Lavorare da casa oppure collegati al pc da un luogo che non è il tradizionale posto di lavoro. Poi: orari più elastici per poter gestire al meglio i propri impegni e uso di tecnologia. Si chiama “smart working”, significa lavoro “agile”: più tagliato sulle esigenze del dipendente, ma rispettoso degli impegni aziendali. Per la prima volta, in Italia, un disegno di legge cerca di regolamentarlo. Proprio per incrementare la produttività delle imprese. E migliorare le prestazioni dei lavoratori e la loro motivazione.
Quali saranno i luoghi di lavoro?
La proposta di legge prevede la possibilità di lavorare fuori dai locali aziendali, anche per un solo giorno alla settimana. L’importante è il raggiungimento degli obiettivi che la proprietà pone. Il luogo non sarà importante: potrebbe essere casa propria, ma anche un bar o qualsiasi altra postazione insieme ad altri professionisti. Internet taglierà le distanze: sarà possibile usare tablet, pc, lavorare su documenti condivisi. O partecipare a una riunione via skype. Insomma, niente più badge da strisciare o pause pranzo con colleghi.
Chi potrà lavorare così?
Potranno beneficiarne sia i lavoratori a tempo indeterminato, che quelli a tempo determinato, ma non le partite Iva. Tutto dovrà essere messo nero su bianco: un accordo scritto fra dipendenti e proprietà, che dovrà definire anche le fasce orarie di riposo e modalità e uso della tecnologia.
Si guadagnerà diversamente?
Non ci sarà differenza di stipendio fra chi lavora dentro l’azienda e chi sceglie lo “smart working”. Così come si prevedono le stesse coperture assicurative, in caso di infortuni. Al fine di incentivarlo, il governo prevede anche alcuni sgravi fiscali e contributivi. C’è da aggiungere che il ricorso a queste forme di lavoro dovrà essere su base volontaria: il lavoratore deve volerlo e chiederlo.
Ci sono aziende in cui già esiste?
Secondo i dati della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2015, il 17% delle grandi imprese italiane ha già avviato dei progetti organici di smart working, lo scorso anno erano l’8%. A queste si aggiunge il 14% di grandi imprese che sono in fase “esplorativa”, cioè si apprestano ad avviare progetti in futuro, e un altro 17% che hanno avviato iniziative puntuali di flessibilità ma rivolte solo a particolari profili, ruoli o esigenze delle persone. Quasi una grande impresa su due, quindi, sta andando verso questo nuovo approccio di organizzazione del lavoro. Più bassi i numeri fra le piccole-medie imprese: solo il 5% ha già avviato lo Smart Working, il 9% ha introdotto informalmente logiche di flessibilità e autonomia, mentre oltre una su due non conosce ancora questo approccio o non si dichiara interessata.
Chi ha lavorato al progetto di legge?
Oggi questo disegno di legge è stato curato da Maurizio Del Conte, docente alla Bocconi di Milano. Ma nella sostanza ricalca un progetto di legge di un anno e mezzo fa, presentato da tre parlamentari donne: Alessia Mosca (Pd), Irene Tinagli (Scelta civica e oggi Pd) e Barbara Saltamartini (passata da Ncd a Noi con Salvini). Mai urgenza tanto bipartisan, quella di svecchiare le rigidità organizzative che ancora si trovano all’interno delle nostre aziende.