Il tempo stringe: entro fine dicembre la riforma delle pensioni deve diventare realtà, perché la legge Fornero è in scadenza. Dopo diverse ipotesi, come quota 103, adesso arriva Quota 41, l’ipotesi a cui sta lavorando il Governo e della quale si discute in questi giorni. Ecco in cosa consiste.
Cos’è Quota 41
Quota 41 è stata pensata per i lavoratori precoci. Permetterà loro di andare in pensione con 41 anni di contributi versati, senza alcun requisito di età anagrafica. «Quota 41 significa andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Ciò consentirebbe di andare in pensione con qualche mese di anticipo rispetto a quanto previsto attualmente», spiega l’avvocata Celeste Collovati, dello studio Dirittissimo.
Cosa cambia con Quota 41 rispetto al sistema attuale
«La riforma previdenziale di cui si parla negli ultimi giorni, cioè proprio l’introduzione di Quota 41, potrebbe portare a rilevanti cambiamenti e addirittura a determinate condizioni, superando il vecchio sistema previdenziale introdotto nel 2011 dalla Fornero – chiarisce l’esperta – Per esempio, con la pensione di vecchiaia oggi occorrono 67 anni di età e 20 anni di contributi; oppure con l’anticipata ne bastano 42 d’età e 10 mesi di contribuzione, se per le donne un anno in meno. Questa forma pensionistica, però, oggi è valida solo per alcune categorie di lavoratori. Si tratta di uomini e donne che hanno maturato dodici mesi di contributi prima del compimento dei diciannove anni di età e che sono attualmente disoccupati per licenziamento o dimissioni per giusta causa, caregiver, invalidi civili almeno al 74%, dipendenti che negli ultimi sette anni hanno svolto attività lavorative usuranti e gravose e, infine, lavoratori notturni con almeno sessantaquattro notti lavorate all’anno».
Occorre, quindi, mettere mano al sistema pensionistico.
Quota 41: più persone prima in pensione
L’obiettivo di quota 41 è estendere la platea dei potenziali fruitori di forme di uscite dal lavoro anticipate. «Sicuramente la pensione anticipata risulta un buon sistema per garantire la possibilità di uscire dal lavoro prima e dedicarsi ad altro, ma il vero problema sarebbe qualora estendessero a tutti la possibilità di accedervi. Per questo si lavora ad altre possibilità», conferma Collovati. Quota 41 potrebbe quindi sostituire l’attuale pensione anticipata, con il vantaggio di non prevedere più un requisito anagrafico per accedervi. Il rovescio della medaglia riguarda i costi della riforma, che diventerebbero particolarmente onerosi. «In effetti si determinerebbe un enorme problema per le casse dello Stato; se da un lato avremmo la possibilità di goderci il post lavoro anzitempo, dall’altro, lo Stato si troverebbe – si stima – a dover sborsare circa 12 miliardi di euro in più all’anno!», osserva l’esperta.
Il rischio di pensioni “minime” per i giovani
«Si tratta di un elemento da non sottovalutare dato il forte rischio di ridurre all’estremo gli assegni pensionistici per le future generazioni. E non solo. Lo Stato, se si trovasse in difficoltà, potrebbe pensare come soluzione inevitabile di continuare a reiterare nuovi blocchi della rivalutazione della pensione come successo negli ultimi anni. Ciò impoverirebbe pian piano gli assegni pensionistici, il tutto per fronteggiare l’enorme spesa», osserva Celeste Collovati.
Il “piano B”: per molti, ma non per tutti
Per questo non è escluso che si possa prevedere, come piano B, un accesso ai soli lavoratori precoci, “risparmiando” 12 miliardi di euro all’anno. «Vedremo cosa succederà, ma di certo è una riforma non esente da rischi anche per le penalizzazioni rispetto alle attuali regole per diverse categorie di lavoratori svantaggiati, che oggi possono contare su alcune agevolazioni – dice l’avvocato esperta in previdenza – Vi rientrano ad esempio donne madri, addetti a mansioni gravose, lavoratori con periodi di cassa integrazione”. Anche in questo caso, comunque, non mancano le “limitazioni”: chi sceglie di usufruire dell’uscita anticipata dal mondo del lavoro con le attuali regole, infatti, perde all’incirca il 12% dell’assegno. Nel caso di Opzione Donna, invece, il taglio arriva anche al 30% circa. Da qui la richiesta di modifica delle norme.