Il tempo del reso facile e soprattutto gratuito pare finito. Aumentano le aziende che hanno deciso di limitare la possibilità di restituire quanto acquistato online, senza costi aggiuntivi come quelli di spedizione. La svolta è iniziata all’estero, ma si sta diffondendo anche in Italia.

Un freno al reso gratuito

Secondo un’indagine condotta da Yocabè, azienda che aiuta i brand ad aumentare le vendite online, in Italia il 16% dei capi di abbigliamento comprati online viene restituito. Un dato ancora inferiore rispetto ad altre realtà come quella della Svizzera, con resi oltre il 45%, della Germania (44%) e della Francia (24%). Proprio il settore fashion è quello maggiormente interessato dal “ripensamento” (38,37% a livello internazionale), insieme agli acquisti di scarpe (29,58%) e accessori (24,66%). Sobbarcarsi gli oneri del ritiro della merce non voluta dal cliente, però, sta pesando sulle aziende, che hanno iniziato a introdurre delle “penalità”.

Il reso non è più sempre gratuito

Uno dei casi più noti di cambio di policy è quello di Zara, che ha deciso di dare un tempo massimo di 30 giorni al cliente per restituire ciò che non lo soddisfa, introducendo un costo fisso di 4,95 euro per il ritiro a domicilio, detratti dal rimborso, mentre il cliente potrà optare per non pagare nulla se si occuperà della riconsegna presso un punto del depositare il pacco. Per i clienti H&M, invece, il reso resta gratuito, ma solo se si aderisce al programma fedeltà, altrimenti costerà 2,99 euro, a meno che il capo non sia stato ricevuto già danneggiato. Tra i big dell’e-commerce, poi, Yoox rimane quello più “tollerante”: permette di cambiare idea sull’acquisto entro 100 giorni dalla consegna della merce, con la possibilità di cambio di colore o taglia.

Amazon, la più “tollerante”

Per ora Amazon rimane quella che offre maggiori opportunità di ripensamento, con il reso gratuito a prescindere dal motivo, purché entro 30 giorni. Il prezzo pagato viene rimborsato totalmente al netto delle spese di spedizione (che non ci sono in caso di Prime). In realtà se la restituzione viene decisa entro 14 giorni dalla consegna della merce si può ottenere anche il rimborso delle spese di spedizione, calcolate nella modalità minima prevista da Amazon, che solitamente è quella che prevede riconsegna/ritiro in un punto vendita. Ma quali sono i diritti degli acquirenti?

La restituzione dei prodotti acquistati online

Intanto va ricordato che l’e-commerce cresce anche in Italia a ritmi di due cifre: secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano il settore ha un mercato che vale 39,4 mld e già nel 2021 era cresciuto del 21% rispetto all’anno precedente. Secondo le associazioni dei consumatori, inoltre, i problemi legati alla restituzione dei prodotti sono la principale causa di segnalazione per disservizi, accanto ai ritardi nelle spedizioni. E la ragione sta soprattutto nella poca conoscenza di regole e diritti dei consumatori.

Acquisti online: cos’è il diritto di ripensamento

«Il codice del consumo stabilisce che ogni consumatore abbia il diritto di recesso, cioè possa restituire un prodotto acquistato entro 14 giorni, senza dare spiegazioni al venditore, e ottenendo la restituzione integrale di quanto pagato» spiega Andrea Spedale, presidente dell’Associazione italiana commercio elettronico (Aicel). «Questa possibilità, che vale solo per lo shopping online, è stata studiata proprio per venire incontro ai consumatori che scelgono l’e-commerce, che sono in una posizione sbilanciata rispetto a chi compra in negozio. Non avendo la possibilità di vedere, toccare e provare la merce prima dell’acquisto, viene data loro l’opportunità di rispedirla al mittente, anche se solo arriva loro qualcosa di diverso da ciò che si aspettano».

C’è chi abusa del ripensamento: gli affezionati del reso

Col tempo, però, il fenomeno del reso ha cambiato faccia, continua Spedale. «Complice la politica di marketing di molti marketplace, che danno per esempio la possibilità di ordinare più capi di abbigliamento, per poi rimandare gratuitamente indietro quelli che non interessano, per alcuni è diventata quasi una consuetudine “comprare” anche roba che non si è convinti di tenere».

Aicel ha stilato addirittura una casistica degli “affezionati del reso”: vi rientrano gli indecisi, i compulsivi, persino gli aspiranti influencer, che ordinano, fotografano e restituiscono. Al di là delle motivazioni e della frequenza dei ripensamenti, bisogna però conoscere bene le norme che regolano questo diritto, proprio per non avere problemi al momento della restituzione.

Costi di spedizione (e di restituzione): a chi spettano

Partiamo dai costi. Intanto, va detto che la resa di un prodotto non sempre è completamente a costo zero. Il codice del consumo, che recepisce la normativa europea in fatto di acquisti online, stabilisce che, in caso di ripensamento, quanto speso per il prodotto e per la spedizione debbano essere restituiti integralmente al consumatore, senza penali. Nel conto bisogna però inserire le spese di restituzione, vale a dire il costo per rispedire la merce al mittente: la legge lascia infatti libero il venditore di decidere se addebitarlo o meno al cliente. Ma c’è un ma: «Chi adotta questa politica deve precisarlo nelle condizioni di vendita, a chiare lettere», chiarisce Spedale.

Occhio alle condizioni di vendita

Non solo. Il venditore può stabilire altre condizioni, per esempio che alcuni tipi di capi non vengano misurati, o che l’imballo non venga buttato. «L’importante – spiega l’esperto – è che le condizioni di vendita siano bene in evidenza, e che il consumatore possa leggerle prima dell’acquisto». Non è necessario andare a cercare l’informativa tra le pagine del sito. «Per legge l’informativa deve essere ben visibile, in modo che venga letta prima del check out. La maggior parte dei venditori posiziona il link proprio prima del clic finale, abbinandola di solito a una casella da spuntare con la dicitura: “ho letto le condizioni di vendita”. Il consiglio, da mettere in pratica sempre, è di leggerla attentamente».

Se le condizioni di vendita non vengono pubblicate o non sono bene in vista, clausole e limitazioni non valgono. «Ma il consiglio, in questi casi, è di non fidarsi di chi non è trasparente, meglio rinunciare all’acquisto».

Il chargeback, così si blocca il pagamento

E se la fregatura arriva? Se la pratica di reso non viene avviata, oppure il rimborso tarda? «Per tutelarsi, meglio pagare con carta di credito, anche prepagata, o con Paypal. In questi casi è infatti possibile contestare il pagamento, attraverso il cosiddetto chargeback».

Per attivare il chargeback non bisogna far altro che rivolgersi al circuito della carta di credito, o alla propria banca (oppure a Paypal, se si è usato quel mezzo di pagamento), chiedendo che la transazione venga bloccata. Si dovrà poi compilare un modulo, e attendere che il denaro venga riaccreditato. L’onere di di dimostrare che tutto è stato fatto con regolarità spetterà al venditore.

Acquisti online: la piattaforma per la conciliazione

Ci sono poi altre vie istituzionali per rimediare a un disservizio legato agli acquisti online. Uno di questi è rivolgersi alla piattaforma Odr (il sito è ec.europa.eu/consumers/odr), uno strumento gratuito per i problemi legati agli acquisti online. Attraverso il sito si può contattare direttamente il venditore, per risolvere direttamente il problema, oppure affidarsi a un organismo di risoluzione delle controversie che lo risolve. Ogni sito di e-commerce deve pubblicare per legge le indicazioni che serviranno ai clienti per richiedere la risoluzione della controversia.