Il dibattito si ripropone ciclicamente: una casalinga dovrebbe essere retribuita per il suo lavoro di cura della famiglia, dei figli, dei parenti più anziani e della casa? Su questo tema ci si interroga fin dal 1955 quando Nilde Iotti presentò una proposta di legge per l’Istituzione di una pensione e assicurazione volontaria a favore delle donne di casa, poi diventata realtà 44 anni dopo, nel 1999. In Italia infatti l’assicurazione per le casalinghe è obbligatoria per legge. Ma a riaprire il dibattito è una sentenza che arriva dalla Cina: una donna, casalinga a tempo pieno, si è vista riconoscere un “risarcimento” da 50mila yuan (circa 6.500 euro) in sede di divorzio, per il suo lavoro svolto in casa durante i 5 anni di matrimonio. Un indennizzo a cui si aggiunge un assegno mensile di mantenimento e la suddivisione dei beni familiari al 50% tra ex coniugi.

Il motivo? Nei 5 anni di matrimonio, il marito non si era mai fatto carico degli impegni familiari e domestici, affidati completamente alla moglie, alla quale i giudici hanno stabilito che vadano versati ora 2.000 yuan al mese (circa 250 euro) di mantenimento, oltre al “risarcimento” da casalinga. Come funziona in Italia?

“Risarcimento” per la donna casalinga separata: in che casi?

La sentenza cinese è motivata dall’articolo 1088 del nuovo Codice Civile del Paese orientale, secondo cui «quando un coniuge è gravato da compiti addizionali di educazione dei figli, accudimento degli anziani o assistenza dell’altro coniuge nel suo lavoro, ha il diritto di ricevere una dovuta compensazione nella causa di divorzio». Anche nel nostro Paese esiste qualcosa di simile: secondo una sentenza della Cassazione emessa a sezioni unite a luglio del 2018, una casalinga che si separi o divorzi ha diritto a un assegno di mantenimento, proporzionato al suo contributo in famiglia. La conferma è arrivata da un’altra sentenza dei Supremi giudici di un anno fa (Cass. Civ., sez. I del 9 marzo 2020, N.6519). «Fino al 2017 vigeva il principio generale di garantire con un assegno lo stesso tenore di vita dell’ex coniuge; poi c’è stato un cambio di rotta, partito dalla considerazione dei cambiamenti sociali degli ultimi anni: più donne lavorano e in base al principio di autosufficienza e autoresponsabilizzazione, è stato riconosciuto l’onere di attivarsi dopo la separazione o divorzio per cercare un’occupazione confacente alle proprie capacità lavorative: età, stato di salute e formazione. Questo perché è chiaro che una donna di 50 anni fatica di più a ricollocarsi nel mondo del lavoro» chiarisce l’avvocata Claudia Rabellino Becce.

«Dal 2018 e con la sentenza dello scorso anno, invece, si è dato maggiore importanza al principio di solidarietà, per cui il coniuge più forte economicamente deve sostenere quello più debole. Non si tratta, però, di uno stipendio» aggiunge l’esperta.

Mantenimento, ma non stipendio

L’assegno, infatti, tiene conto del reddito e del patrimonio di entrambi i coniugi, del contributo dato alla vita familiare, dell’età del richiedente e della durata del matrimonio: «Viene valutato anche il sacrificio in termini di carriera che la moglie ha fatto, per esempio, per sostenere quella del marito, anche in termini di relazioni sociali. Il lavoro domestico, quindi, trova una forma di ristoro, ma non è un diritto pari a quello di uno stipendio, non è un corrispettivo che dà il giusto valore al lavoro di casalinga» spiega Rabellino Becce.

