Mettiamo qualche punto fermo sul reddito di cittadinanza. Ogni giorno escono nuovi dettagli e per ora la discussione tra le forze politiche si concentra tutta su quanto spendere (pare 10 miliardi) e dove prendere i soldi per pagarlo a 6,5 milioni di persone, e così si rischia di avere un po’ di confusione in testa sui fondamentali. Facciamo chiarezza.
Che cos’è il reddito di cittadinanza voluto dal Governo Lega-Cinquestelle
“Reddito di cittadinanza” fa pensare immediatamente a un assegno staccato dallo Stato ai suoi cittadini, che ne sarebbero beneficiari in quanto tali. Cittadinanza uguale soldi. Anche se hai un lavoro e vivi dignitosamente. Anche se sei ricco. Mamma Italia ti consegna un gruzzolo solo perché sei figlio suo. Ecco, non è così.
«Una misura di questo tipo è stata sperimentata qualche anno fa in Finlandia, in modo parziale, su un numero limitato di persone. Non ha avuto un seguito», ci spiega Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani ed ex commissario alla spending review.
La proposta in discussione da noi è un’altra cosa: «Si tratta di un reddito minimo garantito: individuata una soglia – nel nostro caso la soglia di povertà relativa indicata dall’Istat, 780 euro al mese nella originaria proposta del M5S – si integra il reddito dell’individuo fino al suo raggiungimento».
La differenza tra i due modelli è marcata, e forse nessuno l’ha spiegata meglio della sociologa Chiara Saraceno in un intervento per lavoce.info: «Il reddito di cittadinanza, o di base, è inteso come un ammontare da dare a tutti senza condizioni e indipendentemente dalle condizioni individuali e famigliari. Non è concepito come uno strumento di contrasto alla povertà e neppure in alternativa al lavoro, ma come strumento di libertà per negoziare le condizioni a cui lavorare». Il reddito di cittadinanza proposto oggi in Italia, invece, è «un reddito a sostegno di chi si trova in povertà, condizionato alla disponibilità di darsi da fare per trovare un lavoro».
I requisiti di base – chi può ottenerlo?
Per dirla ancor più “pane al pane”, con un esempio:
– Sei cittadino italiano o residente da almeno 10 anni, maggiorenne, disoccupato o con reddito sotto la soglia di povertà
– Ti sei iscritto al centro per l’impiego e svolgi progetti di utilità sociale organizzati dal Comune di residenza (per massimo 8 ore settimanali).
Allora:
– Hai reddito nullo? Lo Stato ti dà 780 euro
– Hai reddito di 500 euro al mese? Ti vengono erogate 280 euro
– La famiglia ha più di un componente? Viene preso in considerazione il reddito percepito da tutti e diviso per il numero dei componenti il nucleo familiare; se la cifra ottenuta non raggiunge la soglia, interviene l’integrazione dello Stato.
Ma soprattutto:
– Da beneficiario puoi al massimo rifiutare due offerte di lavoro, ma devi accettare la terza. Altrimenti, niente più assegno.
Carta acquisti e beni “necessari” – come funziona tecnicamente?
C’è un però: parlare di erogazione diretta di denaro da parte dello Stato è impreciso. Dimentichiamo il profumo delle banconote fresche di stampa o il più prosaico bonifico dell’Inps: l’erogazione avverrà con una carta acquisti che i beneficiari potranno usare per beni di prima necessità come alimenti e medicine, anche se si inizia già a discutere su quali siano i beni in questione. I dettagli tecnici sono allo studio, ma si potrebbe sfruttare, semplicemente, il bancomat: tu paghi, il sistema riconosce la tessera e quindi il tuo status di beneficiario; il negoziante ottiene dallo Stato quanto dovuto, senza attingere al tuo conto.
Il sistema attuale – cos’è il reddito di inclusione?
Attenzione: in Italia esiste già una forma di reddito minimo garantito. Si chiama “reddito di inclusione”, varato dal governo Gentiloni e partito il 1° gennaio di quest’anno. Il singolo richiedente può ricevere fino a 190 euro (fino a un massimo di 490 euro per nucleo familiare con 5 o più persone). Di simile c’è il metodo di erogazione – una carta elettronica che contiene l’importo – e il programma obbligatorio di reinserimento al lavoro. Per richiederlo bisogna avere un Isee sotto quota 6.000 euro. La domanda si presenta presso il proprio comune di residenza. Cosa cambia rispetto alla misura proposta dai 5 Stelle? «Fondamentalmente, la durata e la cifra: il reddito di inclusione dura al massimo 18 mesi e parliamo di una integrazione al reddito sensibilmente più bassa», spiega Cottarelli, «e questo è rilevante, soprattutto se compariamo il reddito di cittadinanza proposto con quelli esistenti negli altri Paesi europei».
Il confronto – come fanno all’estero?
Appunto: cosa fanno oltre confine? Qualcosa di simile, certamente. Però non esiste un trattamento così generoso in Europa. L’Osservatorio diretto da Cottarelli ha fatto i conti elaborando dati del Parlamento europeo, di Eurostat e del database macroeconomico AMECO. Ne risulta che l’Italia, con questa misura, sarebbe l’unico dei 27 stati membri dell’Ue in cui il reddito minimo garantito pareggia la soglia di povertà relativa. Semplificando: nessuno eroga fino a quota 780 euro. La Francia arriva a 580, la Germania a 400, il Regno Unito poco meno.
Quanto alle condizioni e agli obblighi di chi lo dovrebbe percepire, questo è il quadro riassunto in una nota dell’Osservatorio: «In 10 paesi UE è obbligatorio accettare qualsiasi offerta di lavoro pena la perdita del beneficio, in 11 qualsiasi offerta appropriata, e in Francia si può rifiutare soltanto una offerta. Altri impongono l’obbligo di svolgere lavori socialmente utili nell’attesa di trovare un’occupazione (ad esempio Lussemburgo e Romania)».
Cosa convince e cosa non va
Se in tutti i Paesi europei è stato introdotto un reddito minimo garantito, un motivo c’è. Parlamento Europeo e Commissione Europea hanno approvato un documento – si intitola “Pilastro europeo dei diritti sociali” – che lo indica come una priorità. «Chiunque non disponga di risorse sufficienti», recita, «ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro». Dunque portarlo in Italia non è idea che nasca da un colpo di testa.
I dubbi principali riguardano la già spiegata generosità eccessiva della misura, la capacità dei nostri centri per l’impiego nel gestire il sistema delle offerte di lavoro e dei controlli (i centri andrebbero potenziati e c’è un problema di coordinamento e armonizzazione perché le politiche attive per il lavoro sono competenza delle Regioni, non dello Stato). Poi «il rischio che una persona rimanga inattiva cresce al crescere del reddito ricevuto in assenza di lavoro», spiega ancora Carlo Cottarelli, ipotizzando un effetto contrario e “perverso” dell’erogazione statale sulla motivazione dei beneficiari a trovarsi un’occupazione. Infine, se il reddito di cittadinanza dovesse essere uguale su tutto il territorio nazionale, si creerebbe uno squilibrio, visto che al Sud il costo della vita è più basso che nel resto del Paese.