È una lunga storia d’amore quella per la pasta, l’alimento più rappresentativo della cucina italiana che ogni anno viene celebrato il 25 ottobre con il World Pasta Day. Amata nel nostro Paese e all’estero, non è solo ambasciatrice di italianità o elemento folkloristico, ma rappresenta un’importante voce dell’economia nazionale.
Professione pastaio: lavorare nel mondo della pasta può dare grandi soddisfazioni
Se infatti noi italiani ne siamo i maggiori consumatori al mondo con 23 chili procapite all’anno, l’export pesa per oltre il 60% della produzione nazionale con un valore, nel 2023, pari a 3,8 miliardi di euro. Il comparto conta oltre 27.000 addetti e 110 aziende produttrici. Lavorare nel mondo della pasta è dunque redditizio oltre che appassionante, anche grazie al crescente interesse dei consumatori verso la qualità di quanto mangiano. Mentre i social strabordano di ricette e consigli su come cucinare il piatto perfetto, chi vuole entrare in questo settore ha la possibilità di intraprendere un percorso che può dare grandi soddisfazioni. Lo conferma Danilo Curotto, da quasi 30 anni consulente e formatore di pastai e aziende, che producono sia quella fresca artigianale sia quella di tipo industriale. Noto anche come “MisterPasta”, Curotto sottolinea che quella dei pastai è una passione «di chi trova sempre interessante e stimolante creare qualcosa con le proprie mani».
Oggi i pastai uniscono tradizione e conoscenza della chimica e delle materie prime
La mente corre all’immagine di una donna che usa la spianatoia ed il matterello, ma oggi le cose sono cambiate. «Se prima bastavano il cuore e le ricette di famiglia, oggi ci vuole molto cervello per impiantare una produzione di pasta fresca artigianale» spiega Curotto. «Un pastaio deve conoscere la merceologia, la chimica, le materie prime, le motivazioni per cui si utilizza una farina anziché un’altra. Inoltre la tecnologia è entrata anche nella produzione e nella cottura». Specializzazione è ciò che richiedono il mercato e i consumatori, le cui esigenze sono mutate. «C’è chi vuole un prodotto senza glutine anche se non è affetto da celiachia e chi desidera seguire una dieta a basso indice glicemico, ci sono i grani antichi e tanti altri tipi di farine» commenta Curotto. «Poi è necessaria una conoscenza profonda della tradizione pastaia per poter fare innovazione, per recuperare antiche ricette, riscriverle e reinventarle».
Professione pastaio: si possono creare nuovi formati di pasta
È mettendo le mani in pasta e guardando al passato che si acquisiscono l’esperienza e la sensibilità che possono condurre a inventare qualcosa di assolutamente nuovo. Anche da autodidatti. È quello che ha fatto Flavia Valentini, per la quale la manualità è stata la chiave del formato di pasta da lei creato: gli Imbutini. Tutto è nato da un oggetto comprato in un mercatino, che nessuno sapeva a cosa servisse. Lei ha iniziato a sperimentare, abituata com’era a tirare la sfoglia all’uovo, da buona romagnola, «ma in questo caso, ho fatto un impasto di semola e ho creato dei tondi di pasta di circa 4 cm di diametro. L’istinto era di chiuderli come un tortellino ma poi, manipolando l’impasto, ho formato questa specie di cappello, che manteneva la forma, cuoceva in maniera uniforme e tratteneva il sugo». Dopo cosa è successo? «Ho chiesto a un’amica che lavorava all’ufficio brevetti, quasi per scherzo, di verificare se quella forma fosse già registrata e, siccome non lo era, l’ho depositata. Il macchinario che con tanta ricerca e tanti sforzi sono riuscita a mettere a punto, insieme a un’azienda meccanica, oggi viene utilizzato per piccole produzioni. E intanto l’Imbutino è diventato un prodotto tipico del territorio di Ozzano, il mio paese, ed è riconosciuto come prodotto d’eccellenza della città metropolitana di Bologna».
