Basta con lo shopping senza limiti: la domenica i negozi devono restare chiusi secondo il ministro per lo Sviluppo economico Luigi Di Maio. «È una questione di civiltà. Chi è costretto al lavoro festivo torni a trascorrere quel tempo in famiglia». Stando alle prime bozze del provvedimento, non sarà uno stop totale: il 25% degli esercizi potrebbe aprire sulla base di turni decisi dalle Regioni e faranno eccezione le località ad alta densità turistica. Ma che succederebbe con le serrande abbassate?

Sarebbero a rischio migliaia di posti di lavoro

Secondo stime di Conad e Federdistribuzione, la chiusura per 52 domeniche l’anno farebbe perdere fra i 30 e i 50.000 posti nel commercio. Cifre esagerate secondo i sindacati: per Filcams Cgil la liberalizzazione ha prodotto precarietà, visto che il 40% degli addetti ha contratti a termine, spesso con part-time involontario, dove il lavoro domenicale è un obbligo, non sempre remunerato a dovere.

Passeremmo il weekend diversamente

12 milioni di italiani fanno spese la domenica, soprattutto negli oltre 1.200 centri commerciali. «Luoghi di incontro, oltre che di acquisto» dice Vanni Codeluppi, ordinario di Sociologia allo Iulm di Milano. «Offrono ristoranti, cinema, spazi per i bambini e spesso sono preferiti al centro città perché facili da raggiungere in auto. Sotto questo aspetto, si perde una possibilità».

L’Italia sarebbe più simile ai big europei

La completa libertà di apertura domenicale vige in Italia dal 2011. «Decisa per sostenere i consumi, non ha ottenuto gli effetti sperati. Piuttosto ha indebolito i piccoli negozi» nota il sociologo. Secondo l’Istituto Bruno Leoni, altri 15 membri Ue non pongono limiti, tra cui Paesi Baltici, Danimarca e Svezia. Ma tra i Paesi simili a noi per dimensione ed economia, Francia, Germania e Spagna, è l’opposto: shopping proibito salvo eccezioni dovute al tipo di attività o a un numero limitato di giornate.

Non aumenterebbero gli acquisti on line

Dal Codacons ai partiti di opposizione, in molti sostengono che la chiusura favorirebbe l’e-commerce, minacciando ancora di più il commercio fisico. È così? «Prevedere con certezza le abitudini di consumo è difficile, ma credo che l’impatto sarebbe minimo» conclude il sociologo. «L’online è ancora una nicchia sul totale delle vendite: meno del 6%, con punte del 18% per qualche articolo, come i giocattoli. Ma noi per cultura preferiamo uscire e toccare con mano i prodotti. E sarà ancora così».