La flat tax, argomento caldo della discussione politica, è già una realtà per le partite Iva individuali. È infatti una delle novità introdotte dall’ultima legge di Bilancio e, secondo gli esperti, consentirà un risparmio complessivo di oltre 2 miliardi di euro ai lavoratori autonomi che la sceglieranno. Il calcolo arriva dai tecnici del Consiglio nazionale dei commercialisti e degli esperti contabili (Cndcec) ed è basato sulle previsioni per i prossimi tre anni, quando la norma si estenderà alle partite Iva fino a 100.000 euro.
Cosa succede quest’anno
La riforma riguarda coloro che a partire dal 2019 fattureranno fino a 65.000 euro. Chi risponde a questo requisito, scegliendo il nuovo regime al posto di quello ordinario, pagherà un’imposta forrfettaria del 15% che però verrà calcolata solo su una parte dei suoi ricavi: dall’imponibile sono infatti sottratti i costi che si “presume” vengano sostenuti dal lavoratore.
Chi risparmia di più
La percentuale non tassata varia a seconda del tipo di attività: per i liberi professionisti, per esempio, la quota è pari al 22% degli introiti. A conti fatti l’aliquota reale da pagare sarà l’11,7%. L’occasione per abbattere le tasse è senz’altro ghiotta. E per le partite Iva nuove (o riaperte dopo 3 anni dalla chiusura della vecchia) l’aliquota per il primo quinquennio crolla al 5%. Chi fattura di più, risparmierà di più. L’Ordine dei commercialisti ha fatto tre esempi utili a chiarire le idee: per un commerciante che ha 30.000 euro di introiti il risparmio rispetto al regime ordinario si aggira sui 760 euro. La cifra sale a 2.081 se i ricavi toccano i 50.000 euro e a 3.248 se si raggiunge la soglia massima di 65.000.
Per un autonomo non iscritto ad albi professionali, invece, con le stesse soglie di fatturato i risparmi saranno rispettivamente di 1.000, 2.990 e 5.354 euro. La categoria che gode dei massimi vantaggi se sceglie il nuovo regime è quella dei liberi professionisti iscritti agli albi (architetti, avvocati, geometri, ecc.), per i quali il risparmio è di 3.538, 8.622 e 12.675 euro a seconda delle fasce di fatturato. «Sono favoriti perché, avendo pochissime spese, cumulano il beneficio dell’aliquota unica del 15% con quello dell’abbattimento forfettario del fatturato» spiega Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti.
Quando conviene fare bene i conti
Gli esempi riportati qui sopra, però, considerano l’ipotesi in cui i titolari di partita Iva non abbiano figli né spese da detrarre dalla dichiarazione dei redditi. «Per chi ha uno o più familiari a carico e magari un mutuo, per esempio, il vantaggio potrebbe ridursi di qualche centinaia di euro perché il nuovo regime forfettario non permette di scaricare alcuna spesa» dice Miani.
Quindi conviene fare bene i conti, tenendo presente che non si potranno più portare in detrazione gli interessi passivi sui mutui (fino a 760 euro), le spese mediche, e tutti i bonus previsti, da quello per i lavori di ristrutturazione del proprio appartamento, agli interventi per il risparmio energetico (rispettivamente fino a 4.800 e 10.000 euro l’anno per 10 anni), all’adeguamento antisismico. «In questi casi la flat tax al 15% potrebbe addirittura rivelarsi economicamente più gravosa del regime ordinario, che consente invece di scaricare le spese».
Cosa accade se si supera la soglia
Se vai oltre i 65.000 euro di fatturato il primo anno rimani nella flat tax, ma dall’anno successivo a quello in cui hai sforato sarai inserito nel regime ordinario con la classica tassazione progressiva (41% di aliquota per i redditi tra 55 e 75mila, 43% per quelli oltre i 75mila). In questo caso, anche se si fattura di più, si avrà un reddito finale più basso. «Quindi» ragiona l’esperto «tanto vale fermarsi quando si sono raggiunti i 65.000 euro di fatturato. Occorre infatti percepire introiti superiori ai 79.000 euro per avere lo stesso reddito netto di chi sfiora la soglia massima della flat tax».
Per i dipendenti tutto rinviato
Dopo l’annuncio del Governo sull’estensione della flat tax ai lavoratori dipendenti, il secondo step della riforma doveva essere contenute nel DEF, il Documento di economia e finanza, approvato il 9 aprile. Nel testo, però, di concreto c’è solo un impegno a portare avanti la riforma: niente cifre né aliquote precise (si parlava del 15% fino a 50.000 euro di reddito e del 20% per chi supera questa soglia).
Il nodo è sempre lo stesso: per la riforma occorrono soldi e non ce ne sono. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, lo ha detto chiaramente ai colleghi di governo: «Per fare la flat tax dobbiamo aumentare l’Iva» dal 22% attuale al 25,2% nel 2020. Un’ipotesi che ha scatenato un fuoco di sbarramento. Per qualsiasi nuova norma bisognerà aspettare la legge di Bilancio in autunno.