Un inquietante silenzio è calato sul mondo del lavoro, almeno a giudicare dal modo in cui sono stati battezzati alcuni fenomeni in corso: al quiet quitting “esploso” dopo la pandemia – la situazione in cui un dipendente riduce il suo impegno al minimo – si affianca ora il quiet firing o silent firing, ovvero il licenziamento silenzioso. Scatta quando un’azienda adotta una serie di comportamenti senza clamore ma a causa dei quali un dipendente si sente inadeguato, fino a dimettersi.

Il licenziamento silenzioso dei dipendenti è più subdolo del mobbing

«Si avvicina al mobbing, però è più subdolo. Il mobbing, infatti, prevede atteggiamenti persecutori, mentre nel silent firing sono messi in atto comportamenti meno “appariscenti” ma volti a svalutare l’altro. È una grande fonte di demotivazione, ancora più difficile da dimostrare del mobbing» spiega Silvia Zanella, manager e autrice sui temi della leadership e delle risorse umane, che ha appena pubblicato Basta lavorare così (Bompiani).«Il fenomeno rientra nella “sciatteria manageriale”: ci sono casi in cui il silent firing è attuato in modo consapevole dalle aziende per “liberarsi” di un certo numero di dipendenti e altri in cui non è voluto, però il risultato è che le persone si sentono non valorizzate ed emarginate. Alla base c’è un disequilibrio di percezione tra quello che io dipendente metto nel lavoro – passione, tempo, dedizione – e quanto poi mi viene riconosciuto dall’azienda» continua Zanella.

Oggi si comuncia meno tra colleghi e il licenziamento arriva in silenzio

La mancata fluidità nella comunicazione tra le parti coinvolte fa riflettere. «Il quiet firing così come il quiet quitting sono figli dell’incapacità odierna di gestire relazioni difficili: quando mi sento “in posizione scomoda” con qualcuno, cerco di uscirne nel modo più silenzioso possibile anziché parlarne con l’altro» spiega la psicologa del lavoro Monica Bormetti. La difficoltà è acuita nel contesto del lavoro digitale e intellettuale di oggi, tanto è vero che la rivista Economic Times registra il silent firing come trend del 2025, in particolare nei settori IT e tech.

Siamo ormai abituati ad avere tutto velocemente, anche il licenziamento

«Ci siamo illusi che tutto possa risolversi con due clic: voglio un vestito e me lo compro subito online, ho un problema con un collega e mando una mail. Ma questo approccio toglie la profondità nella relazione» continua Bormetti. «Sto seguendo una persona che ha ricevuto una lettera di richiamo ed è rimasta sorpresa, perché a fargliela mandare è stato il suo vicino di scrivania che prima non aveva mai fatto cenno alla questione. Dovremmo chiederci quanto, in un mondo che ci ha abituato ad avere tutto facilmente, anche il licenziamento, siamo disposti a fare fatica per instaurare legami basati sulla fiducia».

Il problema del licenziamento silenzioso coinvolge dipendenti e manager

Nel corto circuito percettivo e comunicativo rischiano di finirci tutti, dipendenti e manager. «Con la persona che ha ricevuto la lettera di richiamo ci stiamo occupando della percezione del contesto lavorativo. Mi dice: “Mi rimproverano chiedendomi cosa faccia tutto il giorno, ma io sento di fare un sacco di cose”» prosegue Monica Bormetti. «Chi fa un lavoro intangibile, di tipo intellettuale, fatica a vederlo. Magari attraversa una giornata stressante tra mail, telefonate e riunioni, ma non “tocca con mano” nulla. E se tu non vedi il tuo lavoro, è difficile farlo vedere al tuo capo. Si arriva così a soffrire anche della sindrome dell’impostore: pensare di avere un posto del quale non siamo all’altezza. Sarebbe utile a fine giornata fare una lista delle attività svolte, è un modo per dare loro forma». Anche la posizione dei manager può essere sfidante. «Chi è al vertice ha i suoi committenti, dal Consiglio d’amministrazione ai clienti, e si sente schiacciato dal dover produrre molti risultati velocemente. Il rischio che corre è quello di scaricare la pressione sui sottoposti».

Le persone hanno nuove priorità rispetto al lavoro

Concorda Silvia Zanella: «Un manager deve affrontare oggettivi problemi organizzativi: la cultura aziendale fino a pochi anni fa riteneva le attenzioni per il benessere dei dipendenti apprezzabili ma non necessarie. Queste esigenze, però, stanno emergendo con forza. Una delle ragioni è data dallo sconfinamento della vita professionale in quella privata con, per esempio, la chat dell’ufficio che ti segue dovunque: alla recita di tuo figlio, nel weekend… Le persone adesso si chiedono: “Che cosa ricevo in cambio per tutto ciò?”». Attenzione: il reset di priorità non basta per ottenere quanto si desidera, perché la capacità negoziale del dipendente resta – tranne eccezioni – sbilanciata a favore dell’azienda. «Manca però spesso la consapevolezza di ciò che ciascuno di noi può comunque fare per migliorare l’ambiente di lavoro» sostiene Zanella.

Il licenziamento silenzioso è legato alla cultura della performance

E l’impegno, arduo, riguarda tutti. «Va anche detto che né il sindacato né la politica sono riusciti a fare il salto evolutivo necessario per capire che le discussioni non possono fermarsi alle dinamiche salariali, perché oggi la capacità di essere produttivi dipende anche da questioni come la formazione e il benessere». Lo stacco richiesto è notevole. «La cultura della performance erode anche la gentilezza nelle relazioni. Se parlo di gentilezza nelle aziende mi dicono che è parte del privato, perché è spesso confusa con debolezza» dice Bormetti.

Molti dipendenti sono tesi tra la paura di sbagliare e il sovraccarico di lavoro

«Da un lato, le persone faticano a prendersi responsabilità in più per paura di sbagliare, dall’altro, troppo spesso non sanno dire di no, ma poi non riescono a gestire il carico di lavoro che viene loro assegnato (non a caso il prossimo retreat che Monica Bormetti propone sarà rivolto a chi cerca per qualche giorno un luogo senza distrazioni digitali, senza obblighi e senza giudizio: info su yogadigitaldetox.com, ndr)». Certo è che in questo momento di cambi di paradigma, relazioni sfilacciate e insicurezze a tutti i livelli riecheggia potente la poetessa Maya Angelou: «Le persone dimenticheranno cosa hai detto, dimenticheranno cosa hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire».