Si parla spesso di “cervelli in fuga”, dei giovani (e meno giovani) che cercano lavoro all’estero, eppure in Italia mancano persone da inserire nelle imprese. A dirlo sono i dati del rapporto Excelsior di Unioncamere e Anpal, secondo cui cresce la domanda di laureati (+18,3%), passando da 68mila a 84mila assunzioni previste a gennaio 2020 rispetto allo stesso mese del 2019. I titoli più richiesti sono quelli in architettura (+45,2%) ed economia (33,6%), seguiti dalle cosiddette materie STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e in particolare i laureati in ingegneria civile e ambientale (+29%), ingegneria elettronica e dell’informazione (+27,9%) e in matematica e fisica (+25,4%). «Si tratta da un lato di una conferma della tendenza degli ultimi anni, con l’affermazione di indirizzi che guardano al futuro, dall’altro di un dato che ci deve far riflettere: c’è una distanza tra la domanda e l’offerta, che deve essere colmata» commenta Alberto Vergani, docente di sociologia all’Università Cattolica di Milano.
Quali professionalità si cercano
Secondo le previsioni di Unioncamere a gennaio si prevede di far entrare nel mondo del lavoro 461.530 persone, che diventeranno quasi 1 milione 160mila entro marzo. Di questi quasi un terzo (28%) saranno giovani. Ma in quali settori? Il rapporto Excelsior indica nelle attività commerciali e nei servizi le maggiori richieste (oltre 93mila addetti), seguite dalle professioni tecniche (quasi 91.500 addetti).
Quali i settori in crescita
Su circa 215mila imprese con dipendenti che hanno intenzione di assumere a gennaio, proprio il commercio è il settore che vede la maggiore crescita della domanda di lavoro (+9,2%), seguito da turismo (+7,2%), servizi informatici e di telecomunicazione (+16,3%), e servizi a contenuto specialistico/consulenze di supporto alle imprese (+19,9%). Se il comparto manufatturiero registra qualche difficoltà (chimica, farmaceutica, moda, metalmeccanica e meccatronica, ecc.), quello delle costruzioni è in crescita (+18% di assunzioni previste rispetto al 2019), probabilmente legato ai maggiori investimenti nelle infrastrutture, nelle ristrutturazioni edilizie e nelle grandi città, che restano trainanti.
In quali città trovare lavoro?
A guidare la classifica delle province dove si assume di più c’è Milano (54.990 previste), seguita da Roma (38.960) e Torino (20.830). Al quarto posto la prima grande città del sud, Napoli, che però rimane l’unica presente nella top ten, seguita a sua volta da Brescia, Bergamo, Bologna, Firenze, Verona e Vicenza. Insomma, il nord continua a essere la zona in cui il mercato del lavoro offre maggiori opportunità (+4,1% di previsioni di assunzioni nel nord ovest a fronte di un valore medio nazionale del 3,7%), in particole grazie alle previsioni attese in Lombardia (4,2%). Umbria (3,2%), Toscana, Marche e Puglia (3,3% ciascuna) sono invece le regioni che presentano previsioni più contenute.
E le donne?
Le donne continuano a essere maggiormente richieste soprattutto nel settore dei servizi alla persona (30% richieste di personale femminile), seguito da quello della ristorazione e servizi turistici, commercio e supporto alle imprese, mentre nel comparto finanziario e assicurativo le offerte sono inferiori (11%). «Purtroppo non è una novità. Le rappresentazioni sociali dei lavori da uomo e da donna continuano a riproporsi in modo drammatico. Qualche cambiamento è avvenuto, ma si tratta di cambi strutturali che richiedono molti anni. Purtroppo anche le analisi del mercato del lavoro finiscono con il replicare involontariamente alcuni modelli: se una donna volesse orientarsi in un certo settore a vocazione più maschile, di fronte a una maggiore offerta di lavoro in campi femminili, ad esempio dei servizi alla persona, è chiaro che sarà disincentivata, preferendo andare sul sicuro» spiega il sociologo.
La laurea serve ancora?
Se i cervelli in fuga sono 62mila, tra coloro che restano in Italia sono quasi 600mila i 18-24enni che lasciano gli studi, giovani che secondo la CGIA di Mestre non terminano il percorso scolastico. Eppure la richiesta di diplomati da parte delle imprese italiane è molto alta (38%), seguita da quella di chi ha una qualifica o un diploma professionale (26%) e da quella di laureati (18%, come per chi ha terminato la scuola dell’obbligo). La laurea, dunque, serve ancora? «Serve senz’altro e lo dimostra la richiesta in aumento di coloro che la possiedono, ma occorre tenere presente una peculiarità italiana, dove il sistema produttivo non è così sofisticato a livello tecnologico come in altri paesi stranieri. Nell’ambito delle lavorazioni, produzioni e tecnologie, infatti, ci sono realtà più all’avanguardia» spiega Vergani. «Esiste anche un altro aspetto. A volte assistiamo a un atteggiamento schizofrenico: da un lato si dice che bisogna studiare di più, dall’altro che occorre più esperienza sul campo rispetto a titoli di studio. La laurea, dunque, serve, ma andrebbe accompagnata dalla possibilità di avviare tirocini già durante il corso di studi. In quest’ottica il diploma viene visto spesso come un ragionevole compromesso».
Un problema di mismatch
Di fronte a un problema di professionalità difficili da reperire spesso di parla di differenza tra la domanda e l’offerta (mismatch) che, per quanto riguarda i giovani, il rapporto Excelsior quantifica in media nel 35%, con punte del 65% per gli specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche. Il problema riguarda il fatto che ci sono “troppe” lauree in ambito uministico, politico-sociale, psicologico, rispetto a quelle “scientifiche”, che invece sono le più richieste, con il paradosso che nei prossimi cinque anni potrebbero mancare, secondo le previsioni Unioncamere, 60.000-120.000 laureati in settori strategici, mentre potrebbero esserci molti più disoccupati in campi nei quali già oggi il mercato è saturo. Il mismatch riguarda però sia i laureati (39,3%) sia i diplomati (35,1%). È un problema di orientamento? La scuola dovrebbe fornire maggiori informazioni per la scelta del percorso di studi? «Sicuramente si potrebbe migliorare l’orientamento, ma penso che si dovrebbe intervenire a monte, migliorando l’insegnamento anche di quelle materie che offrono maggiori opportunità di lavoro e sono più richieste, come le STEM. Occorrerebbe renderle più accattivanti a scuola, incuriosire anche le studentesse, renderle alla portata di tutti» spiega Vergani.