La Cassazione ha dato ragione a Silvio Berlusconi nella causa contro l’ex moglie Veronica Lario. Miriam Bartolini, così si chiama all’anagrafe, dovrà restituire al leader di Forza Italia tutti i soldi ricevuti a titolo di assegno di divorzio, 46 milioni più gli interessi. Il patrimonio che lei ha accumulato, grazie a lui, le ha consentito “di affrontare in condizione di assoluta agiatezza la fase successiva allo scioglimento del vincolo”. L’aver abbandonato la carriera di attrice e l’aver cresciuto tre figli sono passati in secondo piano. Un caso unico, per i nomi e le cifre in ballo, per la visibilità internazionale dei protagonisti, per l’eco su media e social.
Ma il problema di fondo riguarda molte coppie scoppiate, se non tutte. Quali diritti hanno le donne – e gli uomini, in nettissima minoranza – quando una storia d’amore arriva al capolinea ? Che pesi e contrappesi vanno messi sul piatto, se uno o entrambi i partner si trovano in condizioni economiche pessime, non dignitose? Il mantenimento del “tenore di vita”, quello che i coniugi avevano durante il matrimonio, deve o no essere garantito? La suprema corte, esaminando altri casi singoli, ha risposto e deciso in modi diversi, non univoci.
L’assegno a tempo nel nuovo disegno di legge
Un disegno di legge, firmato dalla deputata dem Alessia Morani, cerca di colmare le lacune della vecchia legge sul divorzio e di superare le sentenze di segno opposto. Traccia i binari che dovrebbero instradare e uniformare le decisioni dei tribunali civili. E introduce una novità, almeno per l’Italia: la previsione di assegni divorzili a tempo, predeterminati.
Le condizioni che determinano l’assegno
La novità assoluta è l’assegno a tempo. “Il tribunale può predeterminare la durata dell’assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili”. Quali sono questi fattori, cioè i paletti che determinano l’assegno?
– la durata del matrimonio;
– le condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio;
– l’età e lo stato di salute del partner che richiede l’assegno;
– il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio individuale e di quello comune;
– il patrimonio e il reddito netto di entrambi;
– la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche a causa della mancanza di un’adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell’adempimento dei doveri coniugali nel corso della vita matrimoniale;
– l’impegno di cura dei figli minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti.
Come funziona l’assegno a tempo
La previsione del contributo economico a tempo, intanto, continua a lasciare spazio a dubbi e domande. Si può parlare di “assegno a orologeria” con un retrogusto negativo? Oppure il countdown potrebbe essere uno sprone a darsi da fare? E se al termine del periodo prefissato il partner debole risulterà ancora in difficoltà? Scatteranno proroghe? “Questo strumento è previsto in altri ordinamenti europei – risponde l’onorevole Morani che l’ha proposto – e funziona. Ci siamo ispirati a meccanismi collaudati, positivi. Predeterminare la durata dell’assegno non significa fissare la data precisa della scadenza, con ora, giorno, mese e anno. Significa legare una scadenza a parametri oggettivi, situazione per situazione, oppure ad eventi particolari e certi. Provo a spiegarmi. Se una donna divorziata comincerà a percepire la pensione nel 2023, un dato indiscutibile, il contributo a tempo sarà ammesso fino ad allora. Una persona disoccupata, altro esempio, andrà sostenuta finché non troverà un lavoro e con uno stipendio dignitoso. Poi, certo, potrebbe anche succedere il contrario. Una donna perde l’impiego post divorzio e non ha più l’assegno, perché è scaduto nel frattempo. La legge attuale già prevede che si possa intervenire, ponendo rimedio, quando sopravvengano giustificati motivi: i giudici, su istanza di parte, hanno la facoltà di modificare le condizioni stabilite inizialmente, comprese quelle relative agli aspetti economici”.
Quando cessa l’assegno
L’assegno cessa di essere pagato quando chi lo aveva richiesto si risposa, si lega ad una persona con un’unione civile o ha una nuova relazione fondata sulla convivenza stabile, anche non registrata. Il contributo si azzera. Non solo. L’obbligo di versare l’assegno non riscatta da capo – viene precisato nel disegno di legge – se il rapporto post divorzio si rompe o finisce la coabitazione con un altro partner.
Lo scopo è evitare arricchimenti e impoverimenti
“L’iniziativa legislativa – tiene a dire la deputata – è nata da una duplice necessità: evitare da una parte che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito arricchimento e dall’altra che provochi il degrado esistenziale del coniuge economicamente debole, il partner che per dedicarsi alla cura della famiglia ha rinunciato a conseguire una buona formazione professionale o a svolgere una proficua attività di lavoro o di impresa. Al coniuge svantaggiato va dato un aiuto economico destinato a compensare la disparità o lo squilibrio economico provocato dallo scioglimento delle nozze, per quanto possibile. Allo stesso tempo si deve evitare di arrivare a risultati iniqui o di favorire il coniuge a cui è data la colpa esclusiva del divorzio. Giusto richiamare la recente sentenza della Cassazione – continua Morani – per affrontare e approfondire questi temi. Però per mettere a punto il ddl – chiarisce – non siamo partiti da vicende eclatanti e uniche, come quella di Berlusconi e di Veronica Lario. Abbiamo pensato alle migliaia di coppie in condizioni finanziare precarie, dove l’assegno di divorzio può fare la differenza, sia per chi lo incassa, sia per chi lo versa. Sappiamo tutti di padri separati che non sono in grado di pagare il contributo e di permettersi di affittare due case, una per la ex e i figli e una per sé. Rischiano di finire per strada. Ma non dobbiamo scordarci delle mamme in difficoltà e della loro fatica quotidiana per tirare avanti”.
A che punto è l’iter legislativo
Il ddl, presentato il 12 aprile 2018, è stato approvato dalla Camera il 14 maggio 2019. Poi è stato trasmesso al Senato e assegnato alla commissione Giustizia, dove sono arrivati i pareri delle altre commissioni cointeressate. “A Montecitorio – ricorda la deputata Alessia Morani – il provvedimento è passato all’unanimità. Dovrebbe esserci il consenso di tutti anche a Palazzo Madama. Per completare l’iter – continua – basterebbero due o tre settimane, salvo sgambetti o boicottaggi. Ma non posso fare previsioni precise. Siamo appeso agli sviluppi della crisi”. Se il Parlamento verrà sciolto prima dell’approvazione – in anticipo o meno sulla scadenza naturale – il provvedimento morirà con la legislatura. Nella successiva, nell’eventualità di un ripescaggio dello stesso testo, potrebbe avere un percorso più semplice e veloce (così come è successo in questa tornata per il progetto di legge sulle videocamere in scuole e ospizi, ammesso alla procedura d’urgenza).