Sui social circola un video che fa riflettere. Protagoniste alcune donne che passano il badge all’ingresso in azienda: per la prima compare la freccia verde sul lettore, si entra, per la seconda, pure, per la terza scatta la X rossa e una voce fuori campo spiega: «La violenza domestica crea un blocco invisibile che si manifesta in ogni ambito della vita di chi la subisce, anche sul lavoro. Valore D e le aziende aderenti si impegnano a trasformare i luoghi di lavoro in spazi sicuri pronti ad accogliere e sostenere chi vive relazioni violente». Si racconta così – e viaggia con l’hashtag #FacciamoRete – il progetto Dal silenzio all’azione che Valore D, associazione che riunisce oltre 380 imprese, e Una Nessuna Centomila, fondazione dedicata alla prevezione e al contrasto della violenza sulle donne, hanno lanciato per stimolare, attraverso nuove forme e canali, la lotta agli abusi, in particolare domestici.
La violenza domestica ha effetti anche al lavoro
«Le aziende possono attivarsi in modo concreto, non solo ideale, e fare la loro parte» spiega Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D. «Se pensiamo che il confine tra lavoro e vita privata è oggi reso più labile dalla presenza di modalità ibride e innovative, l’esigenza di introdurre processi e strumenti di supporto contro la violenza di genere diventa ancor più necessaria. La violenza domestica non rimane limitata alla sfera personale di chi la subisce, ma ha ricadute importanti sulle organizzazioni e sulla dimensione professionale di chi ne è vittima. Da sempre crediamo che una rete solida, unita e informata di imprese abbia una grande forza generativa e trasformativa, capace di costruire una cultura di libertà e rispetto reciproco». E Lella Palladino, vicepresidente di Una Nessuna Centomila, conferma: «Vogliamo contribuire a trasformare la sensibilità diffusa e l’indignazione in impegno concreto: crediamo che ogni azienda abbia il potere di fare la differenza, sostenendo chi si trova a vivere situazioni di violenza ed inviando le donne ai centri antiviolenza. Insieme, possiamo costruire una rete di consapevolezza e prevenzione».
Le donne che subiscono violenza spesso si riducono a fare un lavoro meno retribuito e part time
Che ci sia bisogno di agire lo urlano i dati: l’Istat rileva che nel 2022, in Italia, oltre 26.000 donne hanno affrontato il loro percorso di uscita dalla violenza con l’aiuto dei centri antiviolenza. Il fenomeno resta però prevalentemente sommerso, poiché solo una piccola percentuale denuncia e chiede aiuto. Secondo un recente sondaggio SWG effettuato per l’Osservatorio D di Valore D e intitolato La percezione degli italiani sul tema della violenza domestica: i dati, oltre 7 italiani su 10 identificano come violenza domestica quella fisica e gli abusi sessuali, ma il 34% non vi fa rientrare la costrizione a un rapporto sessuale. Due italiani su tre concordano sul fatto che la violenza domestica influisca sulla sfera professionale e il 62% degli intervistati sostiene che le aziende dovrebbero avere un ruolo più incisivo nel contrastarla. Le donne, in particolare, richiedono che i datori di lavoro offrano supporto legale e assistenza psicologica a chi la subisce. A invocare interventi e urgenti è la voce femminile, non solo perché le donne sono la stragrande maggioranza delle vittime di violenza domestica, ma perché questa ferisce profondamente – quando non spezza – anche la loro vita professionale: le porta a cambi di lavoro più frequenti, a doversi adeguare a impieghi occasionali o part-time, quindi meno retribuiti a danno della carriera e anche della futura pensione.
Il luogo di lavoro oggi ha confini più ampi che in passato
Ma perché l’azienda dovrebbe essere titolata a intervenire uscendo dal suo tradizionale perimetro d’azione? Lo si spiega bene nella policy Dal silenzio all’azione (scaricabile da www.valored.it/valore-D_UNC_dal-silenzio-allazione_2024/): «Le trasformazioni dei confini del concetto di “luogo di lavoro” e le contaminazioni che gli spazi familiari hanno subito con la diffusione del lavoro agile e da remoto hanno reso necessario che anche le aziende si focalizzino sulla violenza domestica. In quanto titolare del dovere di tutela della salute e della sicurezza dei propri dipendenti, l’azienda è legittimata e chiamata ad allargare alle “mura domestiche” il suo sguardo, proprio perché è in quei luoghi privati che le proprie dipendenti incorrono in maggiori rischi, maggiore isolamento, minore visibilità e quindi maggior bisogno di protezione».
