Per il suo ultimo libro, Pachidermi e pappagalli (Feltrinelli), Carlo Cottarelli ha preso in prestito il titolo di una canzone di Francesco Gabbani. «Mi sembrava una metafora efficace di quest’epoca in cui restiamo fermi come i primi, magari perché abbiamo l’impressione di capire tutto dallo schermo di un pc» spiega l’economista, ex commissario di governo alla spending review e oggi direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’università Cattolica di Milano. «Poi però ci ritroviamo a fare affermazioni senza fondamento solo perché le abbiamo sentite ripetere mille volte, come fanno i secondi».
Non è vero che l’Ue ci vieta di spendere
Dopo l’allagamento di Venezia a metà novembre c’è chi sostiene che l’Unione europea in passato abbia impedito all’Italia di spendere risorse per mettere in sicurezza la città. «È la stessa fake news circolata in passato per altri disastri naturali ma è del tutto falsa» risponde l’economista. «Per il Mose, il sistema di paratie mobili che avrebbe dovuto proteggere la città dall’acqua alta, si sono spesi finora 6 miliardi di euro, in parte proprio da fondi europei. Se non è mai entrato in funzione dubito sia colpa di Bruxelles. Che peraltro ci ha quasi sempre consentito di sforare i vincoli di deficit sia per le opere di soccorso sia per quelle di messa in sicurezza, come successo dopo i terremoti del centro Italia».
Venezia, secondo Cottarelli, è solo l’ultimo episodio che mescolando emotività e disinformazione alimenta false notizie capaci di indirizzare l’opinione pubblica per creare consenso elettorale. «Ma in Italia tutte le leggende a sfondo economico sono dure a morire. Europa, pensioni, banche e prezzi sono temi che toccano la nostra quotidianità e che, vista la crisi, hanno accelerato il nostro processo di ricerca dei colpevoli. Le bufale servono proprio a questo: trovano risposte semplici a problemi complessi, ignorando le nostre colpe e quelle di chi abbiamo eletto. È come dare la responsabilità della sconfitta all’arbitro o a qualche squadra favorita, anche se siamo stati noi ad aver giocato male».
L’arbitro di solito veste i panni della Ue o del suo braccio di politica monetaria, la Banca centrale europea, mentre i giocatori “coccolati” sono Francia e Germania. Tutti, in maniera corale, pare siano impegnati a non farci spendere soldi per le cause “buone”: dagli stipendi dei poliziotti all’aumento delle pensioni minime, dal welfare all’agricoltura.
Non è vero che lo Stato ha regalato soldi alle banche
«Le regole europee non vietano nulla di tutto questo» ribatte Cottarelli. «Ci impongono solo di rimanere entro un certo rapporto tra entrate e uscite: lo stesso per tutti, Berlino e Parigi comprese». Come in molte leggende, tuttavia, qui un fondo di verità c’è: «Qualche anno fa a Germania e Francia è stato concesso di sforare la famosa soglia del 3% nel rapporto tra deficit e prodotto interno lordo, ma i 2 Paesi avevano presentato dei piani di rientro biennali ben precisi e avevano azzeccato le previsioni di forte crescita».
L’Italia, al contrario, con un debito in costante ascesa e un incremento del Pil vicino allo zero dispone di meno alternative. «Se vogliamo spendere di più possiamo farlo, ma servono risorse aggiuntive: del resto, è quello che dice anche la Costituzione italiana. Insomma, basta essere disposti a pagare più tasse, o a ridurre l’evasione fiscale e le voci di spesa pubblica meno utili».
Tra queste ultime, secondo molti, ci sono 2 grandi classici come “i soldi regalati alle banche e ai migranti”. «La prima questione è complessa» osserva Cottarelli «ma di sicuro per salvare gli istituti italiani in difficoltà, che poi sono stati 6 o 7 su oltre 300, i vari governi hanno speso molto meno di quanto avrebbero dovuto fare se quegli istituti fossero falliti. Poco di questo denaro, poi, è stato impiegato a fondo perduto: nel Monte dei Paschi, la situazione più a rischio, lo Stato italiano è entrato come azionista e quando ne uscirà recupererà almeno in parte i soldi investiti».
Non è vero che possiamo fare a meno degli immigrati
E i migranti? «Quelli che impieghiamo per la loro accoglienza e per le operazioni nel Mediterraneo sono quasi tutti fondi europei, non italiani». Al contrario, l’affermazione secondo cui l’immigrazione è l’unico modo per pagare le pensioni future, bollata spesso come bufala, è fondata: «L’Italia ha un rapporto sempre più basso tra lavoratori, che versano i contributi Inps, e ritirati, che li riscuotono, mentre negli stranieri il rapporto si inverte. L’immigrazione va regolamentata, è chiaro, ma se vogliamo che i salariati di oggi abbiano pensioni decenti domani l’unica alternativa all’importazione di forza lavoro giovane è tornare a un indice di natalità di almeno 2 figli per coppia. Visto che da più di 30 anni viaggiamo tra 1,3 e 1,4, la vedo molto difficile».
Forse abbiamo meno figli perché l’euro ci ha impoverito, facendo raddoppiare i prezzi… «Questa è la regina delle fake news» conclude l’economista. «I coefficienti tra lira ed euro erano stabiliti da molto tempo, e nel 2002 tutte le conversioni sono avvenute alla pari. Ma i prezzi, soprattutto quelli relativi a grandi acquisti come casa e auto, che ci restano più impressi, erano cresciuti molto tra il 1997 e il 2007, quindi da prima della moneta unica fino allo scoppio della crisi. Dopo quella data, l’inflazione è stata minima ma il nostro potere d’acquisto si è assottigliato perché stipendi e pensioni sono rimasti sostanzialmente fermi, il Pil è arretrato e i nostri risparmi, investiti perlopiù in titoli di Stato, non rendevano più quasi nulla. L’euro, in questa dinamica, c’entra poco».