Abbiamo riso tutte della battuta di Ecce Bombo in cui la ragazza dice a Nanni Moretti “Faccio cose, vedo gente”, però è tempo di ammettere che ci siamo sbagliate: aveva ragione lei. Per anni abbiamo pensato che le nostre opportunità di crescita sul lavoro dipendessero dalle competenze e dalla voglia di metterle in gioco, ma è molto più importante cosa facciamo nel tempo libero e soprattutto con chi lo trascorriamo.

Non significa che le conoscenze ci faranno trovare il lavoro anche se siamo incapaci, ma che le competenze da sole non saranno sufficienti se ci manca la rete sociale a cui appoggiarci per farle valorizzare.

Negli Stati Uniti il 70% degli impieghi deriva dalla propria rete di contatti, il cosiddetto network, che si forma nelle più varie situazioni informali, dal caffè all’aperitivo, dallo sport agli interessi culturali comuni. Questo in Italia è ancora più vero e vale per uomini e donne, ma sono queste ultime a essere sottostimate nei luoghi di lavoro, perché quando c’è da decidere un avanzamento di carriera, le statistiche sono unanimi: a parità di condizioni, se il capo è un uomo tenderà a scegliere un altro uomo.

Più si sale di prestigio, stipendio e responsabilità, meno donne si incontrano, e la differenza non la fanno le competenze. Ad agire sono i pregiudizi che vengono chiamati “di seconda generazione”, cioè quelli che guidano anche le decisioni di chi oggi non pensa più consapevolmente che le donne siano meno capaci degli uomini. Tra questi pregiudizi pesa molto l’influenza del network, cioè la benevolenza nelle scelte professionali che proviene dall’impressione di appartenere alla stessa specie sociale.

In inglese esiste una metafora: golf game. Richiama l’abitudine maschile di frequentarsi in esclusiva con la scusa dello sport. In decine di film abbiamo visto giudici, banchieri, industriali e politici prendere decisioni sul green, nella sauna, alla partita e in altri contesti che non avevano nulla a che fare con una riunione di lavoro. La maggior parte di quei luoghi sono stati pensati perché le donne non vi mettessero piede, ma sono proprio quelli in cui gli uomini a tutti i livelli costruiscono quel network che farà la differenza sul lavoro.

Per decidere di rendere il tempo libero uno spazio di costruzione del proprio personale network occorre, però, prima di tutto avercelo. Le donne italiane ne hanno poco perché fanno due lavori, quello pagato e quello familiare, dedicandoci il 22% del loro tempo contro il 9% degli uomini. Così, mentre voi correte a casa a fare la cena ai bimbi e caricare la lavatrice, il vostro collega probabilmente è al bar col capo a guardare il derby e quando si tratterà di decidere una promozione a vostro svantaggio, l’abbraccio cameratesco che si sono scambiati all’ultimo goal potrebbe non essere ininfluente. Ridistribuire il lavoro familiare non è solo una questione di giustizia tra partner, ma di parità sociale, perché raddoppia per le donne l’opportunità di crescere anche fuori di casa.