Con la Manovra 2020 sono confermati alcuni bonus per neo mamme, ma cambiano le modalità di accesso. Rinviati, invece, altri provvedimenti che erano stati ipotizzati a sostegno delle madri lavoratrici, per incentivare e soprattutto sostenere le donne che, dopo la maternità, vorrebbero tornare in ufficio. Ma nella giungla di provvedimenti vecchi e nuovi, quali sono davvero utili alle madri? Cosa serve realmente a chi non può contare sull’aiuto (prezioso) dei nonni o di baby sitter, che però pesano sul bilancio familiare?
I bonus disponibili nel 2020
Le Legge di Bilancio conferma alcuni contributi per le neomamme, aumentandone l’importo o modificandoli a secondo dai casi. «È confermato per il 2020 il nostro ormai conosciuto Premio Nascita o chiamato anche Bonus Mamme domani da 800 euro. È stato invece allungato il congedo di paternità che sale a 7 giorni. Tra le altre novità c’è il rinforzo del Bonus Nido erogato fino al compimento del 3 anno di vita del minore e utile per pagare la retta del nido (pubblico o privato) o anche un servizio di baby sitter, e questa è una novità» spiega Carolina Casolo, ideatrice di Sportello Mamme, una start up nata per dare supporto proprio a chi cerca di orientarsi nel mondo dei bonus. «Finora – spiega ancora Casolo – era previsto un contributo di 1.500 euro annuali a prescindere dal reddito». Dal 2020 invece ci saranno nuove casistiche:
1.500 euro con ISEE superiore a 40mila euro
2.500 euro con ISEE tra 25mila e 40mila euro
3.000 euro con ISEE sotto 25mila euro
Confermato il Bonus Bebè, slitta l’Assegno Unico
«Questo assegno è stato confermato e rimodulato. Viene erogato sempre per un massimo di 12 mensilità ad una platea maggiore in maniera inversamente proporzionale al valore dell’ISEE: è pari a 1.920 euro (come prima) per ISEE fino a 7mila euro, mentre scende a 1.440 (ridotto) per ISEE da 7 a 40 mila euro. Sopra i 40mila euro il bonus è di 960 euro. Slitta, infine, al 2021 il tanto atteso Assegno Unico. Si tratta di un assegno previsto per ciascun minore fino al compimento dei 18 anni che rivedrà tutti i contributi attualmente in vigore».
Giungla di contributi, ma servono davvero?
Oltre ai provvedimenti previsti nella Manovra esistono altre misure: l’assegno di maternità dello Stato (fruibile per un massimo di 5 mesi per lavoratrici dipendenti, licenziate o dimesse, o in disoccupazione NASPI, così come per quelle in mobilità o in cassa integrazione, dunque esteso anche alle precarie. Spetta anche alle mamme in gestione separata.
Per le disoccupate o casalinghe, invece, è possibile ottenere un contributo comunale, mentre a sostegno delle famiglie a basso reddito sono previsti sconti o riduzioni in bolletta. «Nonostante possa sembrare di disporre di una vasta scelta, possono capitare paradossi come quello di una mamma di Albissola, in Liguria, che ha dovuto rinunciare all’assegno di invalidità che spettava al figlio per poter usufruire dell’Assegno per il nucleo familiare altrimenti, per cumulo di redditi, non ne avrebbe avuto diritto e l’importo per l’invalidità sarebbe stato insufficiente» spiega la fondatrice di Sportello Mamme.
Ma cosa chiedono le donne?
Nel settore delle politiche a sostegno della maternità ci siamo abituate da tempo a sentire parlare di bonus e aiuti, ma quanto sono davvero efficaci? Aiutano davvero le neomamme? «Assolutamente no, queste misure rappresentano solo un minimo contributo alle famiglie, che spesso sono costrette ad arrabattarsi. Non sono provvedimenti solidi che aiutano le donne a mantenere il proprio posto di lavoro. Se non si hanno i nonni o non ci si può permettere una tata, molte donne che si rivolgono a noi ci dicono chiaramente che è più conveniente restare a casa e chiedere un assegno di disoccupazione NASPI. Forse, in quest’ottica, potrebbe essere più utile l’assegno unico familiare, slittato però al 2021» spiega Casolo.
«Ciò che aiuterebbe davvero le madri è piuttosto una reale indennità di maternità, estesa a un anno invece che i 5 mesi attuali, ma retribuita al 100% non al 30%, perché altrimenti le donne sono costrette a tornare in ufficio troppo presto o, se non possono, a rinunciare al lavoro» spiega l’esperta. «Ci vorrebbe un welfare statale, non aziendale. Solo le realtà grandi, come possono essere big come Google, sono in grado di attuare politiche di questo genere, mentre le aziende medio-piccole, magari a conduzione familiare, non possono».
Papà a casa: bastano 7 giorni?
La Manovra finanziaria prevede il congedo di paternità a 7 giorni, ma anche in questo caso non è sufficiente: «È stata presentata come novità, soprattutto per dare più rilievo alla figura paterna, ma non bastano 7 giorni. Oggi un padre può godere del periodo obbligatorio di maternità solo se in caso di decesso della madre o se questa non riconosce il figlio. Per stare a casa di più gli uomini possono contare solo sul congedo parentale: sono 11 mesi da dividersi con la madre. Ma nella realtà le famiglie preferiscono che a casa stia la mamma, per non rinunciare allo stipendio pieno – e in genere maggiore – del padre».
Le misure che mancano
Le neomamme nel 2020 non potranno contarei sul vaucher baby sitter, i 600 euro al mese che erano stati previsti in precedenza nel caso una donna avesse scelto di rientrare subito al lavoro. Rinviata anche l’entrata in vigore della Carta bimbi da 400 euro per pagare asili, baby sitter e spese connesse alla nascita.