I rincari della benzina sono da record. Ce ne siamo accorti tutti, dopo che il prezzo ha sfondato la quota simbolica (e altissima) dei 2 euro al litro per la benzina, ma non va meglio per il gasolio. Colpa della guerra in Ucraina e delle tensioni con la Russia, ma non solo. Gli effetti si sentono, ma secondo le previsioni gli aumenti sono destinati a proseguire. Di certo c’è chi ha provato a fare i conti e, secondo le stime, i rincari già oggi costano circa 346 euro a famiglia in più all’anno.

Rincari record: quanto ci costa un pieno

Si calcola che per spostarsi anche solo due volte al giorno (come per andare e tornare dal lavoro) per una media di circa 20 km al giorno, tutti i giorni, 6 giorni su 7, la spesa per la benzina costa circa 60 euro a settimana. Considerando che il carburante ha subito un rincaro di circa il 13% in una settimana, significa 7,80 euro in più alla settimana, che in un anno vogliono dire 405,6 euro circa.

Considerando che la corsa al rialzo non dovrebbe fermarsi a breve, un automobilista italiano potrebbe arrivare a spendere oltre 1.750 euro all’anno per un’auto a benzina e più di 1.560 per una a gasolio, pari al 20% in più rispetto al 2021. La conseguenza è che in molti hanno già ridotto il ricorso alle quattro ruote, ove possibile. Secondo un’indagine commissionata da Facile.it all’istituto mUp Research, il 72% ha già iniziato a ridurre gli spostamenti in auto dall’inizio della guerra in Ucraina, prevedendo conseguenze anche per il proprio bilancio.

Le cause dei rialzi: dal Brent alla guerra

Ma il problema che sta emergendo in questi giorni in realtà risale a qualche mese fa, all’autunno scorso. I prezzi del greggio, cioè la materia prima, erano già aumentati, anche se l’incremento più alto è scattato a inizio marzo e la corsa potrebbe proseguire con l’embargo al gas russo, annunciato dagli Usa e a cui si è unito il Regno Unito. «Uno dei principali aspetti che influisce sul costo di benzina e diesel è il prezzo del Brent, cioè il petrolio estratto nel Mare del Nord che ha raggiunto i 127 dollari al barile e che viene utilizzato come riferimento per la quotazione del petrolio a livello globale. Ma non è l’unico fattore determinante» precisa Marco Donzelli, presidente del Codacons. «Negli ultimi mesi i carburanti sono diventati più costosi anche a causa della decisione dell’Opec, l’alleanza che racchiude i 23 Paesi produttori di petrolio (Russia compresa), di mantenere la produzione di greggio ferma a 400mila barili al mese e quindi di non aumentarla» aggiunge Donzelli. Quanto all’invasione russa in Ucraina, gli effetti sono sia diretti, sia soprattutto indiretti: «Anche se la Russia rappresenta uno dei produttori mondiali di petrolio, esistono molte più alternative sul mercato per chi vuole approvvigionarsi di petrolio, rispetto a quanto accade invece con il gas. La stessa Italia importa dalla Russia circa il 10% del greggio totale che utilizza, una quantità che potrebbe essere garantita da altri fornitori. Allo stesso tempo, però, non si può escludere che il prezzo del Brent al barile salga ulteriormente con l’interruzione delle forniture di petrolio russe verso l’Europa, ma anche semplicemente a causa dell’incertezza legata alle possibili conseguenze delle sanzioni imposto dall’Ue nei confronti di uno dei maggiori produttori di energia mondiali» chiarisce il presidente del Condacons.

Tasse e accise: quanto pesano

Le tensioni internazionali, dunque, hanno il loro peso, ma non sono l’unico motivo per cui i costi alla pompa di benzina sono così alti. Se il prezzo del greggio aumenta, non va dimenticato che sul conto finale incidono anche i costi di estrazione, raffinazione, stoccaggio, trasporto e infine la distribuzione finale. «Come in tutti i cicli produttivi, si scatena un effetto a catena che coinvolge tutti i comparti della produzione, e i costi connessi» prosegue Donzelli. Come sappiamo, poi, a pesare in Italia sono anche le tasse, particolarmente alte: Iva e accise, infatti, ci portano in vetta alla classifica per costo del carburante, circa il doppio di quello negli Usa. «Il problema delle accise e Iva c’è da tempo. Oggi gravano sul prezzo della benzina verde alla pompa per ben 728 centesimi, sui quali si paga anche l’Iva (la tassa sulla tassa, un’altra assurdità), vale a dire altri 321 centesimi considerando l’aliquota del 22%. Il peso fiscale su un litro di benzina arriva così a 1,049 euro. Perché lo stato non interviene? È semplice. Le accise sono state introdotte dai governi dagli anni ’30 ad oggi, per reperire denaro in tempi rapidi. Ridurre queste entrate significherebbe privarsi di un’entrata facile e immediata per le casse dello Stato. Da anni invochiamo l’intervento del Governo per ridurre questi pesi sui prezzi e, oggi più che mai, auspichiamo che intervenga concretamente per calmierare i prezzi» osserva il presidente del Codacons.

Le previsioni

In conclusione, secondo varie stime nei prossimi mesi sono da mettere in conto altri 5 cent al litro in più alla pompa di benzina. Pur essendo difficile fare previsioni, Donzelli osserva: «Se l’andamento resterà uguale è facile immaginare che ben presto la media nazionale si sposterà oltre i 2 euro per la modalità self service in tutta Italia. Cifre dispendiose che non si vedevano ormai da diversi anni. Tutto questo penalizza ovviamente alcuni comparti fondamentali in Italia come quello dei trasporti. Sono già numerosele proteste dei camionisti e degli operatori logistici messi davvero in ginocchio dai rincari energetici». L’effetto, però, non si limita alle pompe di benzina: «Lo stop sta già avendo ripercussioni sul comparto del rifornimento e in diversi supermercati iniziano a scarseggiare gli approvvigionamenti. Ipotizzare azioni di tutela è al momento difficile. Certo occorre che intervenga lo Stato nel calmierare i prezzi, anche mediante una revisione delle accise e dell’IVA» conclude l’esperto.