L’ultima lamentela in ordine di tempo è arrivata dal CEO di JP Morgan, Jamie Dimon, che su The Indipendent si è chiesto da quando i lavoratori siano diventati così “maleducati” in ufficio. Un problema che però è stato sottolineato da diversi manager che sono sempre più infastiditi da persone che, durante le riunioni, continuano a guardare i propri smartphone, a rispondere a email e messaggi, a controllare le notifiche dei social. Un atteggiamento più diffuso nella Gen Z, ma che non risparmia ormai neppure i senior.
Siamo diventati tutti più maleducati in ufficio?
Il fenomeno non è nuovo ma, complici i social, sta assumendo proporzioni tali da far lanciare un allarme: non siamo più in grado di seguire una riunione in ufficio senza consultare continuamente il nostro smartphone, per controllare notifiche, email e messaggi di ogni genere. Non solo: anche quando i meeting sono online, come nel caso delle videocall, pur guardando verso la telecamera, continuiamo a occuparci di altro invece che seguire cosa si sta dicendo. Il tutto non solo si traduce in una maggiore distrazione, ma può assumere anche i contorni della maleducazione.
Troppe distrazioni e multitasking in ufficio
Il problema è legato alle distrazioni che arrivano dal web, che si tratti di messaggistiche usate anche per lavoro, come Slack, o per contatti personali, come WhatsApp, il risultato è lo stesso: oggi non si riesce più a rimanere concentrati su quanto accade intorno a noi, anche se si tratta di un meeting con il proprio capo. Come sottolinea anche The Times, la causa di questo cambiamento è legata all’uso dei cellulari, che fino a qualche anno fa era implicitamente (o, in alcuni casi, esplicitamente) vietato mentre si era in ufficio: il tempo del lavoro è il tempo del lavoro – si diceva – e le chiamate personali erano consentite con il contagocce. Oggi, invece, gli smartphone sono a tutti gli effetti strumenti di lavoro, che però consentono anche distrazioni extra”
Come è cambiato l’uso degli smartphone
«Il problema è reale e lo vediamo anche noi, come career coach – spiega Irene Bosi, docente ed esperta di comunicazione social – Tutti facciamo più fatica a rimanere concentrati e soprattutto vogliamo rendere produttivo il nostro tempo. Chi non ricorda le vecchie e interminabili riunioni in ufficio con magari 20 persone presenti e solo due realmente coinvolte? In molti casi sarebbe bastato un meeting ristretto a due o tre decision makers, che poi avrebbero potuto trasferire le informazioni importanti agli altri. Oggi che la tecnologia permette videocall, attività e contatti da remoto – di qualunque tipo – è diventato ancora più difficile rimanere concentrati quando non si è direttamente coinvolti».
Maleducati in ufficio anche per mancanza di spazi di vuoto
«Un altro motivo per cui credo si faccia fatica a concentrarsi anche sul lavoro è la mancanza di spazi di vuoto – aggiunge l’esperta – La concentrazione richiede uno spazio mentale libero. Ma se ogni micro-pausa è riempita scrollando Instagram o rispondendo a messaggi, ecco che non lasciamo tempo alla mente per riorganizzare, rielaborare, approfondire».
L’eredità dello smartworking e del Covid
Con la pandemia Covid, inoltre, è cambiato il modo di lavorare: «Sicuramente il grande ricorso allo smartworking ha aperto nuove frontiere. Ma ci ha anche permesso di diventare più produttivi: avendo provato l’esperienza di non dover essere più presenti fisicamente, oggi per chi è tornato in ufficio è ancora più faticoso dover pensare di replicare un modello “vecchio” di lavoro. Anche in caso di riunioni online, però, oggi tutti sappiamo che gli strumenti ci consentono di gestire più attività in parallelo e non sfruttare questa opportunità diventa difficile da accettare: è come se pensassimo di perdere tempo. In ogni caso, non si tratta necessariamente di un aspetto negativo: se sono stata invitata a un meeting solo per ascoltare, ma ho la capacità di essere multitasking, perché non metterla in atto, occupandomi anche di altro?», osserva Bosi.
Maleducati in ufficio: la Gen Z fa più fatica
Il problema riguarda un po’ tutti, ma in particolare la Gen Z, che rischia spesso di apparire “irrispettosa”, per dirla con Dimon. «Sicuramente è vero che i giovani avvertono maggiormente la frustrazione di dover rimanere concentrati, per esempio durante una riunione, se non sono chiamati in causa direttamente: loro vivono in un mondo che è cambiato rispetto a quello dei loro manager, avvertono il bisogno di affermare le proprie abilità e vederle riconosciute. In una società così digitale e dinamica, non accettano di assistere passivamente a qualcosa che li tocchi direttamente», spiega la career coach.
Maleducazione o cambio sociale?
«La Gen Z fatica ad adattarsi a sistemi organizzativi poco trasparenti e molto gerarchici, dove il senior manager parla e ai giovani non è richiesta un’opinione. Certo questo è sempre accaduto, ma a cambiare è la risposta: mentre le generazioni più adulte sono abituate alle gerarchie, oggi i Gen Z risentono anche dell’influenza dei social, un mezzo che dà voce a chiunque, a prescindere da età ed esperienza professionale, senza dover chiedere permessi. Questa, però, non deve essere una giustificazione per comportamenti non corretti e, soprattutto, non esonera i giovani dalla responsabilità di imparare a gestire in modo adeguato il proprio comportamento», osserva l’esperta.
Come ritrovare la giusta concentrazione
Se il problema è più accentuato nei giovani, non ne sono esenti dunque neppure i Millennials o la Gen X. «Sicuramente tutti siamo soggetti a una serie di stimoli continui che rendono più complicato riuscire a concentrarsi rispetto al passato, perché siamo perennemente sollecitati da notifiche email, Slack o di social di vario tipo. Anche quando lavoriamo siamo alle prese con un continuo contest switching: mentre lavoriamo a un progetto, per esempio, arrivano notifiche di WhatsApp, private o lavorative. Il consiglio che diamo spesso è di identificare spazi di cosiddetto deep work, per svolgere quelle attività che richiedono più concentrazione», suggerisce Bosi.
Ritagliarsi spazi di “deep work”
Per farlo occorre una maggiore organizzazione: «Sappiamo che ci sono attività che richiedono un focus maggiore, mentre altre possono essere gestite anche in multitasking. Nel primo caso spesso consigliamo di stabilire uno spazio di totale disconnessione, spegnendo il cellulare, chiudendo la finestra delle email o delle app di messaggistica, per concentrarsi su ciò che si sta facendo», spiega Bosi, che indica anche strumenti utili a raggiungere questo scopo: «Qualche tempo fa si era parlato di un prodotto specifico su TikTok, ma non è l’unico: consiste di una scatola nella quale riporre lo smartphone, con locker e un timer. È un modo per non cedere alla tentazione e voglia di essere sempre aggiornati, di sapere cosa stanno facendo gli altri sui social, che sono impostati proprio per alimentare questo desiderio. Se, invece, stabiliamo un momento di deep work, sappiamo e comunichiamo che in quel lasso temporale siamo irreperibili».