A tre anni ha iniziato a suonare, a quattro ha tenuto il suo primo concerto e già all’epoca lo sentiva «che quella sarebbe stata la mia scelta definitiva». Infatti, quando qualcuno domandava: «Vanessa, tu che lavoro vuoi fare da grande?», Vanessa Benelli Mosell, nata a Prato nel 1987, già rispondeva: «La pianista e la direttrice d’orchestra».
Vanessa Benelli Mosell: l’amore per la musica classica
Direttrice al femminile va bene, quindi?
«Assolutamente sì, come anche “Maestra d’orchestra”, purché la M sia maiuscola».
Da Roma a Berlino fino alla Corea del Sud, oggi lei gira davvero i teatri di tutto il mondo. Questa vocazione da piccola come è nata?
«I miei genitori hanno sempre ascoltato molta musica classica in casa e mi portavano spesso anche ai concerti: ho assistito alla mia prima opera a teatro a quattro anni!».
Di quale opera si trattava, scusi?
«Del Boris Godunov di Musorgskij, tutto in russo tra l’altro! Ricordo che mia mamma cercava di spiegarmi la storia come fosse una fiaba».
Genitori coraggiosi. Negli anni ’90 lei, quindi, non ascoltava i Take That, immagino.
«No, in camera avevo i poster di Claudio Abbado, lo veneravo come un santo»
La direzione d’orchestra al femminile
Della direzione d’orchestra che cosa l’affascinava e la affascina ancora oggi?
«Lavorare nel gruppo e con il gruppo, un aspetto che a me è sempre mancato, essendo stata focalizzata molto sul pianoforte, che è lo strumento solistico per eccellenza. Dirigere l’orchestra mi dà invece la possibilità di (ri)scoprire la gioia di lavorare – e suonare – insieme ad altre persone».
Generalmente il direttore d’orchestra uno se lo immagina uomo e anche un po’ âgé. Le persone con cui ha lavorato non le hanno mai fatto pesare l’essere giovane e donna?
«Sicuramente c’è molta strada ancora da fare, perché per quanto la situazione sia tendenzialmente migliorata, la cultura e la mentalità delle persone non cambiano nel giro di qualche anno. Personalmente, però, non mi sono mai trovata in particolare difficoltà, anche se bisogna mettere sempre in conto di non poter piacere a tutti, a qualunque età e in qualsiasi settore».
La musica che unisce
Lei viaggia moltissimo ed è anche testimonial di Mundys, società italiana attiva nel settore delle infrastrutture e dei servizi per la mobilità e i trasporti: come (si) riesce a conciliare la gioia e la necessità di muoversi nel mondo con l’essere più sostenibili?
«Le tecnologie di cui si avvale Mundys hanno proprio lo scopo di riuscire a farci viaggiare in modo più sostenibile, cosa non facile soprattutto quando si parla di voli e aeroporti. Per una persona come me che si muove moltissimo questo, però, è particolarmente importante, anche perché la musica – così come i viaggi – hanno l’obiettivo di unire e connettere le persone».
Il rapporto degli italiani con la musica classica oggi com’è?
«Buono perché c’è un pubblico molto appassionato e specializzato, che in altri Paesi non sempre si trova. Però questo rappresenta anche un limite perché ai concerti sarebbe bello che ci andassero tutti, non solo chi si considera un esperto. La musica, anche quella classica, non è destinata solo a chi se ne intende».