Sul Mes il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dice ancora “no”. O, almeno, “non adesso”. E, così, i 37 miliardi di prestiti europei da investire nella sanità rimangono, ancora una volta, in stand-by. Lega e Fratelli d’Italia festeggiano, la maggioranza si spacca: Partito democratico e Italia viva chiedono al più presto un confronto, mentre il M5S sta con il presidente Conte. È l’ultimo capitolo di un dibattito che prosegue da mesi e che, proprio nel momento in cui la pandemia torna a fare paura, sembra chiudere all’arrivo rapido dei soldi necessari a contrastarla, visto che per gli altri fondi europei i tempi sono decisamente più lunghi.
Per Conte accettare significa indebitarsi, ma al Paese i soldi europei convengono
«Credo che a questo punto non ricorreremo più al Mes» conferma Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti pubblici italiani. «Per mesi alcune forze politiche ne hanno parlato come fosse Belzebù. È difficile che tornino sui loro passi». Anche perché, questa volta, Conte potrebbe avere dalla sua parte un esponente Pd di peso, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, con una motivazione più politica che finanziaria: scongiurare una costosissima crisi di governo. «Personalmente, sono favorevole al Mes» continua Cottarelli «ma se il prezzo è far cadere l’esecutivo, effettivamente non ha senso. Non è una questione di vita o di morte. Oggi è anche meno utile di prima».
Il vantaggio del Mes sta, infatti, nel tasso di interesse conveniente con cui i prestiti vengono concessi ai Paesi che ne fanno richiesta. Ma l’Italia gode già di tassi più bassi rispetto a 6 mesi fa, quando di Mes si iniziava a parlare concretamente. «Abbiamo fatto un errore a non chiedere allora quei soldi» dice Cottarelli. «Molti temevano fosse uno strumento dell’Ue per fare pressione sull’Italia. In realtà Bruxelles ci stava già aiutando con acquisti massicci da parte della Bce di titoli italiani, che ne tenevano basso l’interesse: insomma, se volessero tenerci sotto scacco avrebbero ben altri mezzi».
Eppure, il presidente Conte è stato chiaro: accettare i soldi del Fondo Salva-Stati significa indebitarsi, aumentare le tasse, tagliare le spese e andare incontro all’effetto stigma. «Il rischio stigma c’è, ma è minore. Significa che se fossimo gli unici a prendere il Mes, potremmo sembrare un Paese in difficoltà. Ma a noi questi prestiti convengono più che ad altri» spiega Cottarelli «e all’opposto di quanto detto da Conte, risparmieremmo milioni di euro e potremmo evitare di alzare le tasse».
Sul Recovery Fund ci sono più certezze e sarà attivo dal 2021
Se il Mes è in forse, sul Recovery Fund ci sono più certezze. Dei 750 miliardi di euro di aiuti straordinari per il rilancio da distribuire fra i 27 Stati membri, 209 andranno all’Italia: nel dettaglio, si tratta di 127 miliardi sotto forma di prestiti a tasso agevolato e altri 82 a fondo perduto. «Queste cifre, però, non sono scritte sulla pietra. A luglio, quando l’accordo è stato raggiunto, eravamo noi quelli più in difficoltà. Oggi non è così e la redistribuzione potrebbe cambiare».
Non a caso, anche la contrattazione sul Recovery a livello europeo vive una fase di impasse. «Il Recovery ha tutti i mezzi per funzionare» dice, fiducioso, Cottarelli. «Dal primo gennaio 2021, i Paesi potranno presentare i loro piani di riforme da finanziare con i fondi che riceveranno». Nel frattempo, il nostro governo ha già previsto nella legge di bilancio per il prossimo anno tra i 22 e i 25 miliardi di deficit extra da “coprire” proprio con quegli incassi. Anche se i soldi non arriveranno prima della metà del 2021.