«C’è un momento in cui ti chiedi: cosa voglio dalla vita? Una carriera di successo e un ottimo stipendio o una quotidianità fatta di amici, famiglia, passioni, libertà?». A parlare è Lara Congedo, 32 anni, digital designer milanese, che ha scelto di tornare a lavorare in Italia dopo 3 anni a Londra, lasciando il ruolo di Head of design alla vigilia di un aumento in busta paga. «Ero venuta a Londra nel 2014, per fare un salto di carriera e, dopo i primi mesi durissimi, era quello che stava succedendo» racconta. «Avevo trovato lavoro in una piccola agenzia di digital marketing in espansione: in neanche due anni sono stata promossa a capo del mio dipartimento, guadagnavo più di duemila sterline al mese e gestivo in prima persona progetti per grossi clienti. Eppure, ero triste, demotivata. Mi sentivo stremata e sola in una città enorme e frenetica. Ma non solo».
«Anche dal punto di vista lavorativo ero scontenta – continua Laura – è stato entusiasmante all’inizio imparare così tante cose nuove in poco tempo, ma il mio sogno era un altro, lavorare in una big company, dove confrontarmi con tante persone e sentirmi realizzata. Appena ho detto a mia mamma che volevo tornare, era incredula: “Quando riuscirai a Milano a fare una carriera così?” All’inizio, ha anche provato a farmi cambiare idea! Ma io non potevo restare. Ora sono a Milano, in una multinazionale: certo non sono più il “capo” ma lavoro in team, in un ambiente creativo e pieno di nuovi stimoli. E, soprattutto, posso vivere la mia vita: esco con gli amici dopo una giornata stressante, pranzo con la mia famiglia, mi dedico alla mie passioni, la pittura e lo yoga. Piccole cose, ma fondamentali per me perché mi fanno stare bene e mi danno energia. Quello che mi serve per immaginare e costruire il mio futuro».
Una generazione che cerca l’armonia
A vedere i dati sulla disoccupazione giovanile in Italia quella di Lara sembra la storia di una minoranza. Ma è tangibile il fatto che questa generazione sia legata da un filo comune di convinzioni e desideri nuovi, indipendentemente dai successi raggiunti sul lavoro e dalla situazione del conto corrente di ognuno. A confermarlo, una recente ricerca condotta da Jointly e Università Cattolica di Milano: per i millennials la necessità di stare bene dentro e fuori dall’ufficio conta più dei soldi. E secondo un sondaggio della piattaforma statunitense Comparably il 34% degli under 35 è più interessato a raggiungere un buon equilibrio tra lavoro e vita privata piuttosto che a un avanzamento di carriera. E sarebbe disponibile a guadagnare fino a 7.500 euro in meno all’anno per poter lavorare in un contesto in armonia con le sue esigenze e i suoi valori (studio Fidelity).
Dunque, il ritratto del Time che qualche anno fa ha definito i millennials “pigri, superficiali e narcisisti” corrisponde a verità? «In realtà si tratta di una lettura superficiale e in gran parte sbagliata» avverte Giovanni Siri, professore di Psicologia all’Università San Raffaele di Milano. «Certo, il modello di vita incarnato dai baby boomers oggi non esiste più. Era basato sulla realizzazione di un progetto di ascesa sociale ed economica attraverso lo studio e la carriera. E all’insegna dell’impegno e del sacrificio» spiega il docente. «Oggi considerare il lavoro un mezzo per arrivare a un fine è impensabile perché la realtà odierna, sempre più complessa e mutevole, rende difficilissimo fare piani e previsioni. L’unico capitale a disposizione, quindi, sono diventati il “qui e ora” ed il proprio sé, visti come un bene da valorizzare e di cui godere appieno».
Il bisogno di esprimere se stessi
Insomma si è passati dal self made man alla self expression. La decisione di Lara di tornare a Milano ne è la prova: «Il lavoro non è più qualcosa di separato dalla vita, ma una dimensione in cui fare esperienza, cercare arricchimento e senso di sé» spiega Claudia Manzi, docente di psicologia sociale all’Università Cattolica e responsabile della ricerca per Jointly. «Lo dimostra il fatto che in cima ai servizi più ricercati tra quelli offerti dal welfare in ufficio i millennials indicano le iniziative di volontariato, di socializzazione e di formazione».
Ma il nuovo sguardo sul lavoro ha radici più profonde: «I nati negli anni Ottanta hanno vissuto sulla loro pelle la cultura denaro-centrica di allora: hanno visto la maggior parte dei loro genitori, prima votati alla carriera e poi colpiti dalla crisi, dover fare i conti direttamente con la precarietà lavorativa ed economica e, forse anche per questo, sono alla ricerca di un’alternativa che includa le relazioni, gli interessi extra-lavorativi, l’attenzione verso il wellness e la salute. Una nuova visione che può rivelarsi vincente. Le ricerche infatti dimostrano che i millennials, se inseriti nei contesti aperti e flessibili lavorano con entusiasmo, raggiungendo risultati al di là delle aspettative».
Il libro da leggere
In Italia il 37,8 per cento dei giovani sono disoccupati, l’81 vive ancora a casa, mentre solo il 44,2 dei laureati trova lavoro dopo un anno, contro quasi il doppio della media europea. Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia (Egea) di Francesco Cancellato, parte dai dati per smontare gli stereotipi sui millennials e uscire dalla retorica classica del “Eh, ma io alla tua età”.Lo fa attraverso un’analisi che mette sotto la lente questioni come la formazione, il mercato del lavoro, il welfare del nostro Paese.