le ore lavorative, semplicemente è possibile che ci si stabilizzerà. La possibilità di introduzione di una settimana corta è reale, ma solo con una contrattazione collettiva di secondo livello e nei casi nei quali ci sia un efficientamento tale da migliorare la produttività oraria».