Quanto varrebbe lo stipendio di una casalinga

In Italia si stima che le casalinghe siano circa 7 mila, donne che non ricevono alcuna ricompensa economica per il loro servizio. Secondo il sito americano Salary.com, che qualche tempo fa aveva quantificato il valore dei principali 10 lavori domestici svolti ogni settimana, una casalinga dovrebbe invece percepire l’equivalente di poco meno di 7.000 euro al mese. L’analisi era frutto della somma di circa 14 ore settimanali dedicate alla cucina (a 10 euro all’ora), del ruolo di “autista” e “insegnante di ripetizioni” per figli grandi e piccoli, rispettivamente per 8 ore e 13 ore alla settimana, a 10 euro all’ora ciascuna. A questo si aggiunge spesso il “lavoro” di psicologa familiare per almeno 7 ore alla settimana (28 euro all’ora) e manager nella gestione del bilancio familiare, a 40 euro all’ora. La somma finale è di 6.971 euro al mese, per un totale di 83mila euro all’anno.

Un fondo per le casalinghe: che fine ha fatto?

Pur senza raggiungere queste cifre, anche in Italia l’esigenza di destinare fondi alle casalinghe è tornata in primo piano la scorsa estate, quandola ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, ha annunciato l’approvazione di un bonus casalinghe: «Sono molte, troppe, le donne ancora fuori dal mondo del lavoro e tante in questi mesi ne sono uscite loro malgrado. Non possiamo né vogliamo permettere la loro esclusione sociale» aveva scritto su Facebook. Il provvedimento, inserito nel Decreto Agosto approvato dal Consiglio dei Ministri, prevedeva un fondo da 3 milioni di euro. Non si trattava, però, di un voucher, ma della possibilità di seguire corsi di formazione, soprattutto digitale, per incrementare le opportunità di lavoro delle casalinghe. Di fatto, del fondo si sono perse le tracce: non è chiaro se per mancanza di decreti attuativi o se perché decaduto senza essere convertito in legge.

Covid, aumentano le donne a casa

Intanto la pandemia ha peggiorato la condizione lavorativa delle donne, spingendone molte a lasciare l’impiego retribuito fuori casa, per dedicarsi esclusivamente a figli e marito, specie a causa della Dad. Secondo i dati Ipsos per WeWord, tra le occupate 1 su 2 teme per il futuro di perdere il lavoro, ma soprattutto 3 donne su 10 con figli sono rimaste disoccupate a causa del Covid e rinunciano a cercare lavoro, correndo il rischio di perdere anche la loro autonomia economica all’interno della famiglia. «Secondo i dati del movimento Giusto Mezzo, che si batte per aumentare i fondi del Recovery Fund per le donne, a dicembre oltre il 90% di coloro che avevano perso il lavoro a causa del Covid era costituito da donne – spiega Rabellino Becce – Basti pensare al comparto del retail, con commesse rimaste senza occupazione per i negozi chiusi, o del turismo e ristorazione, o ancora alle madri che hanno rinunciato al lavoro per seguire i figli in Dad. In Italia, poi, pesa il Gender Pay Gap, la differenza salariale, per cui se uno dei due genitori deve rinunciare al lavoro per seguire la famiglia sappiamo che quasi sempre è la donna a farlo perché guadagna meno».

L’assicurazione obbligatoria dimostra il valore economico del lavoro di casalinga

Se uno stipendio ancora manca, dal 1999 esiste invece un’assicurazione per le casalinghe, che viene erogata dall’INAIL in caso di infortunio. È obbligatoria per tutti coloro che, nella fascia d’età tra 18 e 67 anni, svolgono lavoro domestico in via non occasionale, gratuitamente e senza vincolo di subordinazione. Istituita con la legge 493, la polizza riconosce di fatto l’importanza di questo lavoro. «La conferma del contributo materiale, oltreché morale, della donna casalinga sta nel fatto che diverse sentenze hanno stabilito un risarcimento al marito in caso di infortunio o morte della coniuge» spiega l’avvocata. Questo perché gli viene a mancare il supporto nei lavori di casa e cura della famiglia, per esempio dovendo ricorrere a una collaboratrice domestica o baby sitter. «Purtroppo questo dimostra che anche la legge riconosce il valore economico del lavoro invisibile delle casalinghe, che però non ha un riconoscimento tangibile sotto forma di stipendio» conclude l’esperta.