Per un’azienda che ci crede ancora, vedi il colosso Unicredit che ha inaugurato il quinto spazio bebè per i figli dei dipendenti lo scorso settembre, un’altra multinazionale decide di abbandonare il progetto: tra poche settimane Microsoft Italia dirà addio alla storica sede milanese e nella nuova location non troverà posto il nido. Questa ambivalenza è la spia della crisi di un benefit che sembrava dover cambiare la vita delle mamme lavoratrici. Invece, non solo gli asili aziendali non sono mai decollati veramente, ma in tempi di smartworking e di lavoro flessibile, ci si chiede: servono ancora?
I punti deboli
Le criticità dei nidi aziendali non sono poche: dai costi per i genitori (che possono arrivare anche a 500 euro al mese) alla rigidità degli orari (non sempre permettono di fermarsi di più per una riunione) alla distanza dall’abitazione (che a volte rende impossibile la collaborazione di nonni o baby sitter). Ma la vera problematica è dovuta a un fattore indipendente dall’efficenza, spesso ottima, del servizio. «Negli ultimi 10 anni società e lavoro hanno subito un terremoto» nota Filippo Di Nardo, autore di L’evoluzione del welfare aziendale in Italia (Guerini Next). «Guadagniamo meno, facciamo pochi figli, invecchiamo e la scrivania fissa lascia il posto alla flessibilità. Invece gli asili aziendali hanno regole rigide, con costi elevati per imprese e famiglie». È dunque un problema economico e sociale a segnare la parabola di un benefit che appariva come la panacea dei problemi delle mamme lavoratrici? «I nidi vanno sempre, tanto che le richieste superano ogni anno l’offerta» dice Federica Ortalli, presidente del Comitato imprenditoria femminile della Camera di commercio milanese. «Però a volte non bastano: pensiamo a una donna che si prende cura anche dei genitori anziani, e ai nuclei fatti di famiglie allargate, così come ai lavoratori sempre più pendolari e multitasking». Il vero plus, dunque, è offrire alle dipendenti una maggiore libertà per organizzare al meglio la conciliazione casa-lavoro. «Se oggi si chiede a una mamma se preferisce il nido in azienda o la flessibilità di spazio e di tempo dello smartworking, probabilmente sceglierà la seconda» spiega Francesca Devescovi, responsabile Formazione, sviluppo & welfare di Valore D, associazione che riunisce 150 imprese di casa nostra. «Imprenditori e amministratori si stanno adeguando ai nuovi tempi, fanno rete o stipulano convenzioni con asili privati esistenti».
L’alternativa sono i nidi condivisi
I nidi all’interno degli uffici italiani sono 212 (sui 4.245 pubblici) e accolgono quasi 7.000 bambini. Lo dice il primo, e unico, rapporto dell’Istat del 2016. A vantare questo fiore all’occhiello sono soprattutto i grandi gruppi come Fiat, Geox, Nestlé, ma non mancano università e aziende del settore pubblico come Inail e Inps. «Gli spazi baby sono quasi sempre gestiti da società esterne» spiega Daniela Alfieri, amministratore di Baby & Job, che ha “firmato” gli asili di Telecom, Poste Italiane, Enel e tanti altri. «Il servizio, più che essere in crisi, si sta evolvendo. Nel decennio 2000-2010 c’è stato un boom spinto dai finanziamenti pubblici, che però ora sono finiti. Così cambia l’approccio. Per esempio, si costruiscono asili nei centri direzionali dove ci sono più ditte che li condividono e collaborano ai costi, che partono dai 350.000 euro e possono arrivano anche a 1 milione. Oppure si allargano le iscrizioni ai bimbi del quartiere. Molte aziende ci chiedono anche altri progetti, come la scuola materna o il centro ludico estivo, e in futuro punteremo su nursery con frequenze personalizzate e orari di chiusura flessibili».
I nuovi sostegni aziendali alla famiglia
Le aziende stanno quindi studiando altri aiuti per migliorare la qualità di vita dei dipendenti: sostegni che vanno oltre l’idea della nursery accanto all’ufficio. «I benefit più apprezzati sono i voucher per pagare l’asilo, la scuola, i libri di testo o i bonus per baby sitter e badanti. La nuova Finanziaria prevede sgravi fiscali per le società che offrono queste opportunità» dice Filippo Di Nardo, esperto di economia. «Una ricerca Doxa sottolinea che oltre il 60% dei lavoratori è soddisfatto di questo tipo di welfare, anche perché copre una carenza: laddove lo Stato non riesce a sostenerti, ci pensa il datore di lavoro». La sfida futura sarà aiutare le famiglie a bilanciare in modo autonomo e personalizzato la vita privata e professionale. «Più si sale nella gerchia aziendale, più la carriera delle donne si ferma. Bisogna investire in strumenti che facilitino la conciliazione e i protagonisti di questo percorso sono anche gli uomini» nota Francesca Devescovi di Valore D. «Quindi, via libera allo smartworking per chi ne fa richiesta, maschi compresi. E più coinvolgimento dei papà. Sopravvivono molti stereotipi sui padri che vogliono usufruire del congedo parentale. Ben venga allora la scelta di gruppi come Nestlè, che promuove 2 settimane di congedo per i dipendenti con stipendio al 100% e non all’80% come proposto ultimamente da alcuni politici».