I pensionati svedesi hanno a cuore il Pianeta. O almeno i 3,5 milioni che vedono il proprio assegno erogato dal fondo statale AP7: il consiglio d’amministrazione dell’istituto ha infatti approvato lo stop agli investimenti nelle aziende coinvolte in settori pericolosi per il clima. Petrolio, in primis, ma anche carbone e nucleare. I vecchietti scandinavi però non sono un caso isolato: quello del taglio dei finanziamenti ai settori più dannosi per l’ambiente e dell’aumento di investimenti “amici del clima”, è un fenomeno globale. Stanno adottando scelte analoghe decine di realtà: da Caritas internazionale fino alla Banca europea per gli investimenti, il numero di grandi investitori fossil free in Europa ha superato i 1.000 soggetti per un valore di oltre 7 miliardi di dollari.
Scelte che influenzano le aziende
Ci preoccupiamo di riusare le buste per la spesa, di ridurre l’aria condizionata e di abbassare il riscaldamento, ma sottovalutiamo l’impatto che possono avere i soldi investiti in banca o in Borsa. Eppure contro i cambiamenti climatici il ruolo della finanza è cruciale. Non a caso, il Climate Action Summit che l’Onu terrà a New York il 23 settembre, con decine di leader mondiali, include la “finanza climatica” tra le categorie da incentivare. «Togliere fondi a un settore e destinarli a uno più sostenibile influenza il mercato e costringe gli imprenditori a modificare il proprio business» spiega Leonardo Becchetti, economista dell’università Tor Vergata a Roma. «In questo modo è come se, nel nostro piccolo, indicassimo verso quale direzione secondo noi deve andare il mondo industriale». Non stupisce quindi che gli strumenti finanziari climate friendly non manchino.
Primo step: il conto corrente
Il primo livello è la scelta della banca per il nostro conto corrente. «Moltissimi istituti europei finanziano ancora le fonti fossili: negli ultimi 3 anni quasi 2.000 miliardi di dollari sono arrivati alle aziende del settore da parte delle 30 principali banche mondiali» spiega Mauro Meggiolaro, analista di Merian Research e coautore del Rapporto sulla finanza etica in Europa. «I singoli correntisti possono incidere sulle decisioni dei top manager in due modi: chiedendo alla propria banca di rendere noti i settori in cui investe oppure scegliendo istituti che “hanno chiuso” con le fossili» suggerisce Meggiolaro.
«Organizzazioni indipendenti, come Banktrack o 350.org aiutano a orientarsi, svelando periodicamente l’entità dei prestiti in favore di petrolio, carbone e altre fonti controverse». Ci sono poi istituti, come l’italiana Banca Etica, che per statuto rendono pubblici tutti i prestiti concessi e comunque li rifiutano ad aziende che danneggiano l’ambiente.
Il fenomeno dei green bond
Se poi si decide di investire i risparmi in modo eco, ci sono diverse opportunità. Si può per esempio optare per l’acquisto di azioni di aziende impegnate nei settori cruciali per la transizione ecologica: fonti rinnovabili, efficienza energetica, eco-edilizia, agricoltura sostenibile, infrastrutture idriche.«Ma i prodotti che stanno crescendo di più sono i green bond, i fondi d’investimento e i fondi Etf» avverte Sara Silano, ricercatrice della società di analisi statunitense MorningStar.
Se i green bond sono spesso riservati agli investitori istituzionali, gli altri due sono facilmente accessibili anche per i piccoli investitori: per i fondi di investimento ci si rivolge agli intermediari titolati a farli sottoscrivere (per esempio banche, consulenti finanziari o broker indipendenti); gli Etf, invece, si comprano direttamente in Borsa, come le azioni. Che il futuro degli strumenti green sia roseo lo evidenziano le cifre: «Nel solo primo semestre 2019 ne sono stati lanciati 168 in Europa» rivela Silano. L’Ue è il principale mercato mondiale (2.200 i fondi che investono in sostenibilità ambientale), ma l’Italia arranca: è solo sesta, con meno di 10 miliardi di emissioni.
Un futuro roseo per i portafogli
Eppure per i risparmiatori i fondi green rappresentano una buona opportunità, perché si stanno dimostrando più sicuri rispetto alla media dei fondi tradizionali. I dati sulle performance finanziarie lo confermano: il principale fondo sostenibile, impegnato nel settore acqua, il Pictet-Water I, con un valore di 4,6 miliardi, ha realizzato nell’ultimo anno una crescita del 25%, superiore di 4,5 punti rispetto alla categoria di riferimento.
Più in generale, il 63% dei fondi sostenibili si colloca fra quelli che hanno rendimenti superiori alla media in un orizzonte di 12 mesi. Uno su tre addirittura è nel 25% con i rendimenti migliori. Anche sul lungo periodo il discorso non cambia: a 5 anni dall’acquisto il 60% è sopra la media. Per le aziende delle fonti fossili, invece, il futuro è tutt’altro che roseo: Banktrack calcola che, entro il 2030, le compagnie petrolifere e del gas potrebbero avere perdite economiche fino a 2.200 miliardi di dollari, una cifra mille volte superiore al Pil italiano. E i valori di azioni e bond non potranno non risentirne.
L’obbligazione che salva i rinoceronti
Che cosa lega un rinoceronte nero e un investimento? In apparenza nulla. Eppure, dal successo di un prestito obbligazionario può dipendere la sopravvivenza di questo animale in Sudafrica e Kenya. Il rhino-bond è un’obbligazione che verrà emessa dal 2020 dalla finanziaria britannica Conservation Capital insieme alla Zoological Society of London. È un esempio concreto di “impact bond”, strumenti finanziari usati per raggiungere obiettivi socioambientali. I soldi serviranno a scommettere sul successo di un programma di ripopolamento nei due Stati africani. L’aspetto innovativo è che ai sottoscrittori del bond saranno pagati interessi proporzionali a quanto aumenterà la popolazione di rinoceronti nei 5 anni successivi.
Le banche etiche calcolano anche la CO2
Se sugli scaffali dei supermercati si stanno moltiplicando gli alimenti che riportano sull’etichetta la loro carbon footprint, cioè la quantità di anidride carbonica emessa per produrli, a breve potremo sapere anche che “impronta” lasciano sul Pianeta i nostri risparmi. La Global alliance for banking on values, rete mondiale che riunisce 54 istituti di credito (unica italiana, Banca Etica) nei prossimi 3 anni misurerà le emissioni di CO2 causate da investimenti e prestiti concessi in modo da valutarne l’impatto ambientale. «L’analisi ci permetterà, tra l’altro, di stimolare le imprese ad adottare comportamenti più sostenibili» spiega la presidente di Banca Etica, Anna Fasano «e consentirà ai nostri clienti di sapere davvero che effetto producono i loro risparmi».