La domanda che assilla i lavoratori da quando, il 30 giugno, è finito il blocco dei licenziamenti introdotto allo scoppio della pandemia come misura di emergenza per salvaguardare i posti di lavoro: ora cosa dobbiamo aspettarci? Per rispondere occorre, però, farsene altre 4.
Il blocco ha davvero impedito i licenziamenti?
No, perché in poco più di un anno l’Italia ha comunque registrato 900.000 occupati in meno. Ad aver perso il proprio impiego sono stati soprattutto lavoratori con contratti a tempo determinato e stagionali, le categorie alle quali appartengono per la maggior parte donne e giovani. Non solo: nel nostro Paese mediamente ogni anno vengono licenziate 600.000 persone e, secondo le stime di Banca d’Italia, nel 2020 circa 400.000 tra queste avrebbero perso il lavoro a prescindere dalla crisi Covid.
Con lo sblocco quanti lavoratori sono a rischio?
La stima dell’Ufficio parlamentare di bilancio parla di 70.000 persone, una cifra da scaglionare nel tempo. È da seguire la situazione di chi è in cassa integrazione da mesi senza lavorare. Ma va ricordato che lo sblocco è graduale: non riguarda i settori del tessile, della moda e del calzaturiero, nei quali sarà vietato licenziare fino al 31 ottobre. E anche negli altri casi ci sono delle limitazioni: le aziende in grave difficoltà, per esempio, potranno usufruire di altre settimane di cassa integrazione straordinaria.
È il momento opportuno per sbloccare i licenziamenti?
Sì, il Pil è previsto in aumento del 4,7% alla fine del 2021. Con l’economia che riparte e la campagna di vaccinazione che prosegue, i contraccolpi dell’eliminazione del blocco potrebbero essere minori. Anche perché le aziende hanno la possibilità di riorganizzare l’organico e fare assunzioni.
Cosa serve per affrontare l’emergenza lavoro?
L’Italia è stata l’unica nella Ue a bloccare i licenziamenti. E qui viene un punto chiave: il nostro Paese tende più che altro ad ammortizzare la perdita di lavoro con misure come la cassa integrazione, ma non ha molti strumenti di incentivo o sostegno per chi lavora, dalla formazione ad uffici di collocamento efficienti. A questi scopi il Piano di resilienza prevede circa 4 miliardi di investimento. Un possibile intervento è quello che si chiama “in work benefit”: permettere a chi è in cassa integrazione di trovare un altro impiego. Cerchiamo di guardare con fiducia al futuro, ovviamente prendendoci cura di chi sarà in difficoltà nei prossimi mesi. Il miglior modo di mostrare rispetto a chi perde il lavoro è predisporre un insieme di misure che faciliti il reinserimento. Ma anche fare un’informazione basate su statistiche ufficiali. Saranno mesi complessi e vanno affrontati con responsabilità e onestà intellettuale.