C’è chi se ne era accorto da solo dopo aver fatto la spesa, chi lo ha notato tornando a prendere il caffè al bar e chi ha trovato una nuova voce sullo scontrino: un sovrapprezzo dell’1/2%, che però in alcuni casi arriva anche al 4. Colpa del COVID, o meglio di uno degli effetti del post pandemia: i prezzi di molti generi alimentari sono cresciuti e gli esperti confermano: «Per paradosso, ad aumentare di più sono stati beni non essenziali come gli e-book. Colpa della speculazione» spiegano dall’Unione nazionale consumatori.
La classifica degli aumenti
A stilare la classifica dei prodotti il cui prezzo è lievitato a causa dell’emergenza sanitaria ci ha pensato l’Unione nazionale consumatori. Da febbraio, ultimo mese prima del lockdown, a maggio, quando le attività hanno ricominciato a riaprire, il download degli e-book ha segnato un rialzo del 30,4%. «Un aumento a dir poco vergognoso, che ha sfruttato l’esigenza di trascorrere il tempo con una buona lettura mentre si era chiusi in casa» commenta Mauro Antonelli, direttore del Centro studi dell’associazione che tutela i consumatori.
Al secondo posto si trova la frutta fresca (+12,8%), seguita dagli apparecchi informatici come computer fissi e portatili, tablet o notebook, diventati indispensabili per molti per poter lavorare da casa e cresciuti del 12%. «In pratica, si è approfittato dello smart working e dell’obbligo degli studenti di seguire le lezioni a distanza, per fare rialzi a danno di lavoratori e famiglie. Analoga sorte per monitor e stampanti, che si collocano al quarto posto di questa classifica, salendo dell’11,3%. Sfruttamento simile per la quinta voce, Apparecchi per la telefonia fissa, +7,7%» spiega Antonelli.
Così, mentre l’indice generale dei prezzi è aumentato solo dello 0,1%, alcune categorie hanno segnato veri e propri record. A chiudere la top ten si trovano anche vegetali surgelati (+4,8%), patate (+4,4%), articoli di cancelleria come evidenziatori, matite, penne e cartucce a getto d’inchiostro e toner (+4,4%), cacao e cioccolato in polvere (+4,3%), pasta e couscous (+4,2%) insieme ad apparecchi per cottura cibi, come forni, forni a microonde, piani cottura (+4,2%). A chiudere la lista si trova la farina (+3,8%). «A incidere sulle ultime due voci evidentemente è stato il desiderio, registrato nella prima fase di quarantena, di tornare a cucinare pane, pizza e dolci in casa» commenta Antonelli.
Perché sono aumentati i prezzi?
«Noi riteniamo che si tratti di pura e semplice speculazione unita a una maggiore richiesta di certi prodotti da parte dei consumatori, come dimostra l’esigenza di ricorrere allo smart working e la necessità di limitare le spese, diluendo le uscite il più possibile. Per questo anche i prodotti alimentari meno deperibili, come surgelati e patate, hanno registrato incrementi. Era già accaduto che in alcuni momenti certi alimenti, come i vegetali surgelati, aumentassero di prezzo, ma non così tanto e non così a lungo» spiega l’esperto di consumi.
La “covid tax” al bar e ristorante
«Diverso è invece il discorso per ristoranti e bar, con gli esercenti alle prese con una serie di difficoltà: da un lato l’esigenza di recuperare il periodo di mancato guadagno per la chiusura dei negozi, dall’altro i maggiori costi di adeguamento alle nuove norme, come il fatto di doversi dotare di pannelli in plexiglass, mascherine, guanti e visiere, o ricorrere a maggiori sanificazioni o ancora a dover fare i conti con i distanziamenti, che portano ad avere meno posti di coperto ai tavoli, per esempio. Lo stesso vale per parrucchieri e negozi simili» dice Antonelli.
Se a pagare sono sempre i consumatori
«Purtroppo i costi aggiuntivi ricadono sui consumatori, che sono poi gli stessi commercianti: non esiste uno scontro tra le due categorie perché anche i parrucchieri, per esempio, sono a loro volta clienti dei bar e viceversa. In questo caso non si tratta di speculazione, ma di una necessità nata dall’incertezza e dal timore di non rientrare dalle perdite subite nei mesi scorsi» dice l’esperto. «Anche nel settore turismo registriamo rincari e ne prevediamo in vista della stagione estiva. Per questo avevamo chiesto che, al posto di un bonus vacanze che di fatto pesa su albergatori ed esercenti (che anticipano l’80% del voucher in attesa del credito d’imposta) fosse lo Stato a risarcire gli operatori di hotel, le agenzie turistiche o i comuni per le tasse di soggiorno, in modo da ridare liquidità al settore e incentivarlo» dice l’esperto dell’Unione nazionale consumatori, che aggiunge: «Quello che si rischia ora, invece, è un circolo vizioso, per cui se i prezzi aumentano anche le famiglie tenderanno a spendere meno, a loro volta alle prese magari con difficoltà lavorative ed economiche».
Cosa dobbiamo aspettarci
«Alcune voci torneranno a scendere, com’è naturale che sia. Per esempio, il costo di latte a lunga conservazione o pane in cassetta, perché ora si può fare la spesa con una frequenza maggiore e si possono comprare prodotti freschi. Scenderanno anche quelli aumentati per speculazione, come i prodotti tecnologici e informatici, mentre resta un’incognita il settore ristorazione. Noi auspichiamo che dopo un’impennata iniziale ci sia una stabilizzazione, una volta fatto l’investimento iniziale per l’adeguamento ai protocolli sanitari e, possibilmente, con la scomparsa del virus. D’altra parte andare al ristorante non è indispensabile e tenere i prezzi alti potrebbe essere controproducente per l’esercente» dice Antonelli.