C’è chi oltre a vendere il prodotto promuove la cultura della pasta
Anche per Amelia Cuomo, discendente della famiglia di pastai più antica d’Italia, con 200 anni di storia, riprendere l’attività che era stata del nonno ha significato studiare tanto e ripartire da una tradizione che, però, ha innovato in quanto a marketing e strategia. «Io e mio fratello Alfonso abbiamo dovuto fare l’analisi della concorrenza e di come questa comunicava. Abbiamo fatto molto “training on the job”, aiutati, per quanto riguarda la produzione, da Mario, un vecchio pastaio che aveva già guidato un pastificio di Gragnano, la nostra città, in provincia di Napoli. Lui ci ha semplicemente fatto scoprire che la pasta ce l’avevamo nel sangue. Sperimentiamo tanto e la nostra strategia di crescita è nell’osservazione per il miglioramento continuo, sia nostro sia dei nostri collaboratori. Abbiamo però immaginato un percorso diverso da quello che poteva essere già tracciato. Combinando agroalimentare, cultura e turismo, ne abbiamo fatto un caposaldo di sostenibilità economica, passando dallo “story-telling” allo “story-doing”. Oggi non vendiamo solo la nostra pasta, ma facciamo ospitalità con il nostro ristorante e con strutture ricettive, promuoviamo la cultura con il museo e con le classi dove insegniamo cosa significhi essere italiani a persone che hanno voglia di mettere le mani in pasta. Attraverso il ristorante, inoltre, valorizziamo il nostro prodotto con ricette stagionali tipiche. La qualità non ha bisogno di grandi artifici».
World Pasta Day: alcuni pastai diventano anche chef privati e per eventi
«Passione, pratica, pazienza, manualità sono gli ingredienti per lavorare in questo settore» anche secondo Ylenia Parente, giovane pasta-maker di Sant’Antioco, in Sardegna, vincitrice del primo Campionato della pasta fatta a mano. Ylenia lavora sulla tradizione per «mettere piatti classici dentro la pasta. Per esempio, ho creato dei culurgiones ispirati a una ricetta tipica sarda, con l’impasto preparato con polvere di mirto e il ripieno di maialetto cotto a bassa temperatura su crema di pecorino». Ylenia ha così fatto di una passione che aveva sin da bambina un mestiere che la porta in giro per il mondo a fare corsi ai “pasta lovers”, oltre a essere una chef privata e per eventi. «Ho imparato a preparare le paste della tradizione, dai tortelli ai plin, ho rubato con gli occhi un po’ di qua e un po’ di là e fatto tanta pratica, acquisendo la capacità di trovare le giuste consistenze e i giusti abbinamenti. Oggi mi diverto a creare anche paste colorate».
Per fare il pastaio-imprenditore serve un’ottima preparazione
La formazione è essenziale per diventare pastai-imprenditori. «Chi vuole investire su se stesso per fare questo mestiere deve imparare a conoscere gli ingredienti, per scegliere quelli più adeguati in base all’utilizzo che intende farne, offrire il giusto rapporto qualità-prezzo e creare un prodotto che sia giusto per il proprio mercato» conclude Curotto. «Poi è fondamentale conoscere le norme che regolano il settore. Molti si basano sul sentito dire, ma non è l’approccio giusto se non si vuole rischiare di incorrere in problemi e brutte sorprese. E, come per ogni azienda che sia remunerativa, occorre fare bene il business plan, per capirne la fattibilità e la redditività».
In questi corsi si impara il mestiere
Primo Piatto, con sede a Carasco (Ge) offre sia corsi teorico-pratici per diventare pastai sia moduli specifici come quelli dedicati a marketing, pasta design, pasta fresca nella ristorazione (primo-piatto.it). Alma – La Scuola Internazionale di Cucina Italiana a Colorno (Pr) propone un corso di 5 settimane/190 ore di alta formazione per chi vuole trasformare la passione della pasta in una professione (alma.scuolacucina.it/corsi/corso-pasta-italiana/). CAST Alimenti a Brescia organizza un corso pratico di 2 settimane per acquisire abilità manuali e competenze tecnico-operative per la produzione di pasta fresca, sia per pastifici sia per laboratori artigianali, e per produrre e conservare pasta fresca per ristoranti e alberghi (castalimenti.it/corsi/pastaio/).