Le aziende devono mostrare senso di responsabilità
Il documento è fonte preziosissima, perché fornisce un bagaglio lessicale, giuridico e psicologico che inquadra con chiarezza il problema, indica il processo per coinvolgere in modo attivo i differenti attori in azienda, dipendenti, manager, sindacati…, e riporta tante best practice operative che possono essere di sprone e ispirazione per altre organizzazioni. «Passare dal silenzio all’azione» conclude Barbara Falcomer «per le aziende significa proprio questo: fare rete contro la violenza di genere e concretizzare il senso di responsabilità nei confronti delle proprie risorse, un passo decisivo per supportare le vittime a riappropriarsi delle proprie vite».
Occorre informare sulla violenza anche al lavoro e creare una rete di supporto per le vittime
La policy Dal silenzio all’azione si articola in 4 fasi principali, definite con l’acronimo ISSA. Informare: diffondere la conoscenza del fenomeno e sensibilizzare sul tema della violenza di genere. Svelare: riconoscere e identificare segni e manifestazioni di violenza domestica per dare supporto a chi ne è vittima. Sostenere: fornire strumenti e risorse che aiutino le vittime ad affrontare il problema e a riprendersi lo spazio lavorativo e sociale. Amplificare: creare una rete di supporto interaziendale che coinvolga centri antiviolenza, istituzioni e associazioni.
Un nuovo vodcast fa parlare uomini e donne sulla violenza di genere
Il progetto #FacciamoRete di Valore D propone anche un vodcast con puntate disponibili sulle piattaforme YouTube, Spotify, Spreaker, Apple Podcasts, Amazon Music. Si intitola “Scomodiamoci” ed è stato realizzato con Caterina De’ Castiglioni per far sedere al tavolo uomini e donne, invitandoli a mettersi “scomodi” e ad affrontare il tema della violenza di genere indagandone le radici profonde e le differenti manifestazioni.
Le donne devono imparare a gestire i soldi
Un tipo di violenza di genere spesso sottovalutato è quello economico. «La nostra scelta è affrontare il tema sin da piccoli, perché la convinzione di una minore capacità femminile nella gestione degli aspetti economici e finanziari si forma molto presto» spiega Giovanna Boggio Robutti, Direttrice Generale della Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio, FEduF, realizzata da ABI. «Da adulte, poi, fattori come la mancanza di un reddito proprio e la disparità salariale all’interno della coppia hanno pesanti ripercussioni sulla vita delle donne e sulle loro relazioni, che spesso possono sfociare in abusi e violenza». L’Istat dice che sulle 14.455 donne vittime di violenza e stalking che l’anno scorso hanno chiamato il numero antiviolenza 1522 lavora meno della metà (il 49, 4%) il 3,1 impiegata in neroil 19,9 disoccupata, il resto inattiva. Ecco alcune occasioni utili per imparare a gestire il proprio denaro:
• La Guida contro la violenza economica – disponibile sul sito abi.it e realizzata da ABI e FEduF in raccordo con il Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri – risponde a domande cruciali come “Vengono fatte spese a mio nome senza che lo sappia?”, “Vengo limitata nella ricerca di autonomia economica?”.
• Il 25 novembre alle 11 è previsto il webinar L’emancipazione femminile passa anche attraverso la gestione consapevole del denaro promosso da ABI e FEduF (info su feduf.it nella sezione “eventi”).
• Dal 27 al 29 novembre a Milano, presso l’Allianz MiCo., si terrà il Salone dei pagamenti. È organizzato da ABI e dedicato alle frontiere dell’innovazione nei pagamenti (salonedeipagamenti.com/it).
• Il 28 novembre alle 18 al Museo del risparmio di Torino si svolgerà l’evento Niente sconti. Stop alla violenza economica (museodelrisparmio.it/home).