Il mondo del lavoro del futuro, ma anche già del presente, parla una lingua sempre più digitale e tecnologica. A dirlo sono le ricerche di società specializzate come InTribe, che ha condotto un’indagine sulle “Professioni del Futuro 2019”: al primo posto figurano gli esperti di Cybersecurity, Blockchain, i Data Scientists e ancora coloro che si sono formati nell’ambito dell’intelligenza artificiale e nella Machine Learning.
“Sono tutte professioni che cresceranno maggiormente e che allo stesso tempo vedono il maggior numero di professioni vacanti: è un paradosso, ma a fronte di una disoccupazione elevata, mancano persone che ricoprano queste posizioni. È evidente che occorre lavorare sulla formazione e in questo ambito le donne possono riuscire molto bene” spiega a Donna Moderna Francesca Devescovi, responsabile formazione di Valore D.
Il lavoro del futuro (e del presente)
“Le professioni del futuro, ma anche già del presente, sono legate all’ambito tecnologico, ma bisogna lavorare sul cosiddetto skills matching, ossia far incontrare le richieste con le domande e la preparazione adeguata” spiega Devescovi. Tra le altre professioni più richieste ci sono anche gli esperti ed esperte di meccatronica, realtà virtuale e aumentata, ma anche di User Experience: si tratta di chi analizza l’esperienza e i comportamenti complessivi del cliente per renderli il più possibile efficaci, utilizzando diversi canali di vendita (negozi fisici, online, ecc.) e integrandoli tra loro.
Anche il Growth Hacker lavora cercando di massimizzare le vendite di un’azienda, riducendone al minimo i costi. “Per formare queste figure occorre un percorso adeguato, prestando particolare attenzione alle carriere scientifiche anche per le donne” dice Devescovi.
Le donne sono sufficientemente “tech”?
“La percentuale sta crescendo in questi ultimi anni. Il dato più positivo arriva dal Politecnico di Milano, dove il 30% degli iscritti a percorsi scientifici è rappresentato da ragazze. È, però, un unicum ed è frutto di un’attività mirata di mentoring”, spiega la responsabile formazione di Valore D, facendo riferimento a un processo di sostegno portato avanti dall’ateneo.
Spesso si pensa che le donne siano meno portate per le materie e gli ambiti scientifici. Per questo da qualche tempo sono stati avviati diversi progetti di promozione delle discipline Stem (Science, Technology, Engineering, Maths) tra le studentesse, che invece, una volta cimentatesi, riescono non solo bene, ma persino anche meglio dei maschi: “Le ricerche dimostrano che laddove le donne si cimentano non solo non sono meno brave, ma hanno risultati migliori: in particolare, si laureano in tempi più brevi e con voti migliori. La quota femminile, inoltre, ha una minore dispersione scolastica perché le donne sono più motivate” conferma Devescovi.
Quali sono le competenze “rosa”
“Una delle caratteristiche principali è l’inclinazione a una leadership più collaborativa e inclusiva” spiega Devescovi. “Questo tipo di propensione delle donne le porta anche ad essere più innovative, perché sono in grado di portare punti di vista diversi. Laddove seguono un percorso di formazione più scientifico, dunque, è dimostrato che, una volta all’interno di team di lavoro misti, sono in grado di portare un valore aggiunto”.
Un’analisi dell’Osservatorio per l’imprenditoria femminile, pubblicato da Unioncamere-InfoCamere nel 2018, mostra in quali ambiti sia cresciuta maggiormente l’imprenditoria femminile: si tratta di 10mila nuove realtà nel 2017, a guida femminile (+30mila rispetto al 2014), che rappresentano il 21,86% del totale delle imprese iscritte al Registro delle Camere di Commercio.
La crescita maggiore (quasi la metà del totale) si registra in 4 regioni: Sicilia, Lazio, Campania e Lombardia. A trainare l’impreditoria “rosa” è soprattutto il il settore del turismo, seguito da quello dei servizi e in particolare della cura della persona, delle attività professionali, ma anche scientifiche e tecniche, aumentate del 3,8% rispetto al 2016.
A guidare le nuove attività sono soprattutto donne giovani, con oltre 170mila imprese avviate e gestite da under 35.
Come riuscire nel lavoro del futuro
Oltre a un adeguato percorso di formazione, occorre puntare sulla digitalizzazione, anche in settori considerati tradizionalmente “umanistici” come le risorse umane. Anche nel cosiddetto recruiting è in atto una vera rivoluzione: “Chi si occupa di selezione del personale ormai deve fare i conti con la tecnologia. Anche in questo ambito si utilizza sempre più l’intelligenza artificiale: le selezioni del personale sono effettuate in primo luogo da robot o intelligenza artificiale, non si può più pensare di presentare un vecchio curriculum cartaceo” spiega Devescovi.
Dal tradizionale cv, infatti, sono spariti l’indirizzo di residenza o il numero di telefono fisso, per lasciare poso agli account social (Twitter, Linkedin, ecc.). “La prima fase di scrematura, poi, avviene in modo computerizzato, tramite la ricerca di parole chiave, grazie ai Seo, ma questo può essere un vantaggio per le donne: si possono, infatti, superare molti pregiudizi” spiega l’esperta.
Differenze di genere: la tecnologia aiuta o penalizza?
La tecnologia, dunque, può aumentare il gender gap o invece aiuterà a ridurlo? “La digitalizzazione potrebbe avvantaggiare le donne. Per esempio, negli Usa i programmi di selezione non tengono conto dell’età, a differenza di quanto avviene in Italia. Lo stesso si potrà fare per il genere femminile o maschile, in modo da superare certi stereotipi.
La dimostrazione viene dal fatto che nelle aziende che hanno usato questo tipo di recruiting ci sono più donne che uomini. Insomma, si eviterà il classico caso in cui, davanti a una donna di 35 anni, si penserà subito che si tratta di mamma o che sarà altamente probabile che possa avere un bambino, con le conseguenze del caso in termini di richiesta di maternità, ecc. Con un processo oggettivo e robotizzato, questo approccio sparirà, lasciando spazio alle sole competenze del candidato e della candidata” conclude la responsabile formazione di Valore D.
Un’ultima notazione positiva arriva dal report sul Bridging the digital gender divide (Oecd 2018): dopo aver analizzato le differenze di genere nell’ambito delle professioni digitali, conclude che non c’è motivo per cui le donne rimangano indietro nella trasformazione digitale.