«Voglio decidere io quali progetti seguire e rinunciare a quelli che mi stressano. Voglio usare i tempi morti del tragitto casa-lavoro per fare sport. Insomma, voglio stare bene». Con queste parole il mio amico Giorgio, 38 anni, l’altro giorno a cena ha motivato la sua rivelazione shock: abbandona il posto fisso per aprire una partita Iva. «Rinunciando a ferie, malattia e contributi? Sei sicuro?» gli chiedo sbalordita. Mi risponde con il sorriso sereno e consapevole di chi ha maturato a lungo una scelta difficile. Lo stesso di un’altra mia conoscente, Luisa, progettista 35enne: ha contrattato lo smart working perenne con la sua azienda, il 10% in meno sullo stipendio in cambio della libertà. «Ormai i clienti li vediamo sempre su Zoom, se torno una volta al mese per i sopralluoghi non cambia nulla: mi tengo lavoro e libertà».
Quando anche la mia amica Iamena, 37 anni e due figli, mi ha confessato di aver lasciato il suo prestigioso impiego di manager in una multinazionale a Parigi per poter stare in Sicilia, ho cominciato a chiedermi quale altro strano virus stia girando nell’aria. «Si chiama Yolo e non si diffonde solo nella tua cerchia» mi risponde Vito Verrastro, giornalista e fondatore di Lavoradio. «Yolo è l’acronimo di “You only live once”, da noi diremmo “Si vive una volta sola”. Oltreoceano il primo a usarlo nelle sue canzoni è stato il rapper Drake e ultimamente un giornalista del New York Times, Kevin Roose, ha scritto un articolo, diventato virale, in cui lo definisce la nuova filosofia del lavoro.
Che cos’è la filosofia Yolo
In realtà è una filosofia soprattutto di quello che succede nelle nostre esistenze oltre il lavoro. Abbiamo riflettuto sugli equilibri della vita e, davanti alla precarietà dell’esistenza che il Covid ci ha mostrato, stiamo rivalutando le priorità». Quelle che mi racconta Iamena, passeggiando tra gli ulivi e i mandorli del suo giardino, sono chiare: «Avere un impatto positivo sulla mia esistenza e su quella di chi mi sta attorno. Voglio che ogni giornata abbia un senso profondo, che sia vissuta pienamente, senza fretta».
I miei amici non sono impazziti. Yolo è una tendenza ormai così diffusa che viene fuori, e forte, anche dal sondaggio che Donna Moderna ha realizzato con Doxa: il 36% delle donne vuole stare bene nella propria pelle, il 22% vuole trovare il coraggio di fare dei cambiamenti. Più chiaro di così! Se allargo lo sguardo al mondo trovo conferma nei dati pubblicati da una multinazionale come Microsoft: anche lì l’aria sta cambiando e parecchio. Il 41% della forza lavoro globale sta valutando di lasciare il proprio posto nel 2022, il 70% ne vuole uno flessibile. Quelli di Randstad spostano la lente sull’Italia: il fattore più importante in assoluto per la ricerca di impiego oggi è il work-life balance (66%). Tradotto, significa poter dare dignità e importanza a quello che succede quando non lavoriamo.
Il modo di lavorare pre pandemico non ha più senso per i giovani
«In America, dove lo smart working è la regola da anni, i giovani stanno rinunciando in massa a impieghi che non garantiscono libertà e le aziende fanno a gara per trattenere i talenti puntando tutto sulla flessibilità massima, altro che l’auto aziendale» mi spiega ancora Verrastro. «Da noi, nonostante a livello politico si stia provando a fare marcia indietro sullo smart working, il movimento carsico è già partito. È come se nei lockdown avessimo avuto delle epifanie: prima eravamo su una giostra velocissima, finché giravamo non sentivamo la nausea. Poi ci siamo fermati e abbiamo cominciato a riflettere. Il modo di lavorare pre pandemico non ha più senso per i giovani. Ti faccio il mio esempio: ho due figli, uno di 21 e uno di 18 anni e nessuno dei due è disposto a lavorare 12 ore davanti a un computer come faccio io che ne ho 54. Non è pigrizia, è un modo diverso di concepire la vita. Anche se questo vuol dire rinunciare a un pezzo del vecchio prestigio o a una fetta del conto corrente».
