I social media sono sempre più usati per cercare lavoro. Linkedin si conferma il canale più utilizzato – da oltre il 57,7% di coloro che sono alla ricerca di un nuovo impiego – perché è il social “di lavoro” per antonomasia, ma è seguito anche da social più generalisti come Facebook (31,7%) e persino da Instagram (10%) e Twitter (4%). E se il “vecchio” ufficio di collocamento sembra perdere appeal, sono gli stessi recruiter, gli esperti delle risorse umane che si occupano di selezionare i candidati, a fare ricorso ai social. Da qui il consiglio degli addetti ai lavori: «Attenzione a cosa pubblicate sui vostri profili social e sulle bacheche».

Come si cerca lavoro oggi

Il ricorso al web nel mondo della ricerca di lavoro è sempre più massiccio e sta cambiando le abitudini dei candidati, ma anche dei “cacciatori di teste”. A confermarlo sono i dati della Work Trends Study, ricerca condotta dall’Università Cattolica e Adecco, giunta alla quinta edizione: «Abbiamo rilevato un aumento nel ricorso a internet, che non riguarda però solo i candidati alla ricerca di lavoro, ma anche i recruiter, che passano il 72% del tempo in rete. Il loro compito, però, non è tanto o solo cercare risorse, quanto verificare i curriculum» spiega Cristina Cancer, Head of Talent Attraction and Academic Partnership Adecco Group.  

Dalla ricerca emerge che più di una persona su 6 che si rivolge al mondo internet per trovare un lavoro lo fa alla ricerca di annunci (61%) o per rispondere a offerte di lavoro online (52,3%). Non manca neppure chi visita i siti delle aziende alle quali è interessato, anche se a volte trascura il proprio profilo social: «Gli esperti HR (Human Resource, le risorse umane che si occupano di selezione) usano proprio i social per verificare la rispondenza tra quanto scritto nel curriculum e la personalità del candidato. Hanno capito che  questi nuovi media non sono tanto un canale per arrivare alla figura che cercano, quanto per conoscere il candidato a 360 gradi, indagarne il carattere e le soft skills» spiega l’esperta. A parità di competenze richieste ai fini del lavoro, insomma, conta l’immagine di sé che si offre anche tramite i social.

Rispetto al 2015, infatti, il ricorso al web da parte dei selezionatori è cresciuto dal 36% al 48,1%, «con particolare attenzione a social come Instagram e persino Twitter, perché sono quelli più utilizzati dai più giovani» spiega Cancer. Da qui l’appello a prestare attenzione a cosa si pubblica.

Attenzione a cosa pubblichiamo sui social

«Il consiglio principale è quello di ricordare che i recruiter vanno a verificare cosa viene pubblicato dai candidati, cercano corrispondenze con il CV, ma anche eventuali caratteristiche personali, che possono essere interessi o iniziative seguite. Se, per esempio, si tratta di un’azienda che produce cibo per pet, a parità di competenze tra diversi candidati potrebbe essere preferito quello che sul proprio profilo social posta contenuti nei quali mostra una particolare predilezione per il mondo animale, piuttosto che un amante della caccia. Visto che tutto ciò che si posta rimane, occorre una certa consapevolezza, anche in chiave positiva, perché commenti o foto potrebbero anche fare da volano e aiutare nel trovare un impiego» spiega Cristina Cancer.

Cosa non postare

Occorre però prestare attenzione anche a cosa non postare: «Noi consigliamo di curare molto le foto o i selfie, perché possono essere soggette a interpretazioni. Lo stesso vale per i commenti e le condivisioni sulle proprie bacheche o profili. I recruiter sono diventati sempre più bravi a sfruttare queste informazioni per ottenere informazioni sui candidati» spiega Cancer, di Adecco Group. Non a caso il 44% degli esperti di risorse umane ha escluso un potenziale candidato dopo aver visualizzato il suo profilo social (nel 2015 era solo il 12%). Il fatto di essere contattati da un’azienda tramite il web, in ogni caso non è garanzia di successo: solo il 3,2% trova infatti lavoro esclusivamente tramite questo canale.

Cosa mettere nel curriculum?

Nell’era digitale cambia anche il modo di scrivere un CV. Molte aziende lo chiedono ormai in formato europeo e accompagnato da una lettera di presentazione, che deve contenere le informazioni di base e le motivazioni con le quali il candidato spiega l’interesse per il posto di lavoro offerto. Ma ha anche senso inserire l’indirizzo di residenza o sono da preferire quello di posta elettronica e gli account internet? «Molto dipende dall’ azienda alla quale ci si rivolge e dal tipo di lavoro: la vicinanza geografica in alcuni casi può contare ancora molto, quando il potenziale datore di lavoro preferisce avere i dipendenti più vicini alla sede. Gli account social sono comunque cresciuti di importanza anche per un altro motivo: non mancano aziende che considerano i propri lavoratori degli ambassador, testimonial potenziali del marchio e dell’impresa stessa sui social» specie se hanno un discreto seguito in termini di followers.

Che lingua usare?

Soft skills, personal reputation, ma anche vere e proprie qualifiche (CEO, Chief Executive Officer al posto del “vecchio” Amministratore Delegato o Web Content Editor invece che responsabile dei contenuti sul web) sono termini che hanno ormai invaso il mondo del lavoro, in particolare il campo della ricerca/offerta di lavoro. Meglio, dunque, usare i termini inglesi? «Dipende molto dall’azienda o dalla realtà alla quale ci si rivolge: se si tratta di una multinazionale è chiaro che i termini inglesi sono da preferire, anche perché spesso risultano più efficaci degli equivalenti in italiano. Se invece si risponde a un’offerta di lavoro di una piccola o media impresa italiana, dipenderà dal ruolo al quale si aspira. In generale occorre un po’ di furbizia e i social possono essere di aiuto: se mi candido per un certo posto in un’azienda che ha profilo su Linkedin posso controllare, prima di inviare il curriculum, quali sono le parole-chiave usate e puntare su quelle nella propria presentazione perché è chiaro che rifletteranno le competenze ritenute rilevanti dall’impresa in questione» spiega Cristina Cancer di Adecco Group.  

E il colloquio?

Alla crescente importanza di internet e dei social, si aggiungono anche moderni sistemi di selezione dei curriculum, che utilizzano ad esempio l’Intelligenza Artificiale per velocizzare i processi di scrematura. Si basano su programmi che selezionano in automatico i cv che contengono o non contengono alcune parole-chiave. «Questi strumenti sono utilizzati soprattutto per lo screening di CV su volumi molto ampi. Ma va tenuto presente che il rapporto one-to-one, quello fisico che si ha in fase di colloquio, è ancora fondamentale. Non si indagano solo le hard skills richieste nell’offerta di lavoro, tramite la ricerca per parole-chiave. A parità di competenze si vuole sempre vedere e parlare con il candidato, con un colloquio tradizionale» conclude l’esperta.