Con un giro in Rete mi accorgo che a ogni latitudine si incontrano storie come quelle dei miei amici. Pesco tra le più interessanti l’esperienza di Irene Bosi, 28 anni, bolognese, laurea in economia, master in sales & marketing, una carriera avviata in multinazionali come Procter & Gamble e Perfetti.
«Potevo seguire le mie ambizioni facendo una vita più “umana”»
«Volevo scalare quel mondo e facevo una vita molto intensa: sveglia alle 6.30, due ore nel traffico di Milano, otto o nove ore in ufficio» mi racconta al telefono da Manoppello, il paesino abruzzese dove vive adesso. «La sera poi c’era sempre un evento di networking o una cena di lavoro. Non staccavo mai: in quel contesto sei sempre portato a fare, altrimenti hai la sensazione di perderti qualcosa e di non essere al passo. Poi, in lockdown, al mattino ho cominciato a correre nel parco e ho scoperto la bellezza di iniziare le giornate così. In Rete mi sono imbattuta in Marketers, un movimento di imprenditori digitali che lavora da remoto e ho scoperto che potevo seguire le mie ambizioni facendo una vita più “umana”. Adesso sono Head of marketing & business development in Yoga Academy, una scuola di yoga online, e le mie giornate sono completamente diverse. Ho un posto a Bologna dove tengo le mie cose e ogni mese mi regalo il lusso di cambiare il paese dove vivo perché mi piace spostarmi e stare nella natura. Faccio tanto sport e ho imparato a suonare uno strumento».
Ricominciare in un paesino di 62 anime
Mi viene il dubbio che solo chi ha competenze molto elevate come Irene o lavora da remoto grazie alla tecnologia possa permettersi una vita Yolo. «Di sicuro sono privilegiati, ma la tendenza è molto più ampia» mi rassicura Vito Verrastro. «E pur di trovare una situazione o un luogo in linea con il proprio concetto di benessere sono tanti oggi a reinventarsi». Ancora una volta devo dargli ragione.
Lo capisco leggendo la storia che sta spopolando in Rete e sui social in queste settimane: lei si chiama Camilla Tomassoni ed è una ex chef di un ristorante 3 stelle Michelin, in Francia. Ex, certo, perché da Parigi si è trasferita al confine tra Emilia e Toscana. Per recuperare ritmi più naturali. Ha ricominciato in un paesino di 62 anime dove coltiva l’orto e ha aperto una bottega con cucina.
Anche la mia amica Iamena motiva così la sua scelta di lasciare una carriera che in azienda l’aveva portata fino all’executive board, la stanza dei bottoni. «A Parigi mi occupavano di impianti di energie rinnovabili, gestivo budget con molti zeri e la mia esistenza era centrata solo sul lavoro. Adesso dalla Sicilia lavoro come coach, aiuto le aziende a far star bene i loro dipendenti. Tra questi ulivi che mi fanno sentire così in pace, voglio organizzare eventi e workshop in cui parlare non solo di organizzazione dei flussi lavorativi ma di genitorialità per esempio. Perché vita e lavoro in futuro saranno sempre più compenetrati e serve una visione d’insieme che ci faccia stare bene. Sempre».
L’ESPERTO
Vito Verrastro, 54 anni, è un profondo conoscitore dei giovani e del mondo del lavoro. Giornalista, ha fondato Lavoradio, il podcast che trasmette interviste e approfondimenti “per chi cerca lavoro e per chi se lo vuole inventare” (lavoradio.com). Ha scritto Generazione boomerang. I “consapevoli ritorni” che possono cambiare l’Italia (Rubettino).
Liberi di programmare il proprio futuro
Il programmatore informatico è sempre in cima alle professioni più ricercate, lo confermano i dati in arrivo da InfoJobs e Randstad, le multinazionali che si occupano di ricerca, selezione e formazione di risorse umane. Ma se fino a ieri a spingere molti verso l’informatica era l’idea del posto e dello stipendio sicuri adesso qualcosa sta cambiando.
Una ricerca di Aulab, scuola per programmatori, ha verificato come circa la metà dei propri studenti oggi si avvicini alla professione per un motivo diverso: vuole la certezza di un lavoro da remoto, senza vincoli di spazio o di tempo. E in cima alle proprie aspirazioni professionali non mette il far carriera ma la possibilità di organizzare il proprio lavoro autonomamente.